Piedimonte_27

Cap. XXVII

CONDIZIONI ECONOMICHE DEL COMUNE

E DELLA POPOLAZIONE

(pp. 259-267)

CONDIZIONI ECONOMICHE DEL COMUNE – Le eccezionali condizioni economiche del nostro Comune sono state causate da un complesso di fatti rimontanti a parecchi anni or sono, e propriamente durante la gestione straordinaria 1913-1914, che diede per risultato, con la chiusura dell’esercizio, un disavanzo di quasi centomila lire, somma assai notevole per quei tempi. L’Amministrazione ordinaria che la seguì (1914-1919), oltre a quella eredità, si trovò di fronte alle eccezionali condizioni del periodo bellico, quando ragioni di prudenza, principalmente, sconsigliarono l’imposizione di tasse, e quando le spese, per i prezzi aumentati, superarono gl’introiti, per cui la finanza comunale subì, anche per debiti contratti, un maggiore aggravamento.

Si sperò, con le dimissioni dell’Amministrazione, che il novello Commissario Prefettizio (1919-1920) avesse pensato al risanamento della finanza con provvedimenti efficaci, ma egli non fece che una finzione di bilancio, senza per nulla risolvere la questione economica, tanto vero che alcune entrate previste per L. 160.777,60 non si verificarono, per cui la nuova Amministrazione ordinaria (1920-1922) si trovò anch’essa di fronte ad una eccezionale condizione di cose. Ma preventivando a sua volta crediti presunti ed entrate che poi non furono riscosse, fece sì che il disavanzo precedente, unito a quello della gestione, salisse a L. 232.596,13. Nell’agosto 1923 il Comune si è trovato, così, con una passività di L. 294.085,00.

Da quanto sommariamente esposto si comprende come e perché il disastro si aggravasse anno per anno. Non applicandosi le tasse o applicandole con criteri assai larghi; facendosi previsioni fittizie; non avvisando ai mezzi come migliorare le entrate; non avvalendosi di alcuna delle tante disposizioni di legge a tal fine dirette e promulgate; la diserzione, infine, di alcune aste per taglio di boschi; nulla, insomma, escogitando per porre argine ad una tale disastrosa situazione, e perseguendo anche in giudizi per procrastinare il pagamento di debiti, si visse una vita di espedienti che non curarono il male.

Col bilancio dell’esercizio 1922 – che non venne artificiosamente impinguato – si conseguì il pareggio mercé le risorse ordinarie, ma quel bilancio fu soltanto di competenza, per il fatto che dal 1912 i conti non furono esaminati, quelli dal 1916 al 1919 non peranco resi, le contabilità non aggiornate, i residui non accertati, donde la impossibilità del conto di amministrazione e di diritto.

Con l’esercizio 1923 s’iniziò la compilazione di ufficio dei conti 1916 al 1919, e la revisione degli altri innanzi citati; la sistemazione delle contabilità e l’accertamento dei residui, nonché l’applicazione vera e propria di tasse con relativa esazione, onde avvisare al modo ed ai mezzi come colmare il disavanzo.

Da ciò si deduce che soltanto col bilancio 1923 si è cominciato a risanare , in parte, la finanza comunale, gravata da un cumulo di debiti per la complessiva somma di L. 349.218,06, ridotta nel 1924, a L. 105.825,30.

Il bilancio comunale fu, quindi, nel 1923 il seguente:

Dobbiamo però fare, per la storia, un gravissimo rilievo: mentre il Comune era per realizzare, nello stesso esercizio 1923, la somma di L. 279.474,00 mercé la vendita di un proprio fabbricato denominato « Casa a Porta Vallata » – acquistato molti anni or sono per L. 25.000,00 dal demanio dello Stato – somma che sarebbe servita per estinguere quasi tutti i debiti, o che, invertita in titoli, avrebbe esonerato i contribuenti dal pagamento di una o più tasse – ; mentre il Comune, dicevamo, era per realizzare sì notevole somma, le stesse autorità chiamate a tutelarlo annullarono le aste per una discutibile ed oziosa questione procedurale, non peraltro sollevata dagli acquirenti. L’annullamento produsse, com’era naturale, una pessima impressione in paese, poiché il provvedimento si ripercosse, in sostanza, ai danni del Comune e dei contribuenti.

PROPRIETÀ IMMOBILIARE DEL COMUNE – Non si creda però che il nostro Comune, pur dibattendosi in angustie finanziarie, si trovasse classificato tra quelli poveri della Provincia. Esso, tra demaniale e patrimoniale, ha la seguente proprietà accertata e valutata durante le operazioni catastali del 1918:

Un totale cioè di ett. 2641.39.51 con un imponibile di L. 27.619,84.

