Piedimonte_23

Cap. XXIII

INDUSTRIE MANIFATTURIERE

(pp. 215-231)

INDUSTRIA DEI PANNI DI LANA – Fiorivano in Piedimonte, nei secoli scorsi, non poche industrie manifatturiere, in particolar modo quella dei panni di lana, con opifici lungo le rive del Torano.

Tre fattori avevano creato questo sviluppo: l’operosità degli abitanti, l’abbondanza delle acque, e la produzione della lana per il numero considerevole di pecore nelle praterie del Matese.

Che questa industria rimonti a tempi ormai remoti lo dimostra il fatto che nell’anno 1222 Federico II confermò, come altrove abbiamo scritto, a Taddeo Abate della Ferrara, un « Balcatorio... in castris Pedimontis ». Questa circostanza ci fa trarre l’illazione logica che l’arte della lana si sia propagata nell’Alifano sin dal Sec. XII, ad opera certamente dell’Ordine degli Umiliati, che fu benemerito, appunto, specie in Lombardia, dell’arte stessa. Infatti, accenni storici sull’esistenza nelle nostre contrade di maestranze ed opifici degli Umiliati, non mancano. Si ebbero in Vitulano e nell’attuale territorio di Tocco Gaudio, ov’era la celebre Badia di S. Maria della Grotta, largamente sussidiata dai Drengot – Signori di Aversa, Alife ed Avellino nel Sec. XII – come si ebbero durante il periodo angioino, quando dei banchieri fiorentini svilupparono nel Napoletano l’arte della lana. Però dall’epoca della cennata conferma di Federico II sino a tutto il ‘300, nessun’altra notizia rinveniamo intorno all’arte della lana e dei panni in Piedimonte, dove, però, la dobbiamo ritenere sempre continuata.

OPERAZIONI NELLA LAVORAZIONE – Per la lavorazione dei panni in ciascun opificio, vi erano tante sezioni per ognuna delle operazioni a compiersi, e cioè sezioni per la mondatura della lana, sgrassamento, cardatura, tessitura, gualcatura ed apparecchio, nella quale ultima operazione era compresa la garzatura, cimatura, tiratura, rivedimento e torcolatura.

CARDERIE – Non rinveniamo notizie intorno al numero preciso delle carderie esistenti nei Sec. XV e XVI. Esse, però, dovettero esser ben numerose. Nel Sec. XVII ne rinveniamo soltanto quattro indicate in atti notarili.

Una era del Magnifico Cesare De Ruggero Carafa di Napoli (Governatore di Piedimonte nel 1621 e 1633). L’alienò a favore del Duca Alfonso Gaetani per ducati 1200, come risulta dall’istrumento per Gio. Felice Castelli di Gioia in data 2 settembre 1634. L’opificio era sito « sotto la Taverna feudale » (Vico II Municipio).

Un’altra carderia si apparteneva a Ferdinando Macaro. Era sita nel luogo « detto alla Cartiera », nei pressi dell’attuale via Carmine. Venne acquistata dallo stesso Alfonso Gaetani (istrumento per Not. Castelli).

Una terza carderia era di Giulio Monte, e fu acquistata dal medesimo Alfonso Gaetani per 400 ducati (istrumento Castelli 30 sett. 1637).

Una quarta carderia apparteneva alla Duchessa Gaetani, Diana de Capua, pure nel luogo denominato « alla Cartera », che le era stata ceduta da G. Battista Macaro (istrumento per Not. Giacomo Cristiano di Napoli in data 16 agosto 1645).

Faceva parte della serie delle carderie il « Gargaglio », cioè un altro opificio di Casa Gaetani, nel quale, azionato dall’acqua, vi era un grosso fuso ricoperto di cardi, attorno al quale involgendosi il panno, e girando in continuazione, dava al medesimo quella grana necessaria per divenire un tessuto perfetto.

GUALCHIERE – Le fonti archivistiche ci menzionano una gualchiera di Casa Gaetani esistente nel 1507. Di tale epoca rinveniamo un privilegio di Onorato Gaetani, iuniore, col quale concesse facoltà a Ruggiero Frezzelle di Napoli di « valcare e tingere centocinquanta pezze di panno, franco di gabelle ».

Identico privilegio Onorato Gaetani concesse a 19 novembre 1508 ad Annibale Filomarino, nobile napoletano, cioè di « valcare e tingere 200 panni l’anno, franco di diritti baronali ».

Un’altra gualchiera di Casa Gaetani la rinveniamo fittata nel 1549 al nob. Ascanio Caracciolo di Napoli per duc. 930 annui.

Altra gualchiera, esistente nel 1559, era di Tommaso de Missere come risulta da un atto del Not. Pietro Macaro di pari data.

Geronimo ed Alfonso Zitelli vendettero nel 1599 la loro gualchiera ad Alfonso Gaetani per ducati 505 (istrum. Not. G. B. de Angelis del 27 gennaio 1599).

Nel 1620 Francesco Gaetani acquistò per ducati 255 la gualchiera degli eredi di Vespasiano Genovese (istrumento Notaio Castelli di pari data).

Un’altra gualchiera era di Giulio Gambella. Essa venne acquistata da Cesare di Ruggero Carafa (istrumento Not. Sepe di Piedimonte del 24 febbraio 1621).

Ferdinando Macaro vendette la sua gualchiera ad Alfonso Gaetani per ducati 350 (istrumento G. F. Castelli del 2 agosto 1634).

Altra gualchiera di Giovanni Genovese venne acquistata dallo stesso Alfonso Gaetani per ducati 350 (istrumento Not. Castelli del 1634).

