Un senso

Lei: Ti sei mai chiesto il perché? Intendo, perché siamo nati? Perché moriamo? Perché ci svegliamo ogni giorno e cerchiamo qualcosa da fare per passare il tempo? Perché non rimaniamo per tutta la nostra esistenza sdraiati ad occhi chiusi senza pensare a nulla e senza nulla desiderare? Perché cerchiamo un senso per andare avanti?

Lui: Non lo so, ogni singola risposta che ho sentito non mi è mai sembrata definitiva, molto più facilmente alcune le ho ritenute ingenue o assurde e altre ancora non le ho nemmeno capite.

Però è strano sai? Più mi interrogo con onestà sulle domande che mi hai posto stasera e più mi rendo conto di avere in me un vuoto, una voragine di non senso la quale sembra esistere apposta per essere colmata. Eppure, ogni volta che provo a riempirla con qualcosa, un proposito o obiettivo, piccolo o grande che sia, vedo che questo diventa sempre più microscopico e quella invece sempre più grande e spaventosa. Ogni volta che credo di aver trovato il mio perchè e la strada per realizzare me stesso, mi rendo conto di quanto insignificanti e ridicolmente inutili essi siano di fronte a quel vuoto famelico che anela ad un sacrificio ogni volta più ambizioso e dalla fine sempre più sanguinosamente deludente.

Forse la verità è che non siamo fatti per la felicità e la soddisfazione. Forse siamo casuali pedine in un cosmo stupido e freddo che alla nostra fragile esistenza sembra un crudele schiavista che ci frusta fino al collasso, illudendoci con qualche fugace illusione di gioia che ci rende ogni volta più dipendenti. Forse l’antidoto a questa paura e disperazione è la pura dismissione di qualsiasi domanda e il vivere come animali senza nemmeno rendersi conto di una tale insensatezza…

Lei: Mmm… forse sì. Però ho una domanda: tu sei uno struzzo?

Lui: Ahahahah ma cosa?! Che vai blaterando? No che non lo sono, ma ti pare?! Sinceramente da te mi aspettavo una risposta più intelligente di questa ahahahah!

Lei: Può darsi, magari la mia uscita non è stata delle migliori ma ti ha portato a pronunciare una frase grande e credo anche vera: tu non sei uno struzzo, non sei un animale tanto ingenuo da pensare di sfuggire ai tuoi assalitori sotterrando la tua testa e rifiutando di guardarli. Tu sei un umano e sulle tue spalle e su quelle della tua specie è stata posta la capacità di porsi domande sul mondo e su voi stessi. E’ contemporaneamente un dono divino e una condanna infernale ma fa parte di te e da essa non puoi scappare, come un cane non può scappare dalla sua coda.

Lui: Quindi, stai dicendo che né la ricerca di un senso né la rinuncia alla ricerca stessa possono alleviare le mie pene? Che quel vuoto continuerò a temerlo? Che il destino degli uomini è di dover soffrire con lucidità?

Lei: No.

Lui: Ma come? Che altra via c’è? Non capisco? Né il senso né il non senso mi salvano… Cosa lo farà?

Lei: Strano come tu abbia rifiutato la prospettiva di un senso solo perché dopo averne provate molte nessuna ti è sembrata efficace, io direi che tutte quelle cadute sono state grandi occasioni…

Lui: Per cosa?

Lei: Davvero non ci arrivi? Eppure andare ad esclusione mi sembra semplice per quanto laborioso e sfiancante… Non hai realizzato che voi non siete fatti per conseguire un obiettivo?

Lui: Continuo a non capire…

Lei: Non sarete mai felici cercando di soddisfare l’infinito con il finito. Non potrete mai colmare il vuoto dell’insensatezza con obiettivi che per quanto titanici, anche se conseguiti saranno sempre insignificanti davanti alla sete di una vera realizzazione e di un vero motivo per vivere.

Per riempire l’infinito ti serve l’infinito.

Lui: E cioè?

Lei: Vi serve qualcosa che non si esaurisca, qualcosa che vi tenga sempre impegnati e che vi dia senso e benessere nello svolgimento dell’azione e non alla sua conclusione. Qualcosa di simile a ciò che i sensei giapponesi dicono dell’arte marziale… Come faceva il detto? Ah già: “la felicità non sta nel raggiungimento dell'obiettivo grazie alla pratica quanto più nella pratica stessa”.

Lui: Credo di aver capito cosa intendi… Tuttavia dubito seriamente che una cosa del genere, capace di trovare il suo senso in se stessa e non in un fine, esista veramente…

Lei: Hai ragione è un discorso piuttosto idealista ma azzarderò: a te piace essere amato?

Lui: Amato? Beh, si direi… Ma cos’è l’amore?

Lei: Beh credo nessuno abbia una risposta definitiva, è una di quelle cose che si conoscono quando si provano e si ignorano quando devono essere descritte ma penso che ognuno, alla fine, abbia potuto fare esperienza di cosa significa essere amati.

Lui: Si credo anche io, anzi probabilmente tutti noi avremmo voluto e vorremmo essere amati di più.

Ma è difficile...

Lei: Perché dici?

Lui: Perché amare costa, costa moltissimo quando per fare il bene dell’altro devi rinunciare a qualcosa, costa infinitamente e ti lascia con la paura di esserti sprecato. Di aver dato una parte di te a qualcuno che non te la ridarà. Per questo amare fa paura: tu ti apri e dai molto di te ma non sai cosa e se riceverai.

Prima o poi nessuno amerà più. Prima o poi anche quegli ultimi pazzi volenterosi si renderanno conto di star giocando un gioco che sembra non valere la candela e si ritireranno. Sarà molto triste allora. Forse la fine.

Lei: Siete una specie meravigliosamente strana voi umani. Tu in particolare hai tirato fuori tutti i tasselli per provare almeno a completare il tuo puzzle ma non hai il coraggio di disporli. Lo stesso coraggio che manca agli altri uomini per amare e affidarsi agli altri. Per impegnarsi in quest’impresa che non vedrà mai il suo compimento se non in se stessa e che da oltre a qualcosa per cui lottare anche un bene da ricevere.

Cosa vi trattiene?

Lui: La paura di trovarmi da solo…

Lei: E credi di essere l’unico a provarla?

Lui: Non lo so, forse no… Ma non ne sono sicuro

Lei: Se ci fosse qualcun altro con il tuo stesso desiderio e la tua stessa paura, saresti disposto a farti coraggio e ad andargli incontro?

Lui: Mi piacerebbe. Sì lo farei, sarei disposto!

Lei: E credi di essere l’unico?

A.Z.S., 4^C