Pronti, partenza, scambio!

“La vita è un viaggio e chi viaggia vive due volte”, disse Omar Khayyam.

Raccogliere le proprie cose in una piccola valigia e partire per una meta quasi sconosciuta, se ci pensiamo bene, è proprio come nascere di nuovo. Da bambini abbiamo dovuto imparare una nuova lingua, e poi crescendo, anche ad orientarci da soli, saper comunicare con gli altri, fare amicizie nuove ed ambientarsi. Viaggiare è proprio questo: prendere un areo per tornare bambini in un paese nuovo, avere carta bianca una seconda volta, scrivere un pezzetto di una seconda vita.

Per questo motivo, abbiamo deciso di essere i portavoce delle esperienze di L.B. e B.B., due exchange students. L.B. è una ragazza belga, precisamente di Bruxelles. Passò tre mesi in Italia e frequentò la nostra scuola. B.B., invece, è una ragazza del nostro liceo. Adesso sta svolgendo uno scambio in una piccola città tra Londra e la costa, Fordingbridge. È accolta da una host-family composta da madre, padre, un figlio diciottenne che vive con loro e una figlia ventenne che vive da sola. Inoltre, ospitano un'altra ragazza dalla Svizzera, anche lei exchange student.

Affrontare un periodo così lungo, da sole, in una città diversa dove tutto è ancor da scoprire, non è forse come nascere di nuovo? Siamo qui per raccontarvi le loro impressioni sul paese del quale sono state ospite, per mostrarvi l’Italia con gli occhi di una belga, e l’Inghilterra con gli occhi di qualcuno che ne è pienamente immerso.

  • Qual è la cosa che più ti ha sorpreso dell'Italia e dell'Inghilterra?

L.B.: “Sono già venuta qui molte volte in vacanza e parte della mia famiglia è italiana, per questo non ci sono state delle vere e proprio sorprese per me. Ciononostante, venendo qui solo da visitatore, ho sempre pensato che l’incredibile affetto ed accoglienza degli italiani incontrati fossero dovuti solo al mio essere una straniera. Mi sono detta: ‘adesso andrò a vivere lì, le cose cambieranno’ ma così non è stato, anzi, mi sono sempre sentita la benvenuta”.

Similmente, B.B. ci ha detto: “Non posso ancora dire molto -dato che non ho avuto modo di muovermi, causa covid- però in generale mi ha veramente colpito l’accoglienza delle persone. A scuola sono stati tutti disponibili ad aiutarmi e cortesi in ogni contesto. Mi è sembrato curioso quando in autobus, scendendo, ringraziano sempre l’autista, lo stesso vale nei confronti dei professori quando si esce dall’aula. Contrariamente al tempo grigio, le persone sono sempre solari. Per quanto riguarda le norme anti-covid, è interessante il metodo del “one way system” adottato dalla mia scuola, secondo il quale tutti vanno in una stessa direzione senza scontrarsi”.

  • Hai dovuto passare molto tempo lontana dalla tua famiglia, è stato difficile?

L.B: “In realtà non troppo. Per la prima volta nella mia vita è stato bello, dopo 16 lunghi anni in un paesino del Belgio, staccarmi dalla mia famiglia e andare all’estero. Confesso però, che all’inizio mandavo spesso lunghi messaggi con tante foto allegate alla mia famiglia. Dopo un po’ ho diminuito: ora mi trovavo in Italia, dovevo concentrarmi sulla mia vita qui. Non significa affatto che non mi siano mancati, al contrario, è stato bello riabbracciare tutti una volta tornata a casa.”

B.B.: “Alcuni momenti sono stati difficili. All’inizio la partenza mi sembrava un’utopia lontana, poi, man mano che si avvicinava quel giorno, ho iniziato a realizzare il tutto. Grazie alla famiglia, agli amici e ai professori però, mi sono tranquillizzata: sapevo che ci sarebbero stati per me qualora avessi avuto bisogno di aiuto.

  • C’è stato un momento difficile durante il quale ti sei sentita scoraggiata?

L.B.: “Forse sì. Ci sono stati momenti in cui mi sono accorta che la mia host-family era molto differente dalla mia, all’inizio non è stato facile ambientarsi e mi è capitato di pensare ‘voglio tornare a casa’. Comunque, mi sono sempre detta che avrei dovuto portare pazienza: bisognava prendersi del tempo per conoscersi e vivere meglio tutti assieme.”

B.B: “I primi due mesi sono stati all’insegna della novità e della scoperta di tutto ciò che c’era. Verso novembre, mi sono resa conto che avrei dovuto trascorrerne lì ancora altri sette: è stato quello forse il momento più brutto. Tuttavia, grazie alla mia host-family, mi sono sempre sentita capita e supportata.

