Il coraggio non si vede solo nei film

L’epidemia da Covid-19 può essere considerata come l’evento più straziante mai verificatosi dal dopoguerra a oggi. La pandemia, in cui ormai siamo costretti a vivere da più di un anno, ha stravolto la vita di ognuno di noi. In questo duro periodo abbracciare un amico, stringere la mano a un parente o stare in compagnia è diventato impensabile, in quanto potrebbe essere estremamente nocivo per noi, ma soprattutto per chi ci circonda. Molti diritti ci sono stati negati, come purtroppo quello di poter andare a scuola di persona, ma soprattutto siamo stati privati della nostra libertà, della nostra serenità che ci permetteva, e dava la forza, di vivere ogni giorno senza alcun tipo di preoccupazione. Quella che stiamo vivendo, e purtroppo provando sulla nostra stessa pelle è una guerra, una battaglia contro un nemico così impercettibile, ma allo stesso tempo così potente da immobilizzare un pianeta intero. E questo fa paura. Troppa. I medici, gli infermieri, gli operatori sanitari sono coloro che primi fra tutti si trovano ogni giorno a dover combattere temerariamente contro il virus. La loro forza principale? Il coraggio, compagno ormai abituale delle loro giornate. Per questo motivo abbiamo deciso di intervistare D.C., un infermiere dell’ospedale di Padova, che ogni giorno si trova a dover lavorare a stretto contatto con molte persone allo scopo di salvare loro la vita, mettendo a rischio la propria.

  • Come ha reagito di fronte alla notizia di dover lavorare a stretto contatto con persone affette dal Covid-19?

Lavorando in campo medico, si è sempre a contatto con soggetti che potrebbero essere infetti, presentare un certo tipo di malattia, quindi si può dire di essere in qualche modo preparati ad ogni tipo di situazione. Ma siamo di fronte ad un nemico sconosciuto, quindi il sentimento della paura permane, più o meno intensamente. Soprattutto quando, dopo un turno di lavoro, si deve tornare a casa, con la preoccupazione costante di poter contagiare i propri familiari.

  • Umanamente come sta vivendo questa situazione estremamente complicata?

È una vera e propria “guerra invisibile”: non è assolutamente facile lavorare, è richiesto un enorme impegno, sia fisico che mentale. Fisicamente, protezioni, mascherine, occhiali, non ci si abitua mai completamente. Mentalmente, si deve essere sempre pronti a tutto, e il coraggio non deve mancare. Ma combattendo questa situazione da’ la possibilità di sentirti utile e importante, due aspetti che permettono all’animo di non crollare completamente anche davanti a situazioni inimmaginabili. La ritengo un’esperienza indimenticabile, significativa, so che farà parte di me per sempre.

  • All’interno del suo ambito lavorativo si è mai dovuto fronteggiare con la paura? Come l’ha superata?

Ogni giorno, faccia a faccia con questa malattia, con la morte: se si vuole svolgere questo lavoro al meglio, la paura deve essere superata, o almeno controllata. Ritengo sia indispensabile mantenere la calma, e soprattutto accettare la situazione e convivere con preoccupazione, ansia, gioia momentanea. È l’equilibrio il segreto.

  • Cos’è che la motiva più di ogni altra cosa a svolgere il suo lavoro?

Ci sono molteplici motivazioni che potrebbero indurre a scegliere, ma soprattutto continuare, il mio lavoro. Innanzitutto, è un lavoro che insegna. Insegna l’importanza e il significato di valori che spesso da giovani non vengono compresi. Permette la conoscenza di temi, utili e applicabili in ogni campo, anche quotidianamente, e l’acquisizione di maggior pazienza e autostima. Consente di conoscere nuove persone, e di conseguenza migliorare la capacità comunicativa. Come si può notare, si potrebbe scrivere una lista bella lunga.

In realtà però, c’è una motivazione particolare che ho sempre ritenuto importante: questa è una delle poche occupazioni dove vi è ancora la possibilità di trasferire la propria esperienza, di trasmettere le proprie conoscenze e valori a chi vuole imparare il mestiere.

  • Quali sono le tre parole che potrebbero descrivere il suo lavoro?

Sicuramente potrei associarlo a tre aggettivi, che pur all'apparenza banali, lo riassumono molto bene: bello, impegnativo e soddisfacente, anche legato alle motivazioni precedenti. In realtà ci sarebbero altri tre termini fondamentali che mi sento di trasmettervi, legati stavolta alle caratteristiche di chi svolge questo tipo di lavoro: compostezza, comprensione e dedizione.

Ultimo consiglio? Mai dimenticare la vita vera.

B.L. e Sara Uccia, 4^A