Arrivederci Butelli


Ottobre 2022 - Primo giorno di università

Din Diridin Din Din

Suona la sveglia.

L’ho impostata venti minuti prima del solito per non rischiare di arrivare tardi. Oggi è il mio primo giorno di università.

Con gli occhi ancora chiusi scendo a fatica dal letto. Le gambe intorpidite dal sonno rendono lenti i movimenti.

Inutile dire che non ho dormito. Per tutta la notte mi sono frullate nella testa decine di domande del tipo: che cosa mi aspetta? Sarò all’altezza? Come saranno i professori? E i compagni?

I compagni.

Il flusso dei miei pensieri si sofferma per un attimo sulla parola “compagni”. Solo ora mi rendo conto di una verità dura da accettare: per la prima volta in cinque anni andrò a scuola, mi siederò su una scomoda sedia, appoggerò i libri sul banco e…e attorno a me non ci saranno più i volti noti e rassicuranti dei miei compagni di classe, ma solo una massa indefinita di sconosciuti.

E così la mia mente inizia a vagare, a ripercorrere tutti i momenti più belli delle superiori. Il ricordo viene catapultato indietro nel tempo fino alla prima.

Era da quel periodo che non mi sentivo così spaesato e a ben pensarci il mio stato attuale è simile a quello di allora. Spero passi altrettanto in fretta.

Che in realtà la prima non è stata nemmeno lo scoglio che mi immaginavo: sì ok il lavoro in più e le materie nuove, ma per la prima volta andare a scuola non mi sembrava più un peso, piuttosto un divertimento.

Del resto con la classe che eravamo ci si poteva aspettare ogni giorno qualche strana e comica novità, come capre in proiezione ortogonale e cose del genere. Il meglio però veniva durante le gite: oltre ai cori da autobus e alle improbabili rap battles, spesso contribuivano ad animare l’atmosfera anche i professori, partecipando a tornei di briscola dai toni piuttosto animati o rischiando di farci perdere il treno a causa di una sosta non programmata davanti alle vetrine di GUCCI.

E la seconda non è stata assolutamente da meno: tra amicizie consolidate, serate in compagnia, recitazioni improvvisate dei Promessi Sposi, spiegazioni di chimica fatte a partire da pizzerie e coppie di fidanzati le risate non si risparmiavano assolutamente.

Preso dal pensare a tante memorie quasi non mi accorgo di essere ormai arrivato. A riportarmi alla realtà ci pensa il bi del sensore di parcheggio della macchina.

Spengo il motore, tiro il freno a mano, esco e lo vedo. Davanti a me si staglia un immenso palazzo, sulla cui facciata spoglia, ornata solo di pochi dettagli, campeggia una scritta a caratteri cubitali: UNIVERSITÀ.

Sono arrivato. È il momento.

Per la seconda volta le mie gambe non si muovono. Che sia ancora il sonno? O forse stavolta è la paura a bloccarmi?

Torno a ripercorrere i tempi ormai andati del Liceo - l’unico pensiero che mi dia conforto nel subbuglio generale di emozioni che sto vivendo.

Dov’ero rimasto? Ah già, la terza…

Che anno strano quello. Tra cambi di professori, nuove materie e valanghe di roba da studiare, mi ci stavo giusto abituando, quando è arrivato il Covid. Mannaggia a quella volta che siamo venuti a scuola con le maschere da medici della peste, dopo aver sentito la notizia del contagio di Vo’. Ce la siamo proprio chiamata…

Però, a ben pensarci, anche in quella situazione non abbiamo smesso di vivere esperienze indimenticabili: tra interrogazioni serali con un piatto di pasta davanti, imitazioni degli audio registrati dai professori (realizzate rigorosamente nei bagni per non variare l’ambiente caratteristico di registrazione) e spam di citazioni di Aldo, Giovanni e Giacomo nei gruppi Skype durante le lezioni (alcune delle quali, peraltro, condotte eroicamente da professori talmente dediti alla vocazione da portarci con loro anche mentre si sottoponevano a tampone) anche la terza non è stata vuota di momenti memorabili.

Come del resto non lo è stata la quarta, anno sospeso tra presenza e Däd, in cui le nostre ormai affinate abilità informatiche hanno permesso un ampio uso di filtri vocali e visivi a scopo di pagliacciate, che hanno “traumatizzato” certi docenti, i quali sentivano provenire voci dall’oltretomba oppure vedevano la classe colorarsi nelle webcam. Pregevoli e d’alto livello - si fa per dire - sono state, inoltre, le discussioni sulla divisione dei beni nel server Minecraft, che da passatempo pomeridiano è diventato un laboratorio sociale.

Ma tra una divinità della Däd e l’altra il tempo galoppava e prima che ce ne accorgessimo ci siamo ritrovati in quinta, realizzando di essere i vecchi della scuola e trovandoci per le mani la spiacevole sorpresa di un esame completo.

Ma alla fine, come sempre, poche lagne. Eravamo la 5C, o no? Macchine avanti tutta, passi lunghi e ben distesi e saremmo arrivati ovunque. O almeno, così ci dicevano i nostri insegnanti.

Era un rapporto unico quello che avevamo con loro, fatto di numerosi scontri, ma anche di tanti bei momenti. Con il tempo abbiamo imparato ad apprezzarne i pregi e conoscerne i difetti, riuscendo a stringere un legame che in molti casi andava ben oltre il “professionale”. Quante lezioni interrotte per una battuta, un aneddoto di vita passata o per una seduta collettiva di psicanalisi! Perché in fondo un bravo insegnante non si riconosce solo dalle conoscenze e dalla capacità di trasmettere contenuti, ma anche per la sua empatia e il modo di porsi con i suoi alunni. E, infatti, l’insegnamento più importante che porterò con me ora che sono uscito dal Liceo non è la data di nascita di Dante o il nome della seconda moglie di Enrico VIII, ma il valore del duro lavoro, che non ci è mai stato risparmiato (soprattutto in quinta), ma sempre ricompensato.

Ad onor del vero, però, la quinta non ha portato solo fatiche e duro lavoro, ma anche molte altre memorie, forse le più belle di tutti e cinque gli anni dato che ci hanno fatto veramente capire quanto fossimo uniti.

Milano e Ossana, per esempio, tra alti e bassi sono state delle esperienze che ci hanno visti partire compagni e tornare amici. O il concerto di Natale, realizzato in due giorni e venuto fuori magnificamente grazie alle performance e all’impegno di tutti i partecipanti, che ha lasciato un’impronta indelebile nel nostro cuore.

Ma, si sa, il canarino perde le piume ma non il vizio. E infatti, i momenti clown non si sono risparmiati nemmeno in quinta: tra parrucche, barbe finte, cosplay del preside ed imitazioni dei professori c’è solo l’imbarazzo della scelta se si pensa ai momenti che ci hanno strappato a volte un sorriso, a volte una sonora risata.

Ne abbiamo passate talmente tante insieme, che la parola compagni inizia a sembrarmi riduttiva. Perché quando si condividono cinque anni di vita con qualcuno non si può non volergli bene. È così: non siamo dei semplici compagni di classe, siamo degli amici. E gli amici, si sa, possono prendere strade diverse - chi diventa geometra, chi idraulico, chi architetto, chi fisico, chi segretaria - ma non si lasciano mai veramente: si salutano per poi ritrovarsi di nuovo.

E anche questo nostro addio, in fondo, non è un vero addio, ma più un arrivederci. Anzi, un arrivederci Butelli.

Alessandro Setti e Lorenzo Fanfani