Veni, creator Spiritus

Veni, creator Spiritus,

mentes tuorum visita,

imple superna gratia,

quae tu creasti pectora


Veni. Certamente non è un comando. Non può esserlo, perché tu sei il Signore e io il servo, e questa signoria non è fittizia, non è di parole, è di fatti. La sento, questa signoria, come ragione e fonte di vita. Non è un invito, non è una preghiera. È qualcosa di più, insieme di rispettoso e di confidenziale. Un ammiccamento? Assolutamente no: qualcosa di profondo, che prende tutto l'essere, l'anima particolarmente e la ricolma di attese e di speranze, ma non sterilmente, anche nel corpo, che aspettando vibra di fede e di amore. Veni, vieni.

Vieni, vieni. Sei la salvezza, la vita. No, non è come nel sogno fatto di me dall'austera signore torinese, amica antica di mia moglie Anna Maria. È proprio l'opposto: sulla spiaggia di Serapo, io non fuggo impaurito, nel mio costume rosso mattone, al volo sulla mia testa di un uccello bianco pennuto (colomba o aquila?) e lei, la donna, Veronica rovesciata, a rassicurarmi e a darmi forza per resistere all'assalto. Io la cerco, la colomba bianca, la voglio dentro di me a farmi credere fino in fondo, sperare senza tentennamenti, amare allo spasimo.

Leggo oggi, sei giorni avanti che il libro esca in libreria, il prologo del romanzo postumo attorno alla storia della sua famiglia, Un cappello pieno di ciliege, di Oriana Fallaci. Vi trovo un'affermazione che è certamente la chiave di lettura del libro e che farà discutere molto: «Naturalmente sapevo bene che la domanda perché-sono-nato se l'eran già posta miliardi di esseri umani ed invano, che la sua risposta apparteneva all'enigma chiamato Vita, che per fingere di trovarla avrei dovuto ricorrere all'idea di Dio, Espediente mai capito e mai accettato». A parte il plurale ciliege, che è fuori dalla mia grammatica, dire enigma la vita mi pare improprio, è dare un senso restrittivo al grande mistero che è la vita, assai limitativo del valore dell'esistere dell'uomo. Lo fa perché non vuole usare un termine che di per sé ha implicazioni religiose; ma questo è porsi fuori del problema , definirlo in superficie, pensare di usare una scorciatoia in qualche modo risolutiva dell'ansia che si ha dentro dell'eterno, delle cose invisibili, quelle che veramente contano per spiegarsi il perché-sono nato, ma anche il da-dove-vengo e il dove-vado. «L'Espediente» che ricusa la Fallaci è la vera ed unica scelta risolutiva dell'essere e dell'esistere dell'uomo, è immergersi nella pienezza del tutto, Deus meus et monia, è penetrare nella conoscenza e nell'amore di Dio, che è l'alfa e l'omega della vita dell'universo e della natura, è accettare la sua signoria e vivere l'appartenenza totale al suo regno. Qualcuno aveva pensato che con l'incontro segreto avuto con papa Ratzinger la scrittrice avesse trovato la via della fede, ma questo, almeno a leggere il Prologo, non c'è. Comunque, Dio Padre l'ha chiusa nell'abbraccio della sua misericordia.

Veni. Non è l'ospitalità temporanea che io ti offro, né la coabitazione continua; è la disponibilità al possesso pieno di te, che sei uno delle tre persone uguali e distinte del Dio uno e trino in cui credo, la terza, quella che procede tra Padre e Figlio e li riversa sull'uomo a farlo partecipe del dinamismo trinitario. È l'amore che mi urge dentro, il piccolo amore dell'uomo fragile e povero che sono, pellegrino e forestiero, che vuole inabissarsi nell'amore che sei tu, l'amore di Dio infinito, eterno. Immenso. Amore è la tua signoria, che sento profondamente, in tutte le viscere, amore è il tuo regno, di cui sono l'ultimo vecchio servo accasciato, amore è il mistero della vita che mi sorregge.

