O lux beatissima

O lux beatissima,

reple cordis intima

tuorum fidelium.


In un inno della liturgia domenicle, mi pare nell'inno ai secondi vespri della domenica delle settimane 2 e 4, si scrive: O lux, beata Trinitas et principalis Unitas. O luce, Trinità beata e originaria unità. tutta l'economia divina è opera delle tre persone divine. Infatti, si annota nel Catechismo, e lo ripeto, la Trinità, come ha una sola e medesima natura, così ha una sola e medesima operazione. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono tre principi della creazione, ma un solo principio. Tuttavia, ogni persona divina compie l'azione comune secondo la sua personale proprietà. Uno infatti è Dio Padre, dal quale sono tutte le cose, uno il Signore Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose, uno è lo Spirito Santo, nel quale sono tutte le cose.

O luce. L'immagine è nella sacra scrittura insieme con le altre: vita, pace, banchetto di nozze, vita del regno, casa del Padre, Gerusalemme celeste, paradiso; sono tutte riferite al mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono in Cristo, mistero che supera ogni possibilità di comprensione e di descrizione. Quale appellativo migliore può darsi allo Spirito di Dio, che porta luce alle intelligenze? Il superlativo di beata è l'espressione della pienezza d'amore che dà l'adorazione.

Ma questa volta la luce dello Spirito è invocata non per la conoscenza, ma per l'amore: sono la stessa cosa, secondo le antiche scritture, ma nella concretezza che dà l'autore allo svolgimento del canto, che si attaglia al massimo possibile alla condizione umana nella sua quotidianità dolorante, il cuore diventa nell'uomo luogo del volere e quindi dell'amore. È la seconda volta che nella composizione l'autore chiama in causa il cuore. La prima volta è nel terzo verso della seconda strofe: lumen cordiium, dove lo Spirito è la luce che illumina. Qui è la sostanza che riempie: l'amore, cioè tutto. Vivere è amare, amare è vivere.

Stamani una signora torinese, amica antica di mia moglie e mia, mi racconta le emozioni del suo viaggio in terra santa: non è devota, anzi è critica nei riguardi della nostra religione; ma quando mi dice della montagna delle beatitudini, il luogo, la collina con il suo verse e il mare, si commuove e di più sento vibrare di sinceri ricordi emotivi la sua voce, quando mi descrive il Getsemani, il luogo, gli ulivi vecchi di secoli e secoli di quella solitudine, di quel silenzio. Il Getsemani è un luogo della mia vita. Lumen cordium: nel Veni creator Spiritus è: accende lumen cordibus. È il lume che accende continuo lo Spirito anche nel cuore della brava professoressa di Torino.

O luce beatissima, riempi le intimità del cuore dei tuoi fedeli. Scendi nel profondo, Spirito di Dio, e radicati nei punti più inaccessibili dell'animo umano, dispiega la tua potenza nel distruggere lì, in abscondito, anche nei reconditi del subcosciente, le cause del male, tutti gli attacchi al mondo e alle sue seduzioni, tronca ogni legame con il vecchio, il passato colmo di cattiverie e di inadempienze; di sacrilegi recidivi e di compiacenze deleterie.

A me piace che si ponga in mezzo il cuore, anzi meglio per me le viscere: me l'hanno rimproverato questo continuo riferimento alle viscere. Ebbene, anche la tradizione spirituale della Chiesa insiste sul cuore, proprio nel senso biblico di profondità dell'essere, in visceribus, dove la persona si decide o non si decide per Dio. Cordis intima. Dove la riflessione si alimenta sovente è il Catechismo, che considero un libro fondamentale per il cattolico, non solo per gli insegnamenti di teologia dogmatica, di teologia morale, di ascetica e di mistica che vi sono, ma pure per le linee di comportamento umano che vi si tracciano proprio per le interferenze che esistono tra dottrina cristiana e vita dell'uomo. Chi mi legge si accorge che le citazioni tratte da esso sono diverse, anche se non virgolettate, ma bene inserite nel testo, ne dev'essere contento, perché viene a contatto con la summa del pensiero della Chiesa, e deve invogliarsi a tenerlo in buon conto, dopo averlo letto con paziente attenzione, ma certamente con notevole interesse culturale.

