Antonio Persili

5.C. L’epilogo: la fede nasce dal sepolcro

tratto da: A. Persili, Sulle tracce del Cristo Risorto. Con Pietro e Giovanni testimoni oculari, Edizioni Centro Poligrafico Romano, Tivoli 1988.

5.C. L’EPILOGO: LA FEDE NASCE DAL SEPOLCRO.

Giovanni 20, 8-10:

Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano infatti compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti. I discepoli intanto se ne tornarono di nuovo a casa.

Giovanni, che era giunto per primo al sepolcro, anche se entrò nella camera sepolcrale dopo Pietro, giunse per primo alla fede.

Egli fu il primo uomo che credette alla risurrezione.

Davanti a quello spettacolo saranno venute alla mente dell'apostolo Giovanni le parole profetiche del salmista: “La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d'angolo; ecco l'opera del Signore:

una meraviglia ai nostri occhi” (Sl 117 (118), 23-24).

Dio aveva glorificato quel Gesù che i Giudei avevano respinto e, come prova, erano rimasti nel sepolcro i segni dell'avvenuta glorificazione.

Giovanni “credette”, ma in che cosa?

Il verbo “epísteusen – credette” è il verbo, usato nel Nuovo Testamento, per esprimere la fede piena nella risurrezione di Gesù. L'espressione "kaì eîden kaì epísteusen" cioè "e vide e credette" è perfettamente uguale all'espressione, usata da Gesù, per esprimere la beatitudine di coloro che credono senza vedere: "Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!" (Gv 20,29).

In questa espressione i due verbi "eîdon - vedo" e "pisteúo - credo" sono uniti come nella testimonianza di Giovanni, anche se qui il primo verbo è al negativo.

Il rimprovero di Gesù non è certamente diretto a Giovanni, che ha veduto fenomeni naturali ed ha creduto, ma è diretto all'apostolo Tommaso, che vuole vedere fenomeni soprannaturali per credere. Tommaso vuole vedere personalmente Gesù risorto e toccare le ferite dei chiodi e della lancia con le sue mani.

La fede di Giovanni, invece, ha seguito la via giusta, ha visto i segni della glorificazione di Gesù, li ha compresi ed ha creduto.

La nostra fede deve seguire il cammino di Giovanni e non quello di Tommaso. Non dobbiamo pretendere miracoli per credere, ma dobbiamo usare i mezzi che Dio ha messo a nostra disposizione.

Nel versetto seguente Giovanni introduce una riflessione importante.

I discepoli, benché conoscessero le Scritture, e benché avessero sentito ripetere da Gesù che egli sarebbe morto e risorto, non riuscivano a capire il senso della parola risurrezione.

Questa incapacità di comprendere derivava dal fatto che non c'erano esempi a cui potessero rifarsi. Essi sapevano che i morti andavano nello sheol e che, caso mai, sarebbero risorti alla fine del mondo.

La risurrezione di Lazzaro non era stata una vera risurrezione, ma piuttosto una rianimazione e non poteva servire da modello, per capire in che cosa sarebbe consistita la risurrezione di Gesù.

Ora, finalmente, per Giovanni è chiaro il significato delle Scritture e delle affermazioni di Gesù. Giovanni ha anche questo primato di aver compreso per primo il senso delle Scritture, che riguardavano Gesù.

I due discepoli di Emmaus avranno bisogno di essere catechizzati da Gesù stesso, per comprendere il significato della risurrezione: “(Gesù) cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui...” (Lc 24,27).

La pericope si chiude con il ritorno dei due apostoli a Gerusalemme.

Se ne tornarono adagio, immersi nei loro pensieri: Pietro invano si sforzava di capire il significato delle cose che aveva contemplato; Giovanni, invece, gioiva, perché era stato testimone del più grande prodigio mai avvenuto su questa terra: la risurrezione del suo amato maestro, che, vinta la morte, era entrato nella vita eterna.

L'esperienza di Giovanni richiama alla mente una simile esperienza di Mosè, che vide le spalle della Gloria di Dio: “(Mosè) disse al Signore: ‘Mostrami la tua Gloria!’. (Il Signore) rispose : ‘Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome: Signore, davanti a te. Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia’. Soggiunse: ‘Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo’. Aggiunse il Signore: ‘Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere” (Es 33,18-23).