Stefano Confreda e Prudenza De Benedictis vendettero la loro gualchiera, pure ad Alfonso Gaetani, per ducati 350 (istrum. Not. Castelli del 22 agosto 1634).

Caterina de Missere vendette ad Alfonso Gaetani la sua gualchiera per ducati 500 (istrumento Castelli dell’agosto 1634).

Un’altra gualchiera acquistò Alfonso Gaetani da Cesare di Ruggero Carafa per ducati 1200 (istrumento Castelli del 2 settembre 1634).

Francesco di Contenta vendette la sua gualchiera ad Alfonso Gaetani (istrumento Castelli 3 aprile 1635).

Anche Ercole Battiloro vendette al Gaetani la sua gualchiera per ducati 125 (istrumento Castelli 3 aprile 1635).

Camillo Jannunzio, proprietario di una gualchiera, la vendette allo stesso Alfonso Gaetani per ducati 150 (istrumento Not. Castelli 3 aprile 1635).

Cesare d’Amico, possessore di due gualchiere, le vendette ad Alfonso Gaetani per ducati 425 (istrumento Not. Castelli del 1635).

Un’altra gualchiera, appartenente a Giulio Monte, venne acquistata da Alfonso Gaetani per ducati 400 (istrumento Not. Castelli del 30 settembre 1637).

Nicola Franc. Costantini, proprietario di un’altra gualchiera, l’alienò a favore del medesimo Gaetani (istrumento Castelli del 30 settembre 1637).

Lo stesso Alfonso Gaetani acquistò la gualchiera di Cristoforo De Parrills, (istrumento 9 ottobre 1637).

Un’altra gualchiera, infine, dei PP. Cappuccini, già dei Gaetani, venne retrocessa nel 1778 a costoro, previo rimborso di ducati 100 per migliorie apportatevi durante l’uso.

Come si vede, tutte le gualchiere esistenti in Piedimonte nel Secolo XVII, in numero di venti, erano in possesso di Casa Gaetani.

Alfonso Gaetani – che portò al massimo limite la ricchezza di sua Casa, dando, in pari tempo, incremento e sviluppo alle industrie locali – segnò così il suo nome nelle pagine d’oro della storia paesana.

TINTORIE – Nel 1507 troviamo fiorente in Piedimonte l’industria della tintoria esercitata da Casa Gaetani. Ne abbiamo notizia nel citato privilegio di Onorato Gaetani juniore a favore di Ruggiero Frezzelle di Napoli. Essa, naturalmente, esisteva fin dall’impianto delle prime fabbriche di panni. Le droghe per tingere, venivano fornite, nel sec. XVIII, dal mercante Giuseppe Baldi di Livorno.

La tintoria dei Gaetani era composta di un vasto edificio di sei vani. Nei primi tre vi erano tre recipienti cilindrici con cavi per uso di cottoi e con corrispondente caldaia a vasca; negli altri, denominati « Casa dei vascelli » con grande caldaia, vi erano anche due recipienti cilindrici ed il vascello.

Muzio Gambella era anch’egli proprietario di una tintoria, nel 1632, sita nella località denominata « Inferno », località non potuta identificare.

Un’altra tintoria era al « Ponte dell’Ossa » (Via S. Rocco) appartenente nel Sec. XVIII alla famiglia Onoratelli.

Una quarta tintoria trovavasi accosto alla « Taverna Feudale », ed era di proprietà di Cesare di Ruggero Carafa, che, nel 1634, la vendette al Duca Alfondo Gaetani. Venne fittata nel 1787 a Giov. Antonio De Gregorio per ducati 850 l’anno.

Un’altra tintoria, nei pressi del Ponte del Carmine, era di Vincenzo Del Vecchio, figlio di Giovanni. Alfonso Gaetani l’acquistò per metà, come risulta dall’istrumento per Not. Cristiano di Napoli in data 21 maggio 1644.

Nel 1812 le medesime tintorie erano ancora esistenti ed appartenevano, rispettivamente, a Casa Gaetani, ed alle famiglie Buiani, Sepe, Gagliani, Onoratelli e Ragucci.

LANIFICIO DEL “CONSERVATORIO” – Questo grandioso fabbricato, presso il largo S. Sebastiano, oggi completamente inutilizzato, era in origine un Orfanotrofio denominato “Conservatorio”, fondato dai coniugi Niccolò Gaetani ed Aurora Sanseverino unitamente all’Università, per ricoverarvi le fanciulle orfane, povere ed oneste di Piedimonte. Le fabbriche dell’edifizio s’iniziarono nel 1719 e terminarono nel 1737. Il « Conservatorio »fu dato agli Economi della Chiesa di S. Maria Occorrevole, e dotato di 500 pecore del valore di 700 ducati.

Con dispaccio reale in data 3 luglio 1746 esso venne chiuso, e la Madre Superiora che lo dirigeva, sfrattata da tutte le Terre di Casa Gaetani « per la sua condotta tirannica e scandalosa », come dicono i documenti. Le fanciulle furono restituite ai parenti. Gli Economi di S. Maria Occorrevole, con istrumento per Not. Cicerchia di S. Angelo Raviscanina del 5 dicembre 1764, lo cedettero a Casa Gaetani per duc. 2083 pagabili in 12 ducati l’anno. Successivamente essi affacciarono la nullità della cessione, ma con sovrana determinazione fu ordinato riconoscerne proprietaria la Casa in parola. Nel 1807 il « Conservatorio » fu trasformato in lanificio da parte dei Gaetani. Esso ha avuto efficienza sino a quasi quarant’anni or sono, quando venne dismesso, non potendo sostenere la concorrenza delle industri similari delle province vicine. Il macchinario venne ceduto ad un privato, e da questo rivenduto ad un industriale abruzzese.

