In viaggio... con il nostro preside!

Il preside (dal latino praesidere, sedere davanti) è un funzionario incaricato della direzione di un determinato ufficio, nell’ambito scolastico o universitario. Una figura importante: non mette sempre un po’ di soggezione parlare con il preside? Dunque, per aiutarvi a conoscerlo un po’ meglio, abbiamo deciso di intervistare il nostro. Buona lettura!

  • Che cosa l’ha spinta a diventare preside?

Sarebbe meglio dire CHI l’ha spinta a diventare preside. È stato infatti l’ex preside del Galilei, che si chiama Antonio Morossi, che mi ha convinto a frequentare un master all’Università di Padova sulla dirigenza scolastica, mentre ero vicepreside al Galilei, nel 2010. Questo master prometteva di preparare i futuri presidi quando sembrava imminente l’uscita del nuovo concorso. Partecipare al concorso sembrava quindi quasi un obbligo dopo tanto studio. Il mio brutto carattere poi mi spinge sempre, ogni qualvolta intraprendo un progetto, a tuffarmici anima e corpo, con l’idea che l’obiettivo si deve raggiungere: in questo modo ho superato tutte e quattro le prove del concorso. E così nel giro di sei mesi nel 2012, da insegnante di italiano latino felicissimo sono diventato preside, meno felice e con una montagna di responsabilità che nessuno, né l’ex preside, né i docenti al master avevano minimamente prospettato. Organizzare la scuola è bellissimo ed è un lavoro che mi piace molto, ma è rovinato dalla burocrazia e da responsabilità insensate.

  • Cosa pensava di questo ruolo quando era ragazzo/studente?

Dovete pensare che, quando io ero liceale, quasi quarant’anni fa, il preside non si vedeva quasi mai. Non è una cosa strana che uno studente in cinque anni non abbia mai avuto l’occasione di entrare in presidenza. Io stesso ho visto la mia preside pochissime volte e solamente nel mio terzo anno di liceo e solo perché ero rappresentante di classe. Altrimenti, andare dal preside significava sicuramente avere combinato qualche guaio. Non c’era il rapporto che si è instaurato negli ultimi anni tra studenti insegnanti e preside. Una volta il preside era il superiore degli insegnanti, ora invece il preside è colui che in qualche modo cerca di coordinare la vita di una scuola, che è formata non solo da insegnanti (e personale ATA) ma soprattutto da voi studenti: voi capite che non si può coordinare una realtà senza entrare in dialogo con chi ci vive; al tempo del mio liceo gli studenti a malapena potevano parlare con il coordinatore di classe e non con la confidenza di cui voi godete. Il dialogo tra ragazzi e adulti a scuola era molto scarso.

  • Qual è l’aspetto migliore dell’essere preside? Quale invece il peggiore?

La cosa più bella di essere preside è poter vedere crescere la realtà nella sua globalità. Essere preside significa prendersi cura di ogni persona che vive dentro la scuola, essere attento ad ogni aspetto che costruisce e costituisce il mondo della scuola, avere anche la possibilità di dare una propria impronta alla realtà scolastica. La grande soddisfazione è quella di poter entrare il rapporto con tutte le componenti della scuola, non solo con alcune, non solo con alcune classi, con alcuni studenti, oppure con una parte degli insegnanti, magari quelli che insegnano la stessa materia. Personalmente, poi, la cosa più bella è poter parlare liberamente con gli studenti.

L’aspetto peggiore è sicuramente la burocrazia che è diventata asfissiante e spesso talmente ingombrante da impedire di godere di tutte le cose belle di cui ho parlato sopra. Un esempio concreto lo avete potuto cogliere anche voi durante questa pandemia, con tutte le incertezze e contraddizioni che hanno colpito e danneggiato la scuola e gli studenti.

  • Qual è, a suo parere, la migliore esperienza che la scuola può offrire? Quale il miglior viaggio d’istruzione?