Giovanni, nella cavità della rupe sepolcrale, vide le orme, le tracce, le spalle della Gloria del Cristo risorto e glorificato.

Noi, come Giovanni, anzi più di lui, come vedremo in seguito, abbiamo la possibilità di vedere, attraverso le tracce della risurrezione, le spalle della Gloria del Cristo risorto.

Mi sembra opportuno riportare per intero la pericope della testimonianza di Pietro e Giovanni sulla risurrezione (Gv 20, 2-10):

2. (Maria di Magdala) corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!

3. Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro.

4. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro.

5. Chinatosi, scorge le fasce distese, ma non entrò.

6. Giunge intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entra nel sepolcro e contempla le fasce distese (afflosciate, vuote, non manomesse),

7. e il sudario, che era sul capo di lui, non con le fasce disteso, ma al contrario avvolto (rimasto nella posizione di avvolgimento, perciò rialzato ma non sostenuto nell'interno, perché vuoto) in una posizione unica (straordinaria, eccezionale, perché contro la legge della gravità).

8. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.

9. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti.

10. I discepoli intanto se ne tornarono di nuovo a casa”.

Questa accurata descrizione delle tracce, lasciate nel sepolcro dalla risurrezione del corpo di Gesù, demolisce con un sol colpo tutte le teorie, che negano la possibilità di dimostrare storicamente e scientificamente il fatto della risurrezione.

Pietro e Giovanni, con la loro descrizione, hanno rilevato ben quattro tracce presenti nel sepolcro. Infatti, essi descrivono ciò che vedono sulla pietra sepolcrale e tacciono quello che doveva esserci, ma non c’è più.

Le quattro tracce sono costituite: le prime due dalla posizione delle fasce e del sudario, di cui abbiamo parlato; le altre due dalla scomparsa del corpo di Gesù e dei trentadue chilogrammi e mezzo di aromi.

Queste quattro tracce attestano, senza possibilità di dubbio, che il corpo di Gesù è risorto e non ammettono altre spiegazioni. Perciò Giovanni entrò, e vide e credette.

Se il sepolcro fosse stato vuoto, come affermano molti teologi, o se la posizione delle tele fosse stata diversa, come traduce la versione italiana della C.E.I., non si sarebbe potuto concludere che Gesù era risorto, perché la scomparsa del corpo di Gesù avrebbe potuto avere altre spiegazioni e Giovanni non avrebbe creduto.

Non è più possibile affermare che la risurrezione di Gesù è solo un mistero di fede, ma si deve proclamare che è un fatto storico.

Da ciò ne deriva che non si può negare l'irruzione del soprannaturale nel mondo naturale, perché Dio stesso è venuto a stare con noi: la risurrezione ne è la prova.

La risurrezione, dunque, non è un mito, come affermano Bultmann ed i suoi seguaci; non è neanche soltanto un mistero di fede, come affermano tanti teologi cattolici; ma un vero e proprio fatto storico e scientifico, che può essere studiato e perfino ricostruito, come tutti i fenomeni che accadono in questo mondo.

Per questo, tra la religione cristiana e tutte le altre religioni vi è una differenza abissale. Infatti, mentre tutte le altre religioni sono fondate sullo sforzo umano di penetrane nei misteri del divino, quella cristiana, invece, è fondata sulla rivelazione, che Dio ha fatto di se stesso attraverso Gesù, come attesta l'apostolo ed evangelista Giovanni all'inizio del suo vangelo: “Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha svelato” (Gv 1,18).

Inoltre, nessuna religione pretende di assicurare la risurrezione del corpo ai suoi seguaci, anzi nessun fondatore di movimenti religiosi è risorto da morto, come, invece, ha detto e fatto Gesù.

Un certo David Leeming, docente di Letteratura inglese presso l'Università del Connicticut, in un suo volume, afferma che non solo Gesù è risorto, ma anche altri: “Gesù tuttavia non è certo la sola figura eroica assunta in cielo. La lista è lunga ed include il persiano Mitra, Dionysos, il profeta Elia e san Francesco d’Assisi e come addizione più tarda all'ascensione di Cristo, la Vergine, di cui si dice che fu assunta in cielo fisicamente per regnare insieme al figlio martorizzato”[1].