LANIFICIO DEI PP. CAPPUCCINI – Funzionava nel Convento di S. Francesco in via Petrara, oggi adibito a Scuola Agraria. I Gaetani l’avevano ceduto ai PP. Cappuccini. Nel 1778 la lavorazione cessò, mentre le macchine, trasportate a Napoli, vi furono vendute.

LANIFICIO REUL & C. – Soppresso il Convento dei PP. Cappuccini, il fabbricato, con Decreto del 24 novembre 1814, venne concesso gratuitamente per anni quattro a Giovanni Reul di Limburg (Fiandra), per l’impianto di una manifattura di panni di lana. Al Reul si associarono: il suo conterraneo Raimondo Peissonnier, il Duca di Laurenzana e Giovanni Muratori di Bologna, giusta istrumento per Not. Servillo di Napoli. La manifattura funzionò per poco tempo, perché i due primi industriali, Reul e Peissonnier, si allontanarono da Piedimonte lasciando non pochi debiti ed insoddisfatti gli operai.

LANIFICIO DELLA POLVERIERA – Così denominato perché sito nei pressi dell’antica conserva di polveri sulla strada provinciale per Caserta. Era di proprietà di Casa Gaetani. Nel 1833 il lanificio fu dato in fitto a Luigi Dalgas con fideiussione delle Ditta Loeffler e Kreutz. Poi passò alla Ditta Giovanni Valgas, indi a Giovanni Brunn che confezionava rinomati castori.

Nel 1855 troviamo il lanificio in fitto a Heugel e Cuny, e nel 1857 soltanto a quest’ultimo che fabbricava anche telerie stampate. Dopo tale epoca il lanificio cessò la lavorazione.

LANIFICIO COLELLA – Ne era proprietario Antonio Colella, oriundo del Sorano. Questo lanificio era sito in via S. Rocco. Vi lavoravano non pochi operai. Venne dismesso circa trent’anni or sono.

TIPI DEI PANNI DI LANA – I panni di lana fabbricati in Piedimonte, erano di tipi svariati, alti sei palmi, e nelle tinte: bleu, nera, grigia, marrone, rossa e verde. Alcuni campioni di questi panni sono conservati nel Museo Civico.

Il panno di castoro era soltanto nelle tinte bleu e verde. Il panno « sottofino » e quello ordinario erano a tinte miste. Il panno rosso veniva confezionato con lane infime; il « londrino » era rigato, a colori, oppure di una sola tinta, come: « verdedrago », marrone, o « cenerino »; il « pelongino » era formato di lana di capre d’Angora mista a lana pecorina e nelle tinte marrone o « verdedrago ».

Dei panni di lana fabbricati in Piedimonte si forniva Carlo VI d’Austria per equipaggiare i suoi eserciti. Quel sovrano li reputava superiori, per qualità, a quelli d’Inghilterra e di Olanda. Ciò viene attestato dallo stesso Imperatore nel Privilegio col quale eresse a Città la Terra di Piedimonte. Degli stessi panni venivano fornite anche le ciurme delle regie galere, tanto vero che nell’anno 1684 Casa Gaetani confezionò 2000 canne di panno rosso detto strafino. I panni di Piedimonte si esportavano anche a Napoli, Salerno e in Sicilia. A Napoli vi era un magazzino di vendita presso il palazzo del Principe di Teora alla Pietrasanta.

Alla fiera di San Germano (Cassino) i mercanti di Piedimonte erano esenti dal pagamento dei diritti di dogana.

Era tanta, poi, la richiesta dei nostri panni che occorse lavorare negli opifici anche nei giorni festivi, meno i solenni, come risulta da un Breve Apostolico del 4 luglio 1661.

Il Pacichelli ricorda che i panni di Piedimonte erano simili a quelli di Matelica e di Padova, e dice che nelle nostre fabbriche lavoravano anche operai olandesi.

IL « PURGOLO » – Tutti i panni di lana prodotti nelle fabbriche, venivano sottoposti al « purgolo », per essere depurati delle materie grasse. Nel 1754, per ogni panno di canne 24, si pagavano per il purgolo 31 carlini (L. 13,02).

Quest’opificio trovavasi al Toranello, in fondo al Vico I Municipio. Ne era proprietario Vincenzo Costantini che nel 1636 lo vendette ad Alfonso Gaetani per 30 ducati (istrumento Not. Castelli del 15 febbr. 1636).

GARZERIE – Oltre agli opifici la Casa Gaetani possedeva due garzerie nei pressi del « Ponte dell’Ossa » (Via S. Rocco).

CORPORAZIONI E CONSOLI – Dato lo sviluppo delle industrie della lana e dei panni, le maestranze non potevano che essere erette in Corporazioni. Di queste ci mancano gli Statuti. Che sieno effettivamente esistite ce lo dimostrano varie notizie rinvenute negli Archivi locali, specie il fatto che nel 1754 era esistente il « Bollo » per riconoscere i lavori dei lanifici. Esso trovavasi al Mercato (Piazza Municipio). I Consoli per l’arte della lana, erano, in quel tempo, i magnifici Francesco De Angelis e Marcellino Iannitelli, e per quella dei panni rinveniamo Pietro Antonio De Stefano. Nel 1790 era Capoconsole della « nobile arte della lana » – come dicono alcuni documenti Vincenzo Natalizio, che rivestiva anche la carica di Cassiere del Lanificio del Conservatorio.