Ebbene, nel Catechismo è scritto che il cuore è la dimora dove sto, dove abito, dove discendo, secondo l'espressione semitica e biblica. È il nostro centro nascosto, irraggiungibile dalla nostra ragione e dagli altri; solo lo Spirito di Dio può scrutarlo e conoscerlo. È il luogo della decisione, che sta nel più profondo delle nostre facoltà psichiche. È il luogo della verità, là dove scegliamo la vita o la morte. È il luogo dell'incontro, poiché, ad immagine di Dio, viviamo in relazione: è il luogo dell'alleanza. Da questa descrizione ben precisata, dobbiamo derivare il convincimento che chi scrive l'inno ha consistente cultura: intima del cuore, il più profondo delle nostre facoltà psichiche.

Mi preme precisare che questa separazione così netta tra cervello e cuore non dev'essere fraintesa, perché è la ragione, l'intelligenza, che governa la fede in quanto scienza di Dio, ed è il sentimento, la volontà, che si determina all'amore, e tanto spesso in maniera irragionevole. Comunque, si tratta di organi della stessa persona, unica, irripetibile nello spirito e nel corpo, di motori vitali dell'essere, bene accordati nei movimenti della macchina mirabile, spirituale e fisiologica, che è l'uomo. La preghiera, che è strumento di fede ed espressione di amore, è l'atto più significativo e completo della persona nel suo complesso pur se è il moto della mente verso il trascendente, si colloca, per la sostanza emotiva che la sollecita e la sostiene, nel cuore.

Che cos'è la preghiera che ci porta ad invocare la luce beatissima dello Spirito per riempirci le profondità del cuore? San Giovanni Damasceno la definisce elevazione dell'anima a Dio o la domanda a Dio di beni convenienti. da dove partiamo pregando? Dall'altezza del nostro orgoglio e della nostra volontà o dal profondo di un cuore, come canta il salmista, umile e contrito? È colui che si umilia ad essere esaltato. L'umiltà è il fondamento della preghiera. Nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare: è proprio vero quello che scrive san Paolo ai romani. L'umiltà è la disposizione necessaria per ricevere gratuitamente il dono della preghiera: l'uomo è un mendicante di Dio. Non è possibile classificare il movimento intimo dell'uomo verso Dio che è la preghiera; comunque, in genere si distingue la preghiera in tre grossi capitoli: quella vocale, la meditazione, la contemplazione. Per me la preghiera è derivazione diretta del contatto con Dio, è la misura del rapporto teandrico personale, è l'espressione di lode, di ringraziamento, di adorazione, di amore al Signore dei cieli e della terra, al padrone della mia vita.

La preghiera contemplativa è la più viva; la corrente passa appena scocca la scintilla, cioè al primo pensiero. Non sono certamente d'accordo con gli schemi di quelli che la chiudono in una vera e propria liturgia personale, stabilendone tempi, modi e parti. Per me essa è pure di un minuto, volante, basti che vibri il cuore e la vibrazione rimanga per un bel po' a ballare nel cuore. Secondo gli studiosi della materia, e nel Catechismo lo si conferma, la scelta del tempo e della durata della preghiera contemplativa dipende da una volontà determinata, rivelatrice dei segreti del cuore. Non si fa preghiera contemplativa quando non si ha tempo: si prende il tempo di essere per il Signore, con la ferma decisione di non riprenderglielo lungo il cammino, quali che siano le prove e l'aridità dell'incontro. non si può meditare sempre, sempre si può entrare in preghiera contemplativa, indipendentemente dalle condizioni di salute, di lavoro e di sentimento. Il cuore è il luogo della ricerca e dell'incontro, nella povertà e nella fede.

La preghiera che faccio io adesso è quella dell'autore dell'inno. Spirito di Dio, riempi le intimità del cuore dell'uomo. C'è una differenza, però, tra me e lo scrittore del magnifico carme: cancello, ma solo dentro di me, la chiusura ai fedeli: colma di te il cuore di tutti gli uomini. Lo so: l'estensione è discutibile, ma consentimi, Dio unico e trino, l'espressione di quest'ansia caritativa verso tutti i fratelli, che vorrei tutti con me dentro l'ovile, la provvidente madre Chiesa, ma senza alcuna rete di recinzione.