La ricerca della felicità

Nome? Riccardo, Riccardo e basta, un cognome non c’è e non ci sarà mai.

E’ nato all’ospedale Maggiore di Milano diciannove anni fa, esattamente il 15 Marzo. Quel giorno aveva due genitori ma ad ora le uniche due persone che considera non genitori, ma tutori o semplicemente responsabili sono l’assistente sociale e il sorvegliante della camerata maschile.

Fisicamente è ben formato, alto, muscoloso, veste spesso il colore nero poiché dice che rispecchi meglio il suo umore e la sua vita. Ha i capelli castano chiaro e gli occhi blu, come il mare, le labbra carnose e rossastre.

Tiene molto al fisico, all’estetica e all’aspetto che egli mostra di sé agli altri; non lo fa per primeggiare, né per farsi notare dalle ragazze, che -al contrario- non gli interessano, l’unico motivo che lo spinge a compiere ciò è sentirsi in qualche modo curato e udire in lontananza qualche complimento da parte dei compagni più piccoli della camerata.

Da diciannove anni vive nella casa famiglia “Il nuovo sole” alla periferia di Milano; è stato portato lì subito dopo la sua nascita perché era il luogo più vicino in cui in bimbo così piccolo poteva essere lasciato.

La sua zona è abitata principalmente da famiglie con bambini di estrazione sociale piuttosto bassa, prevalentemente provenienti dal sud in cerca di lavoro e famiglie di immigrati da paesi nord africani. I suoi genitori, ovvero le due persone che lo hanno messo al mondo, non li ha mai conosciuti, eppure li ha cercati, per mesi, anni, ha controllato tutti gli uffici anagrafe della ragione ma la risposta era sempre la stessa: “Ci dispiace ma i suoi genitori, per l’articolo 451, hanno chiesto di rimanere anonimi e noi dobbiamo garantire la privacy”.

Questa situazione, crescendo, ha provocato in lui disagi e rabbia che a volte fa fatica a contenere. Inoltre si mostra risentito nei confronti della vita per quello che, sin da appena nato, gli ha riservato e anche verso le ragazze perché gli ricordano sua madre, donna a cui lui stesso attribuisce poco valore.

Da quando vive nella casa, qualche famiglia aveva tentato di adottarlo ma tutti i tentativi erano stati fallimentari in quanto, al di fuori di quelle mura, i suoi pensieri e ansie venivano fuori senza mezzi termini. Altre famiglie, invece, cercavano di adottare bambini più piccoli ritenendo più facile per questi ultimi l’accettazione del cambiamento. La scuola l’aveva finita, si era diplomato seguendo i corsi all’interno dell’istituto, ma siccome di voglia di studiare ancora non ne aveva, si era cercato un lavoro come barista in un locale della zona.

Questo lavoro gli permetteva di essere in contatto con moltissime persone e in più di un’occasione, vedendo qualche mamma alle prese con i figli, si era trovato a riflettere sulla mancanza della sua, non senza provocargli una sensazione di tristezza mista a rabbia.

Lavorava al bar dalle dodici alle dieci di sera ma i clienti che serviva sembravano sempre gli stessi finché un giorno si trovò a portare una cioccolata calda a una ragazza seduta da sola nel tavolo più appartato del bar. La ragazza dai capelli ricci biondi, occhi nocciola e bocca rosa chiaro, spostandosi i capelli, alzò lo sguardo e lo ringraziò con un flebile sorriso; Riccardo in quell’istante notò nei suoi occhi un velo di tristezza che sentiva in qualche modo comune, ma quel primo incontro finì lì e nessuno dei due avanzò alcuna domanda.

Nei giorni a seguire la ragazza bionda tornò diverse volte al bar per prendere la solita cioccolata finché un giorno Riccardo, respirando profondamente, si avvicinò a lei e si presentò ma in un modo un po particolare.

Non sapeva esattamente cosa lo spingesse tanto a conoscere quella ragazza ma qualche parte del suo cuore diceva così e per la prima volta aveva deciso di seguirlo; decise infatti di farle una proposta: “Oggi ti offrirò io la cioccolata a patto che tu mi conceda un’uscita insieme: dove e quando lo puoi scegliere tu”.

Alice scoppiò in un’allegra risata ma quando capì che parlava seriamente cercò di ricomporsi: “Te la concederò solo se insieme alla cioccolata mi offri anche uno di quei biscotti a forma di stella” disse indicando la vetrina della pasticceria. Riccardo annuendo tornò al bancone, prese il biscotto e glielo posò di fianco alla bevanda dicendo: “Ecco a te, ragazza di cui ancora non so il nome”. La ragazza sorrise e non appena Riccardo si allontanò disse: “Alice, mi chiamo Alice!”; queste parole provocarono a Riccardo un certo brivido, uno di quelli belli. Nei giorni seguenti la ragazza si recò al bar diverse volte per consumare la sua solita ordinazione e portando i ragazzi ad ampliare i loro discorsi”.

Quel famoso velo di tristezza sembrava diminuire quando era in sua presenza, ma la curiosità di sapere di più su quell’espressione si faceva sentire; non voleva però rovinare il rapporto con Alice, anche perché era il primo con una ragazza, ed era anche la prima persona con cui si sentiva se stesso al 100%. Un giorno d’autunno, grigio e nuvoloso, freddo e umido, Alice andò al bar, si appoggiò a braccia incrociate sul bancone e disse:

“Oggi è il giorno giusto!”. Lo portò in un grande parco verde chiamato “Giardino d’inverno”; era stupito perché non aveva mai notato quel piccolo angolo di paradiso.

Poco dopo Alice, respirando angosciosamente, pensò che quello sarebbe stato il momento giusto per aprirsi con qualcuno, così iniziò il suo racconto: “Da piccola venivo sempre qui con mia madre -sospira- lei si chiamava Clara ed è morta dandomi alla luce”, Riccardo ascoltando quelle parole aveva un solo desiderio: abbracciarla.

Decise allora di ringraziarla per il suo coraggio e fiducia raccontandole la sua di storia: “Io sono senza genitori da quando sono nato, non so il loro nome, né com’è il loro volto, come sono caratterialmente, non so nulla di loro, solo quello che posso immaginare e sin da quel momento vivo in una casa famiglia della zona”.

Con queste parole era convinto che anche lei avrebbe capito lui, alla fine sapevano entrambi com’era vivere senza una madre e questa vicinanza poteva solo far loro bene.

Scattò un abbraccio improvviso e ricambiato da parte di entrambi tanto che rimasero lì a parlare per tutto il pomeriggio. Riccardo sentiva un’emozione che non aveva mai provato, forse una volta aveva sentito parlare di felicità e sperava con tutto il cuore che fosse quella.

Era felice per essere riuscito ad aprirsi con qualcuno, a confessare anche le sue difficoltà nel trattenere la rabbia e con le ragazze, per aver scoperto che fidarsi non è sempre così male, per aver pensato che forse era stata la vita a fargli incontrare una persona come Alice e per essere riuscito a parlare per più di dieci minuti con una persona.

Questo è stato il suo primo momento felice.

E.R., 2^A