Da un censimento della stessa epoca risulta che in Piedimonte vi erano 181 cardalani, 43 azzimatori (cimatori), 30 valcaturari (gualchierai), 1 stracciapezze, 43 tessitori di panni, 13 tintori, 5 stiratorai, 1 mercante di lana e 22 mercanti di panni, cioè 339 individui, oltre i fabbricanti, adibiti alla produzione della lana e dei panni.

Nel 1813 i fabbricanti di panni erano, oltre i Gaetani, Paolo Sepe, Pasquale d’Orsi, Michele Imperadore, Gennaro Merolla, Domenico Coppola, Antonio De Sanctis e Francesco Iannucci.

Mentre ci mancano gli statuti antichi, abbiamo notizia di quelli per l’arte della lana rifatti nel 1630 da Alfonso Gaetani. Essi contenevano sette capitoli. Furono nuovamente rifatti da Niccolò Gaetani il 23 gennaio 1788. Quelli per l’arte dei panni furono anch’essi rifatti il 3 febbraio 1787 dallo stesso Niccolò Gaetani.

I PANNI DI PIEDIMONTE PREMIATI – Nell’esposizione del 1813 tenutasi in Napoli, Onorato Gaetani venne premiato con Medaglia d’Oro per la qualità dei panni fabbricati nei suoi opifici di Piedimonte.

VENDITA DEI PANNI – La vendita dei panni veniva regolata da norme speciali, consacrate naturalmente negli statuti delle Corporazioni, e ciò allo scopo di evitare frodi in commercio. Quest’uso, in vigore dal Sec. XV, è perdurato fino a tutto il 1860. In quest’epoca si adoperava ancora, presso l’ufficio municipale, la « mezza canna » in bronzo per i controlli relativi alle misure delle stoffe vendute dai negozianti. Essa ora è nel Museo Civico.

Negli Statuti della Terra (anno 1481) era consacrata la seguente disposizione in ordine alla vendita, su misura, dei panni: « Item ch. ciascheuna p.a tanto citadino q.nto frusteri ch. venderà panni li deba vendere cô mezza canna et brasolaro iusti, aiustati p. li dicti iudici et chi côtrafara sia tenuto ala pena de uno augustale ».

INDUSTRIA DELLA TELA – Nei tempi precedenti l’impianto della Filanda Egg di cui ci occuperemo, la confezione della tela veniva fatta con telai a mano, a domicilio.

La canapa ed il lino, oltre ad essere importati, venivano coltivati negli orti del territorio ai quali si dette il nome di « cannavine » (canapine), denominazione tuttora esistente, quantunque la canape non venisse più coltivata da quasi un secolo.

Ignoriamo il numero dei telai a mano che esistevano precedentemente all’introduzione dei telai meccanici. Però da un calcolo fatto su alcune statistiche dei primi tempi del Sec. XIX, risulta che i telai ammontavano a parecchie centinaia.

In Piedimonte – è detto nel Dizionario Corografico – « si cominciò per la prima volta a perfezionare il modo di filare i lini ». Il che vuol dire che il progresso di questa industria in altri paesi d’Italia si deve agli antichi nostri industriali.

FILANDA EGG – Questa importantissima filanda, fondata dal cittadino svizzero Gio. Giacomo Egg, distrusse, com’era naturale, l’industria casalinga della tela. Nel 1812, con decreti 8 giugno e 17 dicembre, venne concesso all’Egg il grandioso locale del soppresso Convento del Carmine. Nel 1813 la filanda iniziò la sua vita, sviluppandosi considerevolmente negli anni seguenti. Occupò parecchie centinaia di operai – uomini, donne e fanciulli – con maestranza svizzera, e l’Egg riuscì ad affermarsi in tutti i principali mercati della Nazione. Al Gio. Giacomo Egg, successe il figlio Gaspare, ed alla more di questi, il benemerito Cav. Giacomo Egg.

Nel 1841 la filanda venne visitata da Ferdinando II che, rientrato nella Reggia, inviò all’Egg quattro medaglie d’argento pei quattro suoi principali operai.

In questa filanda esistevano, nel 1846, ben 36 filatoi che davano, ogni anno, 4275 cantaia di cotone filato, e vi erano macchine per torcere i filati, per incannare gli orditi, imbiancare i tessuti, mangani per apparecchio, tintorie, ed un laboratorio chimico. Vi erano in movimento 500 telai che tessivano ogni anno 300.000 pezze di tela bambagina e di lino, lunghe da 9 a 20 canne ciascuna.

UNA FILANDA MANCATA – Nel 1827 si era per impiantare una seconda filanda, pure ad iniziativa d uno svizzero, Sebastiano Sondregger, già Direttore della filanda Egg. Il Sonderegger chiese al Governo un fabbricato di proprietà dello Stato – forse qualche altro convento soppresso – per impiantare una manifattura di tele e cotoni. Le trattative ebbero buon esito, tanto vero che il Ministro degli affari interni interessò il Municipio a mezzo dell’Intendente della Provincia (Prefetto) e del Sotto-Intendente (Sottoprefetto), di agevolare il Sonderegger, facilitandolo nella lodevole iniziativa. Senonché, sei mesi dopo, l’Intendente scrisse al Sotto-Intendente, e costui al Municipio la seguente strana lettera: « Di riscontro al suo rapporto del dì 28 giugno ultimo, n. 11621, la prego di fare ordine al Sig. Sebastiano Sonderegger di partir subito da cotesto Comune di Piedimonte nel termine improrogabile di giorni otto, elassi i quali lo farà scortare dalla Gendarmeria, onde farlo trasportare fino ai confini del Regno ».

