Una definizione impossibile

La ricerca di una definizione di spazio è di per sé un esercizio paradossale, una gigantesca petitio principi, ossia una di quelle fallacie logiche in cui non ci si accorge, o non si può fare a meno, di cadere utilizzando un concetto che si ha la pretesa di spiegare. Prendendo a confronto una definizione enciclopedica di spazio, come il “luogo indefinito o illimitato in cui si pensano contenute tutte le cose materiali” e una prima definizione filosofica, come quella che dà Aristotele nel IV libro della Fisica, nel quale il luogo è definito come “il primo immobile limite del contenente”, al di là dell’evidente contrasto che si consuma intorno al concetto di limite, non si può fare a meno di pensare che questo, come gli altri concetti che concorrono alla definizione di spazio, presuppongono già una concezione dello spazio. Allora potremmo forse dire che lo spazio è qualcosa che a rigore è impossibile da definire, perché per definire alcunché si devono tracciare dei contorni, dei limiti, e per far questo si deve già possedere una certa idea di spazio. Siamo in un vicolo cieco, in un’aporia. Non ci resta che giocare con i concetti, ma di solito i giochi filosofici non sono quel tipo di giochi che fanno per lo più gli adulti, per i quali il gioco è divertimento, un tempo vuoto tra due faccende serie, bensì un gioco da bambini, quello che si gioca fino in fondo, perché non c’è nulla di più serio.

Seguendo l’immagine dei bambini che giocano, forse possiamo scoprire qualcosa di più sullo spazio. Ciò che uno spazio contiene, ciò che esso rappresenta o significa, varia in funzione del gioco, delle regole che si stabiliscono per portarlo a termine. Una piazza può diventare un campo da calcio, un cortile può diventare un’aula e viceversa, una stanza una cella di una prigione. Allora possiamo dire che lo spazio non è sempre lo stesso, non vale sempre allo stesso modo e questo ci allontana sempre più da una sua definizione o comprensione univoca. Ma questa mancanza di definizione non sembra essere semplicemente la constatazione di un limite, l’accettazione di una impossibilità. 

C’è molto di più. 

Lo spazio o il luogo, proprio per la sua impossibilità di essere definito, richiede sempre di essere definito. Non si può non definire lo spazio in cui ci si trova ad essere, nonostante l’impossibilità di una definizione univoca e universalmente valida. Non siamo mai in uno spazio e basta, siamo sempre in una piazza o in un campo da calcio, in un‘aula o in un cortile, in una stanza o in una cella o quanto meno nell’apparenza di questi luoghi. Definire il nostro spazio è ciò che di più inutile e allo stesso tempo di più fondamentale siamo chiamati a fare. Inutile perché non riusciamo mai a definirlo una volta per tutte. Fondamentale perché senza tale definizione non sappiamo dove siamo, cosa dobbiamo o cosa possiamo fare - se sono in una piazza passeggio, se sono in un campo da calcio corro, se sono in un’aula penso, se sono in una cella cerco di fuggire. Concludendo il nostro gioco filosofico, potremmo dire che una definizione di spazio è impossibile perché necessaria. È il primo compito che ci viene richiesto nel nostro stare nell’essere e allo stesso tempo quello che non riusciamo mai a portare a termine. Se fosse possibile definire lo spazio, avremmo già smesso di giocare, come gli adulti, e invece proprio perché lo spazio è impossibile da definire, pur avendo la necessità di farlo, ci è sempre richiesto di giocare seriamente nell’essere, come fanno i bambini.

Christian Belli