È stupefacente la leggerezza, con cui il Leeming parla di Gesù e della sua risurrezione. Per lui, Gesù sta sullo stesso piano di eroi leggendari, come Mitra e Dionysos e di semplici essere umani, come Elia e san Francesco.

A proposito di quest’ultimo, Leeming ignora che il corpo di san Francesco è custodito ad Assisi, nella Basilica inferiore e che è protetto da solide sbarre di ferro, per impedire che venga sottratto, profanato o distrutto.

È vero che oggi c'è libertà di opinione e di espressione intorno a tutti i problemi, ma questo diritto è strettamente unito al dovere di provare ciò che si dice. È assurdo affermare che san Francesco è risuscitato.

Questa non è più libertà di opinione, ma è licenza di affermare e diffondere il falso. Mi meraviglia che un editore, come Arnoldo Mondadori, abbia sentito il bisogno di tradurre e stampare quest'opera, infarcita di menzogne, che presenta Gesù come “un eroe mitico”.

Il Leeming, che non vede alcuna differenza tra il cristianesimo e tutte le altre religioni, antiche e moderne, si sente autorizzato a trarre le estreme conseguenze. Se la risurrezione di Gesù è un mito oppure se è soltanto un mistero di fede, tutto ciò che si fa in nome di essa è mitico.

Leeming scrive: “Quando una persona religiosa entra in una chiesa o in un tempio, lascia, almeno in teoria, il mondo razionale del consumismo quotidiano e si comporta in un modo che il non iniziato considererebbe ridicolo. I riti religiosi sono compiuti infatti non in nome della ragione, ma di ciò che è detto fede. E la fede è un ‘dato mitico’. Essa diviene realtà solo attraverso una sospensione di incredulità che può essere definita primitiva o ‘infantile’. ‘Chi non si converte e non diventa come un piccolo bambino, non entrerà nel regno dei cieli’. Non è privo di significato che in chiesa, anche persone ritenute per così dire con i piedi in terra, si impegnano in giochi rituali, nei quali certe cose diventano ciò che non sono e si parla alle statue come alle bambole. Inoltre i fedeli spesso confessano di essere stati cattivi e sono perdonati e istruiti su come comportarsi bene da uomini che qualche volta definiscono ‘padri’. In effetti l’uomo di fede riconosce, con la sua presenza ed il suo comportamento nel luogo di culto, di aver bisogno dell'esperienza mitica, un bisogno che nel mondo reale non è tollerato e spesso non accettato, almeno al di là dell'infanzia”[2].

I cristiani praticanti, secondo Leeming, sono dei bambini, che sfuggono il mondo razionale e si rifugiano nelle chiese per compiere giochi rituali: mangiano un'ostia e credono di ricevere il Cristo; confessano i peccati a certi uomini, che chiamano padri, e credono di essere perdonati. Questi giochi, però, non sono tollerati nel mondo reale; tutt'al più si tollerano per i bambini.

Le affermazioni di Leeming sono sconcertanti, ma rispecchiano bene il comportamento della maggioranza dei cristiani, che non si sentono a loro agio in chiesa, perché non comprendono né il significato né il valore dei riti religiosi, soprattutto dei sacramenti.

Come si può spiegare questo comportamento?

La risposta è nelle parole di Leeming: “I riti religiosi sono compiuti infatti non in nome della ragione, ma di ciò che è detto fede. E la fede è un dato mitico”.

Questo è ciò che i giovani e gli adulti pensano della religione cristiana.

Lo confermano le risultanze di un convegno delle diocesi di Anagni-Alatri sulla catechesi. L'articolo, pubblicato sul quotidiano l’«Avvenire» col titolo «L'effetto fionda», riferisce così le conclusioni del convegno: “Quanto più li stiri prima, tanto più li lanci dopo! È questo il cosiddetto «effetto fionda». Per chiarirci: quanto più stiriamo i ragazzi prima della cresima con incontri, attività e impegni vari, tanto più, appena cresimati, vengono catapultati lontano dall'orbita parrocchiale. Per accorgersene, basta guardarsi intorno di questi tempi: nelle nostre chiese, dopo il «gran giorno» si fa il vuoto. E così questo che dovrebbe essere il sacramento dell'impegno diventa quello «dell’addio!»” [3].