Il Sonderegger partì... e a Piedimonte venne a mancare una seconda filanda, che avrebbe forse dato al paese maggiore sviluppo industriale.

COTONIFICIO BERNER E COTONIERE MERIDIONALI – A seguito delle sventurate vicende economiche dell’Egg la filanda passò alla Ditta Amedeo Berner nel 1881. Questa trasformò man mano l’antico macchinario, ed ingrandì di altri fabbricati il cotonificio, corredandolo anche di un’officina di produzione elettrica, e ponendolo tra i primi d’Italia. Infatti i prodotti fabbricati in Piedimonte, oltre ai mercati italiani, venivano, come del resto anche oggi, esportati all’estero. Durante il grande conflitto europeo il Berner si ritirò dall’azienda, che passò, prima ai Cotonifici Riuniti di Salerno, poi alle Cotoniere Meridionali.

Alcuni reparti dell’importante Cotonificio sono stati soppressi di recente, come il biancheggio e la fonderia, le cui operazioni vengono fatte negli altri stabilimenti della Ditta.

Al presente – tra uomini, donne e fanciulli – vi lavorano oltre cinquecento operai.

COTONIFICIO DE MAY – Nel primo quarto del Sec. XIX, un’altra manifattura di tessuti di cotone, lino e canape era in piena efficienza in Piedimonte. Da un Decreto del 12 febbraio 1827 n. 1283, apprendiamo che il bollo di piombo che si apponeva con fili di seta alle pezze di tela, aveva nel primo giro della parte concava, la leggenda: « Regio Fondaco di privative di Piedimonte d’Alife »; nel secondo giro: « Fabbrica di tessuti di cotone, di lino e canape », e nel mezzo: « di Carlo Teofilo de May ». Nella parte convessa vi era l’emblema del cavallo sfrenato.

Alla fine dell’anno 1828, la medesima manifattura si trasferì in Napoli, e con Decreto n. 2204 del 29 dicembre di quell’anno essa ebbe un nuovo bollo di piombo nel quale venne, naturalmente, soppressa la leggenda riguardante Piedimonte.

CARTIERE – Poiché nell’istrumento del 26 agosto 1645 per Not. Cristiano di Napoli, di cui abbiamo fatto cenno, è scritto che la carderia di G. B. Macaro era sita nel « luogo detto alla Cartera », è chiaro che ivi, prima della carderia in parola, esistesse una fabbrica di carta. Infatti da un istrumento di fitto fatto a Giovanfrancesco Vicentino, rileviamo che la cartiera era in piena efficienza sin dal 1578. L’Onciario del 1754 appena l’accenna. Rinveniamo però un documento, di poco posteriore a tale epoca, cioè del 1778, che è poi un inventario di questa cartiera. Da esso risulta che la medesima era di proprietà Gaetani. L’inventario venne redatto in occasione del fitto che ne fece la Casa al magnifico Giacinto Paterno, il quale a sua volta, era succeduto ad Ignazio Notarangioli. Da questo documento, che possediamo in originale, risulta che la cartiera conteneva pile di pietra, lastre di ferro, caldaie per colla, tinelli per fondere la carta, maglio con acciarino per battere la carta e forme per la fabbricazione di diciotto qualità e tipi, cioè: Papale, Genova, Francese, Realella del Giglio, Arma di Casa Gaetani, Giglio Reale, Papera, Angora, Segretaria, Bastardella, Reale, Imperiale, Impresa Reale, Coroncina, Stampa, Arcimperiale, Peorica, ecc. nonché: marmi, bastoni di ferro e di legno, scure a martello, catini, falci, seghe, stadera, bilance, cavalletti, mole, telai, compressori, forbici, ecc. La cartiera possedeva anche tre spanditoi nei suoi paraggi.

Date le svariate qualità di carta bianca, appare evidente che la cartiera di Piedimonte doveva essere una delle principali del Regno di Napoli e che, quindi, doveva avere una produzione assai notevole, ma scemata in prosieguo, fino alla cessazione della fabbrica, che avvenne non si sa se per l’impianto di altre congeneri nel Regno, delle quali non seppe forse sostenere la concorrenza, o per incuria dei proprietari a svilupparla maggiormente, adattandola alle nuove condizioni della produzione e del commercio generale.

CARTIERA MARTINO – Una fabbrica di cartoni venne impiantata nel 1861 – nello stesso locale ove nel 1632 era la gualchiera di Mario Confredo (località Isola) – da Domenico Martino, oriundo d’Isola del Liri. Egli venne in Piedimonte verso il 1840 in qualità di maestro-meccanico della filanda Egg. Venti anni dopo fondò la sua Cartiera. Attivo e intelligente, costruì egli stesso coi risparmi della sua mercede, non poche macchine, e riuscì, col tempo, a trasformare e a rendere rinomata l’industria dei cartoni, della carta d’imballaggio, e della carta-paglia. Alla morte del Martino, l’industria è stata continuata dai figli Enrico, Luigi e Giovanni, e poi dai due ultimi solamente.

CARTIERA DELLA POLVERIERA – Un’altra fabbrica di cartoni e carta-paglia fondarono Enrico e Giacinto Martino, cugini, presso la Polveriera, il cui locale era di proprietà Gaetani, ove esisteva l’antico lanificio; ma dopo alcuni anni venne dismessa, e quindi ripresa dalla ditta Degni, che a sua volta, per varie vicende, smise la fabbricazione.