Veni. Vieni. L'inno è una preghiera fervida della comunità cristiana, quindi è riferito alla collettività. Ma io voglio particolarmente cantarlo a voce giusta, nel gregoriano classico, per me, sul mare che ora non mi fa eco, fermo com'è oggi, terz'ultimo giorno di luglio. Neppure i tonfi, sordi e quieti, dei timpani carezzati che amo, fa sentire, perché vuole che la mia preghiera abbia nitida eco lontano, all'infinito, dove l'amore è purissimo ed eterno. Questo farla per me, accorata, la preghiera, però, è farla per tutti gli uomini della terra, perché l'ascesi è la via per la comunicazione spirituale, oblativa: più in alto si sale, più universo si abbraccia.

Vieni, creator Spiritus, Spirito che crei. Che significa creatore? Chi fa dal nulla tutte le cose. Me l'hanno fatto imparare a memoria da ragazzo, quasi a forza. E come e quanto mi siano state di giovamento in seguito tutte quelle formule del catechismo passate a mente non riesco a misurarlo. Sta di fatto che sono grato, e li ricordo sovente nelle preghiere e fuori, ai precettori severi di quei tempi.

Anche se l'opera della creazione del mondo è particolarmente attribuita a Dio Padre, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono il principio unico e indivisibile del mondo. Inseparabili nella loro unica sostanza, come è scritto nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, approvato e promulgato da Benedetto XVI il 29 giugno 2005, le persone divine sono inseparabili anche nel loro operare. La Trinità ha una sola e medesima operazione. Ma, nell'unico agire divino, ogni persona è presente secondo il modo che le è proprio nella Trinità. Nell'atto della creazione, che è il fondamento di tutti i divini progetti di salvezza, è lo Spirito di Dio che osserva il cielo e la terra e tutte le cose fatte, e le giudica cose buone, e se ne compiace. È dello Spirito di Dio l'alito che fa l'uomo a sua immagine e somiglianza. «In principio, Dio creò il cielo e la terra». Queste prime parole della Scrittura, si scrive nel Catechismo, contengono tre affermazioni: il Dio eterno ha dato un inizio a tutto ciò che esiste fuori di lui. Egli solo è creatore. Il verbo creare, in ebraico bara, ha sempre come soggetto Dio. La totalità di ciò che esiste dipende da colui che le dà l'essere. «In principio era il Verbo e il Verbo era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto». Dio ha creato tutto per mezzo del Figlio suo diletto, che è prima di tutte le cose e tutte le cose in lui sussistono, come scrive san Paolo ai colossesi. Ma c'è l'azione creatrice dello Spirito Santo: egli è colui che dà la vita.

Vieni, Spiritus, a farmi conoscere la verità tutta intera, a darmi l'amore che mi fa entrare nel dinamismo caritativo trinitario. Nella processione divinamente personificata di conoscenza e di amore tra Padre e Figlio, Spirito Santo, tu mi fai capire per quale fine sono stato creato, ma prima che senso ha la mia creazione a immagine di Dio. Tu mi dai la capacità di conoscere e di amare, nella libertà, il mio creatore. L'uomo è la sola creatura, in questo mondo, che Dio ha voluto per se stessa e che ha chiamato a condividere, nella conoscenza e nell'amore, la sua vita divina. Lo si scrive nel Catechismo: io uomo, in quanto creato a immagine di Dio, ho la dignità di persona: non sono qualcosa, ma qualcuno, capace di conoscermi, di donarmi liberamente e di entrare in comunione con Dio e con le altre persone. Dio ha creato tutto per l'uomo, ma l''uomo è stato creato per conoscere, servire e amare Dio, per offrirgli in questo mondo tutta la creazione in rendimento di grazie ed essere elevato alla vita con Dio in cielo. Veni, creator Spiritus, per farmi essere in pienezza uomo fatto a immagine di Dio.

