L'Aral, il lago che fu

Dal 1960 ad oggi il mondo è cambiato: l’uomo ha camminato sulla luna, si è sgretolata l’Unione Sovietica, sono nati i social network e il mare di Aral si è prosciugato del 90%, ma forse di quest’ultimo avvenimento non avete sentito parlare. Il lago di Aral, situato sul confine nord tra Uzbekistan e Kazakistan era uno dei laghi salati più grandi del mondo, ma nel corso della seconda metà del ‘900 una campagna di sfruttamento intensivo delle acque da parte dell’unione sovietica ha portato alla diminuzione del suo volume fino al 10% della sua dimensione originale. Attorno agli anni ‘60 dello scorso secolo, infatti, l’URSS decise di utilizzare le acque degli immissari del lago per irrigare le numerose ed estese coltivazioni di cotone e riso nel territorio adiacente al bacino; questo faceva parte del piano economico sovietico per diventare il primo esportatore di cotone del mondo.

A partire dagli anni ‘40, quindi, vennero costruiti circa 50 mila kilometri di canali di irrigazione, questi lavori furono svolti in maniera sbrigativa, senza badare all’impermeabilizzazione dei condotti; si stima infatti che il canale del Karakum, il più grande canale di irrigazione del mondo, sprecò tra il 30% e il 75% delle acque che vi transitavano. Tra il 1960 e il 1989 il lago si prosciugò miserabilmente passando dai suoi iniziali 68.000 km2 di superficie a 28.687 km2; addirittura dividendosi in due laghi distinti dal 1987. Nel 2004 la superficie era diminuita del 75% e ora del 2007 il lago era un misero 10% della sua estensione originale; questo processo di ritiro delle acque ha lasciato dietro di sé un enorme deserto, chiamato Aralkum, cosparso dei resti di un mare che ormai non c’è più: le barche arrugginite sono rimaste in porti abbandonati e senz’acqua e le città che una volta godevano di un lungomare adesso sono puntini in mezzo alla sabbia.

Nell’estate del 2019 sono andato a vedere con i miei occhi questo disastro ambientale e dopo molteplici ore di viaggio su una strada malmessa in mezzo al deserto sono arrivato a Moynaq, una di quelle cittadine che una volta fronteggiavano il lago. La scena che ho visto quando sono sceso dalla macchina era apocalittica, quasi surreale; le barche arrugginite stavano appoggiate sulla sabbia come scheletri mangiati dal vento e dietro di loro si estendeva un deserto senza fine, quello che una volta era il fondale del lago. Il viaggio era stato lungo e le attrazioni del posto si limitavano a resti di navi e sabbia, tanto che qualcuno potrebbe pensare che sia inutile persino andare a vedere il piccolo monumento in onore del lago che fu, ma io credo che una esperienza come quella non si possa vivere in nessun altro posto. Le emozioni che si sentono quando si vedono con i propri occhi paesaggi come questo sono intense e molto particolari, forse non comparabili alla felicità e alla spensieratezza che si provano nuotando nel mare maldiviano o sciando tra le dolomiti, ma il fascino di come l’uomo possa cambiare completamente l’aspetto di un territorio, negativamente, rende il lago di Aral estremamente unico e impareggiabile.

Riccardo Pagnin 5^D