  • Qual è un aspetto del sistema scolastico italiano che hai apprezzato e porteresti in Belgio? E uno inglese?

L.B: “Può sembrare sciocco, ma ho molto apprezzato il preside. Qui in Belgio non è altro che una figura misteriosa, quasi mai vista, la quale passa le sue giornate in ufficio. Mi è piaciuto molto vedere come il preside della vostra scuola fosse così attento e legato agli studenti, l’ho trovato bellissimo. So che ogni scuola è diversa, quindi mi ritengo fortunata di essere capitata in una di questo tipo. Inoltre, ho adorato finire le lezioni prima di pranzo, contrariamente alla mia scuola dove c’è solo il tempo lungo fino alle 16. Ciononostante, ho odiato avere scuola anche di sabato. Solo un giorno e mezzo di riposo? Non fa per me. Quindi non sono sicura di voler portare il tempo corto in Belgio”.

B.B: “Ho apprezzato molto il fatto che durante la giornata scolastica abbiamo delle ore buche da poter occupare come preferiamo in una aula apposita munita di computer e connessione internet per tutti. Di conseguenza, ci rimane molto tempo libero nel pomeriggio per gli sport o per i nostri hobby. Anche la mole di lavoro è differente: abbiamo solo quattro materie. A gennaio possiamo decidere di abbandonarne una e portarne avanti solo tre, con sei ore settimanali per materia e più di un professore per la stessa. In generale, la quantità di lavoro non mi pesa particolarmente”.

  • Raccontaci un bel ricordo che porterai sempre nel cuore

L.B: “Non saprei... ce ne sono davvero tanti, ogni momento è stato bellissimo. Gli ultimi giorni sono stati di sicuro i più significativi. Ricordo che per l’ultima lezione di francese noi studenti abbiamo acquistato i pasticcini mentre la prof. Scucimarra ci ha offerto la cioccolata calda. Abbiamo passato l’ora conversando in lingua tutti assieme, quel giorno non lo dimenticherò mai”.

B.B: “Nonostante debba trascorrere ancora molto tempo qui, per adesso il ricordo più bello è stata probabilmente la loro accoglienza non appena sono arrivata. Sono partita da Milano in aereo per poi arrivare a Londra, dove mi è venuto a prendere un taxi privato che mi ha portata fino alla casa dove sono ora. Le prime presentazioni, le prime parole e i primi abbracci non si scordano mai, quindi occupano certamente un posto importante nel mio cuore”.

  • Rifaresti questo tipo di esperienza? E perché?

L.B: “Si, assolutamente. È stata l’avventura più entusiasmante della mia vita, la consiglierei veramente a tutti. È decisamente un’esperienza che ti cambia dentro: ti rende più socievole e aperta a nuove amicizie, entri in contatto con tantissime persone differenti e ti arricchisci. Impari molto sugli altri, ma anche su te stessa. Prima di quest’esperienza ero una persona timida, qui ho imparato a farmi coraggio e prendere parola. È stata una delle decisioni più belle.”

B.B: “Sì, sicuramente. È un’esperienza utile della quale percepisco i benefici già solo dopo tre mesi. Ho imparato molto dalle varie culture, non solo quella inglese, ma anche dalla ragazza svizzera e da tanti altri exchange students. Ho imparato molto anche da me stessa, poiché in alcune situazioni ho dovuto cavarmela da sola. Lo rifarei e lo consiglierei molto”.

  • Un po' "off topic", ma toglici una curiosità: ti manca il cibo italiano?

L.B: “Sì, tantissimo. Qui non è così buono, in Italia anche una semplice insalata condita era ottima. Mi sono innamorata degli arancini, non posso più farne a meno. Inoltre, il fatto che voi mangiate un pasto caldo a pranzo e a cena mi ha sorpresa, per noi non è così. Uno dei due è un pasto caldo, ma l’altro di solito si compone di qualche sandwich, del pane accompagnato da salse, o tartine”.

B.B: “Per quanto riguarda il cibo sono rimasta stupita: il piatto tipico è una pietanza di carne e verdure cotte, con una salsa chiamata “gravy sauce” che non mi fa impazzire. Il “fish and chips” è sicuramente ottimo, ma un po’ mi manca il cibo italiano”.

Gli uomini di un tempo stanno probabilmente invidiando, con occhi sbarrati e sguardi stupidi, la nostra così accessibile possibilità di viaggiare. È un dono che sottovalutiamo, del quale non ci rendiamo conto appieno. Prendete un mappamondo e fatelo girare veloce, bloccatelo puntando il dito, fate le vostre valige e andare a scrivere la storia della vostra seconda vita.

Intervista curata da A. I., L. P., T. R. 4^A