Dal mio punto di vista, la scuola ha raggiunto il suo obiettivo formativo ed educativo quando uno studente, venendo a scuola, si sente a casa sua e mostra soddisfazione e curiosità ogni giorno nello studiare e nell’apprendere, nell’ascoltare le lezioni, nell’approfondire gli stimoli che gli insegnanti danno, senza alcuna ansia per le verifiche, consapevole che sta costruendo il suo futuro. Al Galilei vedo tanti ragazzi che stanno facendo questo tipo di esperienza.

Credo che il miglior viaggio d’istruzione possa essere lo scambio con un gruppo di studenti di un altro Paese, con la possibilità di frequentarne la scuola, magari per un paio di settimane, per poter capire come è organizzata l’istruzione ed imparare cose nuove, senza togliere il gusto di visitare il Paese e le città e il piacere di incontrare persone di cultura diversa. Come potete intuire il Galilei offre una esperienza abbastanza simile.

Se invece pensate ad un viaggio d’istruzione “classico”, vi porterei sicuramente in Grecia, come ho fatto molti anni fa con due quinte del Galilei: andare a visitare la culla della nostra civiltà è un’emozione enorme. Non vi nascondo che mi sono profondamente commosso di fronte al Partenone e a percorrere il lastricato dell’agorà e dell’areopago dove avevano passeggiato Platone e Aristotele.

  • Come si immagina la nostra scuola nel futuro, alla luce di ciò che stiamo vivendo? Quali cambiamenti si aspetta, nel giro di qualche anno (cambiamenti nel modo di vedere, intendere e vivere la scuola)?

Vi confesso che in questa situazione di emergenza faccio fatica a pensare al futuro della scuola. Quello che stiamo vivendo ha poco a che fare con il concetto di scuola come luogo educazione, come palestra di vita, dove si costruisce il futuro delle persone: non può sussistere una scuola “virtuale”. Stiamo vivendo il meno peggio dell’istruzione ma purtroppo, mancando quasi completamente la socialità in senso lato, si sta sgretolando il caposaldo della scuola: la relazione educativa e non tutti sono consapevoli di questo pericolo.

Concretamente mi piacerebbe soprattutto che la scuola cambiasse il modo di valutare lo studio degli studenti. Ma mi piacerebbe che anche gli studenti capissero che la valutazione non è un giudizio sulla persona, ma sullo studio. Per far questo bisognerebbe trovare un nuovo sistema di verificare gli apprendimenti, bisognerebbe completamente rivoluzionare l’organizzazione degli orari e dei programmi, il lavoro dei docenti.

Dunque, vorrei una scuola più autonoma, che permetta (e quasi obblighi) agli insegnanti di programmare tutti insieme costruendo un percorso educativo sincronico, originale. Vorrei anche una scuola dove uno studente possa anche scegliere in parte le materie che vuole studiare e magari anche i docenti, in modo da sentirsi molto di più protagonista attivo del proprio percorso educativo.

Ho un po’ di idee su questi argomenti e mi sono anche confrontato con qualche vostro insegnante. La poca autonomia però che ha la scuola rende tutto ancora un sogno.

A margine vi confesso che, vista l’esperienza che stiamo facendo, l’aspetto digitale della scuola è quello che mi interessa in questo momento di meno, perché sono convinto che la scuola forma vite, anime, intelligenze, persone, non software. Sembra invece che la didattica digitale integrata non sia tanto uno strumento (limitato) per fare educazione (bello e comodo, per carità), ma la soluzione a tutti i problemi della scuola. Voi stessi mi fate capire che non c’è niente di più sbagliato di quest’idea.

Ebbene ragazzi, siamo giunti alla fine dell’intervista: ringraziamo il nostro caro Preside per la sua disponibilità e... che dire, sperando di tornare il più presto a scuola e vederlo ogni mattina davanti all’ingresso, raggiante, mentre saluta tutti noi studenti e ci augura una buona giornata!

C. B. 4^C, G. P. 4^D, A. P. 4^E