FABBRICA ITALIANA CARTONI ED AFFINI – Recentemente la Società Cartaria Sannita, e per essa la Ditta Cilento e Rossinger, ha impiantata, nel medesimo fabbricato, l’industria del « pisto » per la sua trasformazione in cartoncini. Da qualche anno la Ditta ha sospeso la lavorazione.

INDUSTRIA CONCIARIA – Una delle industrie più antiche di Piedimonte è stata quella della concia delle pelli. Veniva però praticata con sistemi primitivi. Un documento archivistico ci dà notizia di una industria conciaria già esistente nel 1559. È riportata nel citato istrumento del Not. Pietro Macaro. Da esso rileviamo che tal Gio. Tommaso de Missere, volendo costruire una gualchiera sul Torano e poiché la stessa avrebbe impedito il deflusso delle acque in una grotta che serviva « per esercitio delle pelli » si obbligava innanzi al Not. Giov. de Bernardo, giudice annuale dell’Università « ed a tutti e qualsivoglia conciatori di pelli absenti come presenti » di « far realmente et con effetto che l’acqua del curso del torano quale vene da capo Torano, abbia d’andar a sufficientia dentro della Grotta ad opus et instantia dell’arte delle detti Pelli ». Il che prova anche che questa industria era eretta a Corporazione.

Nel Secolo XVII vi era una conceria gestita da Antonio Monte in via Carmine. Egli però nel 1675, la vendette per D. 450 alla Duchessa Gaetani, Donna Cecilia Acquaviva (istr. 4 feb. 1675 per Not. De Angelillis di S. Angelo Raviscanina).

Nel 1754 vi era un’altra conceria di cui ignoriamo il proprietario.

In tal’epoca si contavano in Piedimonte sette conciatori di pelli.

CONCERIA POIRAT – Nei primi anni del Sec. XIX l’industria conciaria locale subisce una notevole trasformazione tecnica, perché un tal Giovan Battista Poirat di Lione, stabilendo in Piedimonte la sua industria conciaria, comincia ad adottare sistemi più razionali di concia, fabbricando lo chagrin (zigrino), il marocchino e il vitellino francese, oltre la pelle di guanto bianca.

CONCERIE VASTANO – Prima del Poirat, che uscì dal Regno dopo la caduta di Murat, esercitavano l’industria conciaria i fratelli Vastano nelle proprie concerie in via Carmine, al vico Cartiera e nei pressi del Ponte dell’Ossa alla via S. Rocco. Gli eredi dei medesimi gestiscono ancora una conceria in quest’ultima località.

RAMIERE – Fino a circa trentacinque anni or sono Piedimonte vantava due ramiere. Una però era già esistente nel Sec. XVI (risulta fittata a Bernardo Di Giovanni nel 1561 da parte di Cassandra de Capua, duchessa di Laurenzana); l’altra venne fondata più tardi. La prima era in un grande fabbricato di via Palombaia (via Sannitica), ove nei principî del Sec. XVI esisteva una gualchiera; la seconda era in via Sorgente, accosto all’antico Molino.

In entrambe vi erano i forni per la fusione del rame, il quale, appena fuso, veniva riversato in apposite formette per essere rappigliato e raffreddato, formandosene tanti « pani » quante cioè erano le formette. Un primo « pane » veniva sottoposto al parziale schiacciamento di un potentissimo maglio di ferro del peso medio di due quintali, mosso a forza idraulica, ed in esso – appena diveniva di una certa capacità cubica – venivano collocati altri « pani », fino a 10-15. Indi ricominciava lo schiacciamento ottenendosi, così, man mano, una massa unica, che, allargandosi, diminuendo di spessore, finiva per diventare concava e della voluta capacità. Indi passava alla forbice pel taglio dei bordi irregolari. Eseguita tale operazione, venivano tratti ad uno ad uno, a mezzo di tenaglie, tanti fogli concavi di rame, sottili e malleabili, per quanti erano stati i « pani », e ciascun foglio rappresentava in forma grezza già un recipiente. Essi venivano in ultimo venduti parte ai ramai locali e parte a quelli di paesi lontani che li lavoravano a martello formandone utensili da cucina e per uso casalingo.

Tra gli esercenti delle due ramiere vi furono nell’ultimo quarantennio i Milone ed i Marzullo, ed in ultimo i germani Sessa Alfonso e Gerardo, tutti provenienti dal Salernitano.

MOLINI – I più antichi molini che si ricordano erano tre di proprietà della Casa Gaetani, che ne aveva la privativa. In prosieguo di tempo, dopo l’abolizione della feudalità, la famiglia De Benedictis impiantò, nel 1808, un molino nella località Chiusa, acquistato, poi, dal Comm. Achille Del Giudice, e pervenuto al Municipio nel 1889 per effetto di vendita giudiziale forzata.

Al presente Piedimonte conta soltanto due molini, uno del Municipio, l’altro della Società Elettrica della Campania, avente causa da Casa Gaetani, ceduto a Nasti Gio. Giuseppe, il quale, in unione di altri Soci, lo ha presentemente trasformato a cilindri, installando un moderno macchinario capace di una notevole sfarinatura giornaliera.

PASTIFICI – Nel 1754 rinveniamo soltanto due fabbricanti di paste. Nel 1886 il Conte Antonio Gaetani fondò un pastificio annesso al molino delle Tiratoie, gestito da tempo dal medesimo industriale Nasti, che smercia i suoi prodotti, oltre che nel Circondario, anche in lontani paesi.

