Muori da folle, ti canteranno coraggioso

Davanti alla grande incognita che il futuro costituisce è naturale ci si pongano infinite domande, senza certe né imparziali risposte, ma alle quali si cerca comunque un responso, basato su chissà quali indizi e voci, ma in cui si spera, ci si illude, si crede: non vi è paura nella menzogna.

C’è chi crede andrà tutto bene, che da un anno a questa parte fra un aperitivo e l’altro non ha smesso di twittare “#celafaremo”, c’è chi si aspetta il peggio, terrorizzato, chiuso nel proprio bunker di carta igienica. Le premesse sono le stesse, i timori analoghi, eppure le conclusioni sono differenti. Non di rado ciò porta a discussioni anche accese, ognuno convinto della propria affidabilissima idea: il mondo a quanto pare è pieno di veggenti, che tuttavia la pensano ben diversa fra loro e soprattutto in contrasto con la realtà dei fatti. Non importa quale sia la risposta, basta vi sia, basta vi sia un ordine, una speranza cui aggrapparsi strenuamente ed orgogliosamente fino a che una frana non porterà con sé il poverello nel baratro.

L’uomo, in breve, ama sentirsi coraggioso mentendo pure a se stesso, pronto a compiere qualsiasi cosa gli possa dare tale gloria, incluse inutili azioni suicida, in particolare quest’ultime poiché sembrano essere le uniche veramente efficaci, d’altronde non si può parlar male dei morti. Così Ulisse non esitò un momento a passare le tanto temute colonne d’Ercole né ebbe difficoltà a convincere i compagni a compiere un coraggioso gesto per la conoscenza, per la virtù, o, più probabilmente, una follia. Così la brigata leggera cavalcò lungo la valle di Balaklava, sotto il fuoco dell’artiglieria russa. Sicuramente gradirebbero tutte le poesie dedicate loro, se solo potessero sentirle. Eppure sarebbe dovuto andare tutto bene. È così flebile la linea fra audacia e pazzia?

Alberto Sarra, 5^C