Intervista a Ramanujan

Che cosa sognate, di solito, la notte? In molti hanno un personale repertorio di sogni frequenti, fra i quali a volte se ne inseriscono di insoliti e particolari. In linea di massima, nessuno dice di sognare cose estremamente sconvolgenti, come, ad esempio: "In sogno mi appare una dea che mi svela i segreti dei numeri"... Nessuno, a parte il sorprendente matematico indiano Srinivasa Iyengar Ramanujan, vissuto tra il 1887 e il 1920. 

«Buongiorno a tutti e grazie per l’accoglienza! Anche per me è emozionante essere qui, in Italia, patria di così tanti artisti: sai, a volte lo si dimentica, ma anche i matematici sono artisti e, nella maggior parte, apprezzano la creatività in tutte le sue meravigliose forme.»

«Direi di sì. Nacqui ad Erode, in India; la mia famiglia era molto povera, ma fortunatamente potei studiare. Fin da piccolo amavo la matematica, anche se il mio carattere mi impediva di gioire dei miei risultati: mi infastidivano molto la scarsa gratificazione che ricevevo e tutti quelli che, a volte forse ingenuamente, consideravo insuccessi. Una volta mi arrabbiai perché un compagno aveva raggiunto un voto più alto del mio; un altro giorno nascosi nel tetto della casa quelli che speravo essere miei risultati dopo aver scoperto che erano, in realtà, già stati trovati dal grande Eulero.»

«Il libro più importante che mi ispirò e mi diede il desiderio di approfondire, sperimentare e giocare con i numeri fu "A Synopsis of Elementary Results in Pure and Applied Mathematics", di George S. Carr, una raccolta di interessantissimi teoremi e leggi. Nel periodo del College mi divertii molto a cercare di arrivare da solo ai risultati lì enunciati, concentrandomi sulla mia lavagnetta e dedicandoci tanto tempo, rubandolo alle altre materie che avrei dovuto studiare. Ciò mi costò più bocciature e l’impossibilità di raggiungere un titolo di studio.»

«Sì, provai a portare i miei quaderni a diverse persone, ma alla fine mi dovetti accontentare del lavoro di contabile. In quel periodo conobbi alcuni amici, che, impressionati dalle mie scoperte, mi consigliarono di scrivere ai matematici inglesi: così feci, e il grande Godfrey Hardy lesse le mie lettere e mi rispose.»

«Inizialmente un po’ sì, ma poi… sai, quando senti la necessità di comunicare con qualcuno che comprenda quello che tu vedi e ne possa gioire quanto te, beh, allora il coraggio lo trovi!»

«Ancora ne ricordo qualche pezzo: l’ho riletta talmente tante volte, per essere sicuro che fosse adatta! “Gentile Signore, mi pregio di presentarmi a Voi in qualità di contabile [...] con un salario di sole 20 sterline l'anno. Al momento ho quasi ventitré anni. Non ho ricevuto un'istruzione universitaria [...] Dopo aver lasciato la scuola, ho utilizzato il tempo libero a mia disposizione per occuparmi di matematica. Non mi sono attenuto al corso regolare e convenzionale che si segue in un corso universitario, ma sto tracciando un nuovo percorso tutto mio [...] e i risultati che ho ottenuto sono definiti dai matematici di queste parti "sorprendenti"... [...] Le chiederei di esaminare i documenti allegati. Essendo io povero, se è convinto che ci sia qualcosa di valore, vorrei che i miei teoremi fossero pubblicati. [...] Essendo inesperto, apprezzerei molto qualsiasi suo consiglio. [...]”. Nominavo anche alcuni miei oggetti di studio, che avevo appunto allegato, senza fornire le indagini effettive, ma indicando principalmente le linee su cui procedevo.»

«Qualche tempo dopo, mi raccontarono che Hardy era rimasto molto sorpreso dai miei lavori, come ad esempio il teorema sulle funzioni continue. Parlando di essi, disse: “Una sola occhiata è sufficiente a mostrare che potevano essere stati elaborati solo da un matematico di grandissimo valore [...] Devono essere veri, perché, se non lo fossero, nessuno avrebbe un'immaginazione tale da inventarli”. Più tardi disse anche: “Appresi da lui molto più di quanto lui apprese da me”. Puoi ben immaginare quanto sia stato appagante essere finalmente compreso e ammirato da qualcuno!»

«Esattamente. Inizialmente fu molto difficile, perché il mio modo di approcciare la matematica era estremamente diverso da quello degli altri. Spesso raggiungevo dei risultati prima di saperli dimostrare alla loro maniera e in pochi mi davano retta; sulle prime alcuni pensavano fossi solo uno sciocco. Poi, grazie anche alla preziosa collaborazione di Hardy, portai avanti alcuni studi, come quello legato alla funzione di partizione p(n): il numero di modi in cui un numero intero può essere ottenuto come somma di altri interi. A questo punto, cominciai a essere apprezzato da più persone. L’Inghilterra, però, era un Paese troppo diverso dal mio: clima, tradizioni, vita diversa da quella a cui ero abituato in India. Mi ammalai di tubercolosi e arrivai a sfiorare la morte, e non solo per via della malattia, non so se mi spiego…»

«Arrivare in una realtà nuova, in cui nessuno ti conosce, nessuno capisce come ragioni, nessuno condivide la tua religione e le tue credenze… Ambientarsi, adattarsi e inserirsi felicemente in un contesto completamente estraneo come quello non è così automatico come sembra.»

«Più o meno. Sicuramente a tirarmi su il morale ci furono le elezioni a membro del Trinity College e della Royal Society: dalla lavagnetta sul portico di casa mia alla Royal Society, dopo essere stato deriso e rifiutato da moltissimi! Com’era stato possibile? Quando mi arrivò il messaggio, fu come rinascere: mi sembra ieri, il mio cuore batteva all’impazzata e per qualche giorno non riuscii a smettere di pensarci e di sorridere. Ma la mia India e mia moglie Janaki mi mancavano troppo, così ritornai a casa, dove morii qualche mese dopo. Non avevo nemmeno 33 anni…»

«Ciò che mi dispiacque maggiormente fu non riuscire più a incontrare Hardy. Almeno, comunque, nella mia vita ho avuto la possibilità di vedere riconosciuti i miei meriti, cosa non del tutto scontata.»

«Devo la mia fortuna a Namagiri, una dea cara alla mia famiglia. Era lei ad apparirmi in sogno e svelarmi i segreti che legano i numeri. Forse si avvicina lontanamente a quella che alcuni definiscono “musa”.»

«Assolutamente sì. Ho trascorso tutta la mia vita cercando di seguire la mia religione, che è sempre stata fondamentale per me. Anche la matematica ai miei occhi è legata a Dio: un'equazione per me non ha senso, a meno che non rappresenti un pensiero di Dio

«Grazie a voi per avermi chiamato. Ricordatevi di vivere pienamente la vostra vita, non scoraggiatevi alla prima difficoltà o al primo “no” che vi sarà detto: gli anni potrebbero avere delle sorprese in serbo per voi!»

Ramanujan (per le parti in corsivo) e Noemi Salviato, 4^D