SEGHERIE IDRAULICHE – L’una venne fondata quasi trent’anni or sono da Francesco Scappaticcio nel vico II Municipio, azionata da forza idraulica, l’altra da Pasquale Masciotta, nel 1917, nell’antico lanificio Colella, in via San Rocco. Quest’ultima è stata dismessa nel 1922, ma nel 1923 fu ripresa dall’Ing. Domenico Izzo.

FABBRICA DI GIOCATTOLI – Venne impiantata nel 1920 ad iniziativa della Ditta Iappelli, Vetere e C. Alla morte del primo, l’industria venne continuata dall’altro, che però la sospese nel 1922. È stata l’unica fabbrica del genere nella Provincia. Vi si confezionavano svariati giocattoli ed in principal modo cavallini di carta-persta di fattura uguale, se non superiore, a quella delle principali fabbriche italiane.

INDUSTRIA DELL’OLIO – L’industria dell’olio di oliva è di origine antichissima. I frantoi a sistema primitivo erano in numero di ventidue nel 1865. Al presente se ne contano nove.

Un tipo moderno di frantoio meccanico, igienico, azionato a vapore, è quello dell’On. Dott. Angelo Scorciarini-Coppola sulla strada provinciale per il Matese, sorto nel 1908, dopo quello di via Cila, pure meccanico, azionato a forza idraulica, di Casa Gaetani, dismesso da oltre un trentennio.

INDUSTRIA CERAMICA, DELLA TERRACOTTA E CALCESTRUZZO – Nel secolo XVII esisteva in Piedimonte una fabbrica di ceramica della famiglia Battiloro. Ignoriamo in quale sito si trovasse e quanto tempo durasse. Di certo è questo che esistono ancora numerosi prodotti della fabbrica, specie i cosidetti vasi di farmacia. Nel Museo Civico sono conservati alcuni di questi vasi ed altri sono presso antiche famiglie locali. I vasi grandi, a smalto bianco e decorati in giallo, portano l’arma di Casa Battiloro, consistente in uno scudo nel cui campo è un’incudine ricoperta di oro e nel capo un martello in atto di battere. Ad uno dei vasi conservati nel Museo, oltre lo stemma, vi è la dicitura: « Giuseppe Batteloro 1691 ».

Verso i primi anni del Secolo XIX si hanno tracce dell’industria figulina o delle terrecotte sita nel vico I Municipio. Era un’industria di grande utilità pei nostri paesi. Venne dimessa da pochi anni, dopo cioè la morte del proprietario Andrea Ciaburri.

L’industria del calcestruzzo, impiantata dal Signor Luigi Boggia una quindicina d’anni or sono, ltre a ciò che può interessare le costruzioni edilizie, foggia piastrelle colorate, tubi, prismi, cornici e monumentini.

FABBRICAZIONE DELLE ACQUE GASSOSE – La prima fabbrica di acque gassose venne impiantata nel 1906 da tale Umberto Gaudiano di S. Maria C. V. Ebbe vita assai breve.

Una seconda sorse ad opera di Giovanni Vetere fu Casimiro nel 1908. Alla di lui morte la continuò il Sig. Luigi Capasso, ed alla morte di costui fu ripresa da Andrea De Caro, che l’ha smessa nel 1920.

Una terza fabbrica venne impiantata da Giuseppe Matarazzo, pure nel 1908, ed è attualmente in discreta efficienza.

FABBRICAZIONE DEL SAPONE E DELLA CERA – Questa industria la dobbiamo alla iniziativa del Sig. Raffaele Consales, che nel 1906 ne volle dotare Piedimonte fino allora soggetta alla importazione forestiera. L’industria da qualche tempo è continuata dal figlio Antonio, ed è l’unica nelle nostre contrade. La fabbrica è sita al Vico Cartiera.

INDUSTRIA DEL GHIACCIO – È sorta nel 1922 ad iniziativa di un gruppo di concittadini che costituirono una società intitolata: S.I.A.G.A. (Società in accomandita ghiaccio artificiale). Ne sono amministratori delegati gli avv. Rossi Raffaele e Merolla Raffaele. Nel 1924 la gestione, in appalto, è tenuta dai signori Angelo Martino e Pasquale Masciotta.

Questa fabbrica può produrre fini a cinquanta quintali di ghiaccio giornaliero essendo fornita di speciale macchinario. Per la qualità e bontà dell’acqua potabile il prodotto presenta tutti i requisiti igienici.

INDUSTRIA ELETTRICA MUNICIPALE – Oltre all’impianto elettrico delle Cotoniere Meridionali per uso del Cotonificio, Piedimonte vanta la produzione di energia elettrica municipale a scopo d’illuminazione pubblica e privata. Sorse sotto l’Amministrazione del Dott. Guglielmo Della Villa. Si costruì all’uopo apposita officina nella località « Chiusa » con macchinario fornito dalla Società Lahmeyer. Ciò si verificò nei primi mesi del 1906 e nel luglio di tale anno l’officina era in perfetta funzione. Fu un vero avvenimento storico e di civiltà, perché fino allora il paese veniva rischiarato, nelle sere di novilunio, da lumi a petrolio, e nelle altre... dai raggi della luna.

IMPIANTO ELETTRICO DEL MATESE – Questo grandioso impianto è stato costruito dalla Società Meridionale di Elettricità con sede in Napoli ed è costato cinquanta milioni. Esso venne iniziato nel 1919 e soltanto nei primi mesi dell’anno 1923 è entrato in regolare servizio. L’impianto sfrutta le acque del Lago Matese che vengono utilizzate su due salti successivi, uno posto in Valpaterno, l’altro ai piedi del monte Cila, per una caduta utile totale di 800 metri. Le acque di scarico vengono immesse in Piedimonte nel torrente Maretto, che viene così aumentato di volume.

