Caiazza_grotta di San Michele

Domenico Caiazza

OPPIDUM SANCTI ANGELI COGNOMENTO RABICANUM. DALLA GROTTA SACRA ALLA FORTEZZA - STORIA ED ETIMO DI UN TOPONIMO

(in S. Angelo di Ravecanina – Un insediamento medievale nel Sannio Alifano, a cura di L. Di Cosmo, 2001, pp. 83-94)

Il centro medievale oggi chiamato castello o S. Angelo vecchio, sito sulla sommità della collina tra S. Angelo d’Alife e Raviscanina è rammentato spesso, ma con nomi diversi, nelle cronache medievali ed anche negli studi recenti sono utilizzate varie forme.

Tuttavia almeno la prima parte del toponimo è incontroversa e di trasparente significato derivando senza alcun dubbio dalla grotta sacra a S. Michele, sita alla base del colle dominato da resti del castello e del borgo medievale.

Il culto oggi è praticato in una cappellina sita all’esterno ed a qualche metro dall’ingresso della grotta, largo circa 3,50 metri ed alto circa 7. A sinistra dell’ingresso su un tratto di roccia spianata artificialmente si notano scarsissimi resti di un affresco.

La cavità, originatasi per erosione carsica lungo una faglia, ha forma allungata con uno sviluppo di circa 60 m ed una profondità di 18.

Le pareti sono di nuda e compatta roccia calcarea con poche concrezioni, mentre un pavimento di humus caduto dall’alto, degrada dall’ingresso verso una zona centrale più ampia nella quale sono state realizzate le costruzioni adibite al culto.

Tra queste la più arretrata è anche la più imponente: un’edicola coperta da una cupola di pietre informi legate da malta, sorretta da quattro pilastri (due dei quali di laterizi circolari) collegati da rozzi archi a tutto sesto.

Appoggiata ad uno dei pilastri è una piccola costruzione tradizionalmente considerata l’altare dell’Arcangelo, e a qualche metro di distanza, verso sinistra, è un’altra piccola costruzione con tracce di affreschi.

Segmenti superstiti di un muretto delimitano anteriormente la zona delle edicole a guisa di balaustra. All’esterno di tale zona è un pozzetto oggi colmo di terra ma destinato in antico a raccogliere le acque di stillicidio, importanti nel culto di S. Michele assai spesso collegato alle acque. Innumerevoli infatti sono le fonti dedicate all’Arcangelo, per restare alla nostra zona si pensi ad esempio a Fontana S. Arcangelo presso Mastrati, dove l’affioramento di una stipe preromana ha fatto pensare a sostituzione di culto (Caiazza 1987, 53) o alla località di Pietramelara detta Acqua S. Angelo.

La presenza di questo pozzetto e dell’edicola rende notevole la somiglianza di questa grotta a quella di S. Michele Arcangelo in Monte Melanico della quale è stato possibile datare la consacrazione agli anni 862-866 ad opera di Ilario vescovo di Teano, esortato dal presule di Capua Landolfo (Caiazza 1994).

Quanto all’edicola maggiore essa va annoverata tra gli edifici che ricorrono nelle grotte dedicate dai Longobardi a San Michele e che in genere vengono definiti cappelle o chiese.

Non è chiaro lo scopo (sepolcrale, oratorio, per l’eucaristia) per cui furono erette queste fabbriche. La nostra serviva forse ad uno dei detti utilizzi e prezioso sarebbe uno scavo scientifico per risolvere il problema, ma più probabilmente aveva una funzione simbolica, assimilabile a quella di costruzioni a cupola testimoniate all’interno di templi di epoca longobarda: un piccolo edificio, ciborio, tabernacolo, protiro, destinato a proteggere ed isolare e connesso ad ideali di sopravvivenza e di potere… con lo scopo di separare ciò che sovrasta dal mondo umano e terreno; e nel far ciò, proietta il sacro sulla terra, identifica un centro ideale, un luogo privilegiato sede di culto perché occupato da cose ed esseri privilegiati (Caiazza 1994, 96).

Il ciborio coperto a cupola esiste anche nella grotta di S. Michele di Faicchio, mentre il pozzetto per le acque di stillicidio è conservato pure nella grotta di Curti di Gioia Sannitica e di San Michele in Camposcuro, nelle quali non vi è il ciborio ma una vera e propria cappella. Proprio la presenza della cappella, anche a voler ipotizzare una ricostruzione di più antiche strutture, della quale peraltro non vi è traccia, indizia che per queste ultime località, perlomeno quanto alle costruzioni, siamo in fasi più recenti del culto.

La grotta di S. Angelo d’Alife ha in comune con quelle di Olevano sul Tusciano e del Monte Melanico (Caiazza 1994, 106) anche la leggenda di fondazione basata sulla lotta tra S. Michele e il diavolo. Ma in quelle è narrata una tenzone per il possesso della grotta, in questa la lotta, che ha lasciato segni sulle rocce, è quella biblica, guidata da Michele contro gli angeli ribelli.

Essa qui si concluse poiché attraverso questo speco Michele gettò il diavolo nell’inferno. Dunque questa grotta è un passaggio tra questo mondo e quello infero, ed è perciò presidiata in perpetuo dall’Arcangelo ad evitare il ritorno del nemico. La leggendaria comunicazione tra questa grotta e quella del Gargano garantisce ancora di più la presenza di Michele.

Narra il Martone che allorché Iddio fece scacciare Lucifero dal paradiso dalle milizie celesti guidate da San Michele, questi spinse il diavolo verso uno speco che si apre alla base del colle sul quale sorge il castello, e quivi per mostrare la propria forza, afferrò la viva roccia perforandola come se fosse cera, il diavolo volle fare altrettanto ma non riuscì che a lasciare l’impronta dei suoi artigli nella dura pietra. Indi Michele per lo stesso speco lo precipitò nell’inferno: si può osservare la roccia perforata e quella che appare incisa come da una rampata all’entrata di una vasta grotta che si chiama di San Michele e che si dice che comunichi con quella dello stesso nome che si trova a Monte Sant’Angelo sul Gargano. (Martone 1982, 16). Rimangono leggendarie le comunicazioni della grotta col sovrastante castello e niente meno col monte Gargano (Marrocco 1993, 192).

È dunque da ipotizzare che anche la dedicazione di questa grotta di S. Michele risalga alla fine del IX secolo allorquando, caduta la Langobardia Maior, nel Ducato Beneventano si enfatizzò il culto all’Arcangelo che i Longobardi avevano assunto quale loro protettore nazionale, dopo averlo identificato con Wotan. Probabilmente è di poco più recente di quella sul Monte Melanico con la quale condivide la mancanza dei ricchi cicli pittorici delle grotte di Curti e di Faicchio.

Da questo luogo di culto trasse il nome un abitato circostante del quale sono evidenti tracce. Quando in età normanna l’abitato si trasferì in alto, rialzando le mura sannitiche, il toponimo si spostò o meglio si raddoppiò: S. Michele restò ad indicare il santuario e il poleonimo S. Angelo con l’apposizione burocratica Ravecanina migrò in alto, per poi tornare sulle pendici nell’attuale sito di Sant’Angelo.

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