Confessioni Galilei

La page si chiama “confessioni”, ma è ciò che di più lontano esista dall’originario significato della parola “confessione”. Non un momento di dialogo raccolto ed occasione di esame di coscienza, al contrario, un luogo virtuale di velenosa libertà, una caotica piazza dove la superficialità la fa da padrona. E leggendo le frasi di noi studenti fiondate sul web senza cognizione di causa o le opinioni frustrate e gratuite che poi riverberano anche in classi e corridoi, viene da chiedersi se dai colori di questo fenomeno se ne può dipingere un ritratto della nostra generazione. Spero non sia davvero così, ma a volte mi rassegno all’idea che magari gli adulti più polemici nei nostri confronti non abbiano poi così torto. Leggere i post di confessioni riesce quasi a convincermi di ciò. 

Sembrerà esagerato o boomer arrivare a tali conclusioni solo a causa di un’innocua page instagram, ma nelle dinamiche che la animano io ci vedo una potenziale distruttività.

“Libertà, libertà di parola, sembra un dovere, quasi non si contemplasse la possibilità di tacere”

Le parole di Ernia, credo condensino al meglio quello che penso sulla libertà: incensarla indistintamente, senza vederne luci ed ombre, è un rischio più che mai attuale. E ritengo che “confessioni” sia un esempio lampante delle ombre che possono interessare uno spazio anonimo di dibattito online.

Quello che si legge dai post ha meramente un acido sapore critico, che se nel migliore dei casi riesce a porre questioni interessanti, non tende però mai ad un’ottica collaborativa, limitandosi invece alla sterile polemica; negli altri casi poi o rasenta il vuotismo – che, per carità, ci può anche stare eh - o, peggio, rischia di influenzare con umori negativi chi legge. Se da una parte l’uso mediocre e vuoto di uno strumento che di per sé potrebbe essere utilissimo mi disillude (perché mina il sogno di una scuola dove si possa costruire davvero qualcosa), dall’altra il rischio che a causa di questo stesso strumento le persone o le relazioni umane vengano danneggiate mi spaventa. Lo so, il perbenismo di facciata può risultare stucchevole, ma forse ci si dimentica che dietro la semplicità di uno schermo ci sono persone reali. Credo non sia questione di moralismo, piuttosto di una forma di rispetto semplicemente frutto del buonsenso. Non si tratta di sottoporre a limiti e controllo l’attività online, ma di ridare valore in modo responsabile agli strumenti e alla libertà che possediamo.

Forse è un po’ tragico il disegno che ho delineato di questo fenomeno, ma trovo triste che sia la finestra di dialogo più dinamica della nostra scuola. Per me, si può fare di meglio.


D.R. 4^C