L’articolista continua: “Ma oggi è chiaro che la società è cambiata e perciò non si può supporre sempre la fede in chi ascolta, nemmeno dei ragazzetti delle medie. Quando non succede (visto che poi sono pure furbi) che ti lasciano pure parlare ma si vede da lontano mille miglia che tanto a loro non gliene importa nulla. E se vengono è solo perché ‘devono’ sennò niente cresima (!)”(101).

L'articolista aggiunge: “Ma non basta pensare ai ragazzi: da noi le vere ‘categorie a rischio’ (nel senso che rischiano di non fare mai catechesi) sono ben altre e cioè gli adulti e i giovani... Siamo tutti d'accordo che non serve a nulla continuare a fare i ‘baby-sitters’ se poi gli adulti ci sfuggono puntualmente. E siccome ‘devono venire’ non funziona con gli adulti, l'unica alternativa è muoversi... con le gambe, la testa e il cuore” (101).

Le amare conclusioni, a cui sono giunti i convegnisti delle diocesi di Anagni-Alatri sono equivalenti alle constatazioni fatte dal Leeming; divergono però nella ricerca delle cause.

I convegnisti credono che manchi un'adeguata catechesi e che, con un'azione pastorale più incisiva, si potrebbero ottenere frutti duraturi e riportare in chiesa i giovani e gli adulti; il Leeming, invece, più realisticamente afferma che, se la fede non ha un fondamento storico, è un mito e, come tale, non può essere accettato dal mondo degli adulti. Ed oggi si diventa adulti molto presto, fin dalle scuole medie.

Quando la teologia cattolica, sotto la pressione dei cosiddetti razionalisti, filosofi, storici e scienziati, ha accettato di definire la risurrezione di Gesù, non più come un fatto storico, ma come un «mistero di fede», ha tolto alla fede il suo fondamento ed ha seminato l'incertezza ed il dubbio tra i cristiani.

In questi ultimi anni la C.E.I. (Conferenza Episcopale Italiana), preoccupata per la crisi religiosa, che investe la Chiesa italiana, ha edito numerosi catechismi, per il rinnovamento dell'insegnamento religiosi, ma in tutti i volumi presenta la risurrezione unicamente come «un mistero di fede».

Nel Catechismo dei giovani, in particolare, si riconosce valida la critica di coloro che negano la storicità dei racconti evangelici della risurrezione e si legge: “Le apparizioni angeliche alle donne, per esempio, differiscono in molti particolari a prima vista non secondari (uno o due angeli?); la reazione stessa delle donne appare diversa in Marco (16,8) dove si legge: ‘Fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura’; e in Matteo (28,8), secondo il quale: ‘Corsero a dare l'annunzio ai suoi discepoli’. Gesù dà appuntamento ai suoi in Galilea (Marco 16,2) oppure il Risorto si manifesta ai dodici a Gerusalemme la sera stessa di Pasqua (Luca 24,33-36; Giovanni 22,19)? L'elenco potrebbe continuare con riferimenti più complessi”[4].

Il citato Catechismo continua a trattare questo argomento qualche pagina dopo, affermando: “Il mattino del terzo giorno, e cioè dopo il giorno del riposo sabbatico, alcune donne andarono al sepolcro, tra esse Maria di Magdala. Esse videro la pietra del sepolcro spostata, e se ne fuggirono a casa, non senza avvertire dell'accaduto i discepoli che poterono vedere. Alcuni discepoli - Pietro e Giovanni, secondo il vangelo di quest'ultimo, - si recarono anch'essi al sepolcro e vi entrarono, stupiti di trovarlo aperto e vuoto”[5].

Le contraddizioni, di cui parla il Catechismo dei giovani, sono solo apparenti e nascono da una lettura superficiale del testo, come abbiamo visto nella Parte quarta di questo volume.

Elenchiamo le inesattezze contenute nei due brani citati dal Catechismo dei giovani.

- Le donne non hanno fatto una sola visita al sepolcro, ma ben tre visite diverse; nella prima (narrata da Matteo e Marco) apparve un solo angelo, nella seconda (narrata da Giovanni) apparvero due angeli a Maria Maddalena, nella terza (narrata da Luca) ne apparvero due a tutte le donne insieme.