Ha, inoltre i seguenti fabbricati: Palazzo Municipale, Palazzo a Porta Vallata, Palazzo Celestini, Palazzo Sottoprefettura, Edilizio Scolastico, Molino ed Azienda Elettrica, ex Monastero di San Salvatore, Scuola Agraria, Convento e Conventino di S. Maria Occorrevole, abolita Chiesa di Sepicciano, abolita Chiesa di S. Antonio Abate, terraneo alle rampe S. Marcellino, terraneo in via E. d’Agnese, e macello alla via Chiusa, con un imponibile complessivo (anno 1918) di L. 10.585,20.

CONDIZIONI ECONOMICHE DELLA POPOLAZIONE – Secondo i dati catastali del 1809, Piedimonte aveva una superficie di tomoli 4246, pari ad ettari 1320. Secondo, invece, gli accertamenti compiuti di recente dall’Ufficio del Catasto Provinciale, Piedimonte ha una superficie di ettari 4026.12.83, così distinta:

(Le classi: a) e b), gradi di deduzione per fitto di acqua).

Tutta la superficie indicata si appartiene a 1107 proprietari, compreso il Municipio, e l’imponibile complessivo è di L. 53.964,07.

I proprietari di fabbricati sono 1242, e l’imponibile complessivo è di L. 150.313,00.

Il movimento di capitali è dato da 294 individui per una somma di Lire 129.910,00.

Cosicché sopra una popolazione di 5684 abitanti (censimento 1921), 2643 sono possidenti, e 3041 vivono di solo lavoro manuale.

PREZZI DEI PRINCIPALI GENERI DAL 1867 AL 1924 – Veniamo ora ad esaminare il costo della vita. E perché i lettori potessero trarre le opportune considerazioni, diamo nel prospetto seguente i prezzi medi dei generi di più largo consumo praticati dal 1867 al 1924, avvertendo di aver preso per base quelli di un quinquennio per ciascun ventennio.

Avremmo voluto riportare per intero l’elenco dei prezzi generali dal 1860 ad oggi, ma le mercuriali che si conservano non risalgono a quell’epoca. Però da notizie forniteci dai più vecchi del paese si rileva che non vi sono differenze notevoli dal 1860 al 1867.

A quei lettori non dovrà sembrare, intanto, fuor di luogo quest’analisi dei prezzi per essersi verificati in epoca a noi vicina ed anche perché di attualità. Noi non scriviamo, invero, per diletto la storia del nostro paese: tutti gli elementi che lo riguardano, siano anche semplicissimi, sono – per un libro come questo – assai preziosi, innanzi tutto perché di ammaestramento, poi perché questo dei prezzi delle derrate, in specie, dà adito a poter fare quelle considerazioni di cui abbiamo fatto cenno. Parlandone, lo facciamo non soltanto perché i presenti ricordino, ma anche perché le future generazioni potessero, un giorno, comprendere il triste periodo che abbiamo attraversato, ed avere una prova del nostro spirito patriottico.

Certi elementi, quindi, non possono essere trascurati. Tanto più che, dando uno sguardo al prospetto, si potrà rilevare che, dal 1867 al 1915, la media dei prezzi è stata in Piedimonte da sei a dieci volte minore di quella del dopo guerra, non già di cinque, come generalmente si ritiene, e che se è vero che la mano d’opera è rincarata, e così i mezzi di produzione, questi e l’altra non sono in rispondenza dei prezzi dei generi in parola.

Vi è stata nell’aumento, com’è logico arguire, tutta un’artificiosità creata da certe classi unicamente per arricchimento.

Giova intanto avvertire che i prezzi di non pochi generi indicati nel quinquennio 1919-1923 sono quelli di calmiere, non già i prezzi effettivamente pagati dai consumatori; come il prezzo dell’olio, durante il periodo bellico, deve calcolarsi due volte più di quello indicato nel prospetto e due volte più quello dei carboni.

Ricordiamo che durante il suddetto periodo 1919-1920, venne sospesa la mercuriale dei cereali, frumento e legumi, il cui prodotto, sottratto al mercato da una parte per imboscamento e dall’altra per requisizioni forzate, venne elevato a prezzo sbalorditivo.

BILANCIO DOMESTICO – Dati i prezzi surriportati, si trae la conseguenza che il bilancio domestico, durante l’annata 1924, presenta tutto un notevole squilibrio economico. La prova l’abbiamo nei prospetti che seguono riflettenti la spesa mensile di una famiglia composta di 5 persone (2 adulti e 3 ragazzi) con un’entrata di L. 570, calcolando a L. 19,00 la mercede media giornaliera guadagnata dal capofamiglia.

I prospetti riportano i prezzi dei singoli generi e capi di spese costituenti il fabbisogno familiare rispetto a quelli dell’anno 1913:

Riepilogo spesa mensile per gruppi di capitoli

Come si vede, l’ammontare delle spese mensili si aggira intorno alle Lire 641, contro un’entrata di L. 570,00.

Il che lascia logicamente dedurre che una famiglia deve imporsi – per far quadrare il proprio bilancio – delle dure privazioni o contrarre dei debiti.

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