L’importante impianto è destinato ad integrare gli altri della Società Meridionale di Elettricità. Esso potra dare da 50 a 60 milioni di Kilowattora annui, con una potenza massima nella prima fase di 24,000 cavalli, elevabili in una seconda fase a 48,000.

IMPIANTO MATESE- Costruzione di dighe

CENTRALE ELETTRICA di Valpaterno

CENTRALE ELETTRICA alle falde del Cila

La bell’opera fu studiata per la parte idraulica dagli ingegneri Angelo Amodeo e Luigi Mangiagalli e l’esecuzione diretta dall’Ing. Guido Fano, Capo dell’Ufficio-studi e Lavori della Società.

L’impianto è costituito dalle opere seguenti:

a) Dighe di terra al Lago Matese, del volume di diecimila metri cubi, destinate ad isolare gli inghiottitoi, che sono nel lago stesso per poter elevare il pelo d’acqua fino a quota 1012, in modo da costituire un serbatoio con la capacità di 14 milioni di metri cubi. In seguito, con una sopraelevazione di altri due metri, la capacità del serbatoio si porterà a 25 milioni.

b) Galleria forzata, scavata in roccia calcarea, della sezione di quattro metri e della lunghezza di due chilometri e mezzo, prevista per portare sei metri cubi d’acqua al secondo. All’inizio della galleria vi è un pozzo di presa con paratoie per regolare l’immissione dell’acqua: alla fine vi è un pozzo piezometrico coll’orlo alquanto più alto del livello del lago. La galleria forzata è rivestita in muratura e parte semplicemente coperta con intonaco di cemento applicato mediante aria compressa.

c) Condotta forzata del primo salto, che s’innesta alla galleria precedente, ed è costituita, nel tratto inferiore, di lamiera saldata con diametro decrescente da metri 1,20 a m 0,85. Per ora è posta in opera una sola tubazione per una portata normale di mc. 3 al minuto secondo. Ad impianto completo le tubazioni saranno due.

d) Centrale del primo salto, in Valpaterno, contenente due gruppi idroelettrici capaci ciascuno di smaltire un metro cubo e mezzo d’acqua al secondo e ciascuno della potenza di 7300 HP sotto il dislivello massimo lordo di 480 metri. La centrale è prevista per essere completa con altri due gruppi uguali a quelli già in opera.

e) Canale del secondo salto, lungo tre chilometri, a pelo libero, parte in galleria e parte in trincea coperta con soletta in cemento armato. Il canale contiene i cavi a 10,000 Volts trasportanti l’energia generata dalla Centrale del primo salto.

f) Camera di scarico del secondo salto della capacità di 15,000 metri cubi, destinata a sottrarre la Centrale del secondo salto dalle variazioni di esercizio della centrale del primo salto. Ha uno specchio d’acqua di circa 3800 mq.

g) Condotta forzata del secondo salto, con diametro decrescente da metri 1,20 a m 0,90 per ora semplice, ed in avvenire da raddoppiarsi. Accanto alla condotta forzata è posto in opera un tubo di scarico in lamiera chiodata del diametro di 700 mm destinato a smaltire l’acqua che non fosse utilizzata dalle macchine.

h) Centrale del secondo salto, presso la sorgente Maretto in Piedimonte, alle falde del Cila, contenente due gruppi idroelettrici, che, poi, saranno quattro, ciascuno capace di ricevere un metro cubo e mezzo di acqua al secondo, e ciascuno della potenza di 5000 HP. Gli alternatori generano correnti trifase a 10,000 volts. Il dislivello lordo massimo è di metri 355.

Nella Centrale del secondo salto viene condotta anche l’energia elettrica prodotta dalla centrale superiore di Valpaterno.

La linea elettrica di trasporto fra le due centrali è costituita da cavi isolati subacquei e sotterranei, che corrono rispettivamente lungo il canale e lungo la condotta forzata del secondo salto. L’energia è poi trasformata, elevandosene il potenziale da 10 mila a 64 mila volts, mediante tre trasformatori – in seguito saranno quattro – della potenza di 12 KVA ciascuno, installati in un edifizio annesso alla Centrale del secondo salto il quale contiene pure i quadri e gli apparecchi di manovra.

Nell’impianto Matese sono stati applicati con larghezza i dispositivi automatici comandati elettricamente a distanza, per regolare la tensione del carico, del livello dell’acqua ed anche per il governo del carico nella Centrale del primo salto da parte del personale che si trova nella Centrale di Piedimonte.

VALPATERNO – Pozzo piezometrico

All’infuori, poi, della parte saldata della tubazione, che venne fornita dalle Officine di Dillingen, tutto il macchinario è di fabbrica nazionale. La parte chiodata della tubazione è delle Officine di Savigliano. Le turbine sono della Socità Riva pel primo salto e della Società Tosi pel secondo. Il macchinario elettrico è del Tecnomasio italiano Brown-Boveri.

Dall’impianto Matese partono due linee a 60,000 volts; quella per Napoli, lunga 70 Km ad isolatori fissi, è costituita da una palificazione (in seguito saranno due) a sei conduttori, e quella per Benevento, lunga 50 Km circa, simile alla precedente, costituita da quattro (in seguito saranno sei) conduttori. Attualmente, e sino alla prossima entrata in funzione degli impianti della Sila e della trasmissione a 150,000 volts Sila-Puglie, questa linea è allacciata all’altra analoga Foggia-Bari lunga circa 130 Km. Il trasporto di forza Matese-Puglia così risultante è lungo circa 270 Km ed è regolato con sincroni.

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