- Le due donne della prima visita (Maria di Giacomo e Salome) decisero di non avvertire nessuno (Mc 16, 8); la Maddalena avvertì Pietro e Giovanni (Gv 20,1); le donne della terza visita, di cui facevano parte anche le precedenti, portarono l'annuncio ai discepoli (Lc 24, 8-10; Mt 28, 8). La Maddalena portò ai discepoli due annunci diversi.

- Gesù dà appuntamento ai suoi in Galilea, ma ciò non gli proibisce di compiere le prime apparizioni in Gerusalemme, dove i discepoli sono rimasti in attesa degli eventi.

- Gesù risorto apparve agli Undici e non ai Dodici, perché Giuda era morto.

- Le donne non sono partite tutte insieme da Gerusalemme verso il sepolcro, ma le prime tre partirono, quando era ancora notte, le altre, invece, quando era già da tempo sorto il sole.

- Pietro e Giovanni non trovarono il sepolcro vuoto, ma nell'interno di esso trovarono delle tracce inequivocabili della risurrezione e le descrissero.

- Pietro rimase stupito, ma Giovanni vide e credette.

- L’errore più grande è quello di affermare che i racconti evangelici della risurrezione non sono storici, mentre lo sono fin nei minimi particolari.

Per un vero rinnovamento della catechesi si deve partire dalla dimostrazione della storicità della risurrezione, che restituisce ai cristiani la certezza della fede.

Non dobbiamo dimenticare che la Chiesa è iniziata con l'annuncio della risurrezione: “Questo Gesù Dio l'ha resuscitato e noi tutti ne siamo testimoni” (At 2,32) e che questa testimonianza costituisce la missione della Chiesa, anche oggi, e fino alla fine del mondo.

Il fatto storico della risurrezione è il segno, che Gesù ha offerto ai suoi avversari, per dimostrare la propria divinità, come si legge in Matteo: “I farisei e i sadducei si avvicinarono per metterlo a prova e gli chiesero che mostrasse loro un segno dal cielo. Ma egli rispose: Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia; e al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l'aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi? Una generazione perversa ed adultera cerca un segno. Ma nessun segno le sarà dato se non il segno di Giona. E lasciatili, se ne andò” (Mt 16,1-4).

Il segno di Giona allude al racconto-parabola del libro di Giona, che, ingoiato da un pesce, ne uscì vivo al terzo giorno. I farisei e i sadducei, che conoscevano bene questo racconto, compresero che Gesù intendeva dire che, dopo la sua morte, sarebbe risorto. Per questo motivo i sinedriti porranno dei soldati a guardia del sepolcro.

Secondo la parola di Gesù, la risurrezione, in quanto tale, non è un mistero di fede, ma è un segno, cioè è un fatto sensibile, visibile e constatabile, anzi è l'unico segno, che Gesù offre ai suoi avversari, per dimostrare di essere veramente Figlio di Dio e Salvatore dell'umanità.

Le apparizioni non fanno parte del segno, perché Gesù non ha promesso di apparire risorto ai suoi nemici e, di fatto, non appare a nessuno di essi, e anche perché le apparizioni sono avvenute, quando Gesù era già fuori della storia, e perciò non potevano essere più il segno di cui ha parlato Gesù.

Se non vogliamo smentire le affermazioni di Gesù, dobbiamo servirci del segno della risurrezione, per dimostrare la sua divinità.

Infatti Gesù si serve delle apparizioni per confermare nella fede i suoi discepoli, per istituire i sacramenti, per ratificare l'autorità di Pietro, per affidare ai suoi discepoli la missione di predicare il Vangelo a tutte le creature.

Il significato dei tre verbi       Leggi tutto     (Prefazione)


Note.

[1] D. LEEMING, «Mitologia», Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1976, p. 106.

[2] D. LEEMING, «Mitologia», Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1976, pp. 142-143.

[3] Giornale quotidiano «Avvenire», domenica 7 giugno 1987, articolo «L’Effetto fionda», p. 1 dell'inserto riservato alle diocesi del basso Lazio.

[4] Commissione Episcopale per la Dottrina della Fede, la Catechesi e la Cultura, «Non di solo pane. Il Catechismo dei giovani», Edizioni C.E.I., Roma 1979, pp. 159-160.

[5] Commissione Episcopale per la Dottrina della Fede, la Catechesi e la Cultura, «Non di solo pane. Il Catechismo dei giovani», Edizioni C.E.I., Roma 1979, p. 163.