Mentes visita. Per chi scrive l'inno, la mente è già la sede della conoscenza, la quale nel senso classico dell'ebraismo antico è nel cuore, che non è sede dei sentimenti. Qualcuno ha detto che questo spostamento dal cuore alla testa dell'indagine conoscitiva l'ha allontanata dalla terra. Si tratta per noi solo di divagazioni letterarie che si alimentano di simbologie, perché conoscenza e amore si identificano nell'essere umano e la loro collocazione nel mistero dell'uomo, sempre essere unico e irripetibile, è difficile individuare: conoscenza e amore si spartiscono tra mente e cuore, i centri dell'apparato nervoso e del sistema circolatorio sanguigno, e il resto del corpo pur partecipa alla dinamica conoscitiva e amorosa nell'unità del suo essere spirito e materia intimamente fusi, non scollegabili, e nel suo esistere insieme nello spazio e nel tempo. Ma l'autore del testo urgente sente il bisogno di richiamare in quest'inno, quasi per un raffronto logico, i cuori, pectora, due versi dopo. Spirito Santo, visita le menti dei tuoi, tuorum. L'uso del termine tuus è restrittivo, circoscrive l'ambito della visitatio a una parte, a quelli che conoscono lo Spirito e si dichiarano a lui fedeli, è indicativo di un'appartenenza specifica. Qui, però, nell'uso della parola, l'autore sottintende la libertà dello Spirito, che spira dove vuole e come vuole: nella sinteticità dell'espressione latina si cumula tanta sapienza teologica. Comunque, il discorso si dilata subito dopo a tutti con la proposizione relativa subordinata quae creasti riferita a pectora, a tutti quelli che hai creato, cioè nessun uomo escluso.

Sul verbo visita qualche annotazione mi vien da fare. Il visitare latino è vedere spesso; ma se vado a considerare il verbo matrice visere, intensivo di videre, il senso è guardare, seguire con l'occhio, considerare, rimirare quasi informandosi. Ma, pur se questi significati hanno tutti valore positivo, non mi soddisfano, non ne sono contento. In particolare il senso comune del verbo non attiene alla mia situazione attuale: la mia è una preghiera viva quanto sofferta. Spirito Santo, non visitare me, ma prendimi, occupami. La mia disponibilità ad essere invaso totalmente da te è piena: immergermi nel vortice del tuo amore, perché il convincimento è ben radicato in me che fare la volontà del Padre, che è la volontà tua, è la via unica di salvezza. Lo capisco bene ora, quando mi resta ancora poco da vivere in terra e mi dolgo assai di non averlo capito così compiutamente prima. So bene di essere uno di quanti hai creati, so bene di essere privilegiato, uno dei tuoi, i prescelti dove spiri e inondi con la tua grazia, ma so pure che il mio rapporto con Dio, con te, è personale e più è completo più si riversa sugli altri nella ineffabile e mirabile comunione dei santi.

Prendimi, Spirito creatore, e riempimi di grazia: imple superna gratia, ricolmami di conoscenza e di amore l'intelligenza e il cuore. Superna è che si trova al di sopra, superiore, posta in alto. La superna grazia è proprio quella di conoscere e amare Dio, uno e trino, e di dare al personale rapporto teandrico le dimensioni più giuste, direi le più convenienti, se questo participio presente non fosse in certo modo dissacrante nella sostanza il rapporto e la disponibilità totale riducesse ad un valore puramente di calcolo. Vieni, prendimi, riempimi della superna grazia, dammi conoscenza e amore, trasformami secondo il volere del Padre a vivere pienamente la sequela di Gesù Cristo.

La grazia è innanzi tutto e principalmente il dono dello Spirito che ci giustifica e ci santifica. Ma la grazia comprende anche i doni che lo Spirito concede per associarci alla sua opera, per renderci capaci di cooperare alla salvezza degli altri e alla crescita del corpo di Cristo, la Chiesa. La grazia è il favore, il soccorso gratuito che Dio ci dà perché rispondiamo al suo invito di partecipazione alla sua vita: per essa ci immettiamo nell'intimità della vita trinitaria. Basta sfogliare il Catechismo per rendersi conto di come sia fondamentale lo studio sulla grazia: sulla materia si sono scritti numerosi trattati, sulle varie specie di grazie, sui benefici della grazia. Dio ci sceglie e ci dona la grazia, che è la salvezza dell'uomo.

Qual è la grazia superna cui si riferisce l'autore dell'inno? per noi è la prima, quella della conoscenza e dell'amore, quella che apre il contatto teandrico, che fa scoccare la scintilla della caritas. È di questa grazia superna che lo Spirito deve riempire i cuori degli uomini, pectora quae tu creasti.

Torna nella stessa quartina, e con forza, il concetto di creazione, che è opera dello Spirito. Lo Spirito Santo è creatore e signore della vita. Sono i concetti del fare dal nulla e della padronanza, la signoria, che vibrano nelle suggestive formulazioni del latino, la lingua che consente massima sinteticità e schematizzazioni liriche di buona efficacia.