Papaveri

Arrivo in stazione in anticipo. Aspetto seduta su una panchina, in un punto per il quale non si può non passare.

Passano cinque minuti. Dieci. Altri cinque. Come per un riflesso incondizionato, i miei occhi si muovono febbrili tra il tabellone con gli orari e ogni volto che mi scorre davanti.

Il terrore che arrivi in ritardo inizia a farsi strada più velocemente del dovuto. Il terrore di dover affrontare questo viaggio da sola. Ma io non posso non partire… ne ho un bisogno troppo grande…

La gola si chiude, provo a deglutire. Bevo un goccio d’acqua… fosse stata tutta la bottiglietta, non avrebbe aiutato comunque.

Il mio treno è fra cinque minuti… mi avvio verso il binario… c’è troppa gente, e questo non aiuta a ridurre le sensazioni di inadeguatezza, di insicurezza che mi bloccano il respiro. Insomma… non sono mica l’unica persona rimasta in stazione, non sono l’unica da sola, non sono l’unica travolta dalla paura di perdere il treno. Come se tutte le altre emozioni non fossero già abbastanza.

Salgo sul treno appena in tempo, travolta da un fiume di altre persone da ogni dove, di tutti i tipi. Ma nessun volto familiare.

Trovo un posto a sedere… vuoto. Circondato da altri posti vuoti. Mi siedo vicino al finestrino; i miei pensieri decidono di porre rimedio alla loro noia travolgendomi inevitabilmente. Speriamo che almeno loro si divertano. Le lacrime, alleandosi con i pensieri, sicuramente non aiutano annebbiandomi la vista.

Tutti i problemi per cui ho deciso di partire, di ‘staccare’, tutte le incertezze, le paure… l’unica a provarle, l’unica a doverle affrontare.

Appoggio la testa, raccolgo le gambe sul sedile, chiudo gli occhi.

Quando mi sveglio, è sera. Non ho dormito molto. Cingo le gambe con le braccia, ho freddo. Mi guardo intorno… inutilmente.

Fuori, gli affettuosi raggi di un sole stanco abbracciano tutto quello con cui vengono a contatto, che lo voglia o meno. Più in basso, ignari spettatori di questo tramonto mozzafiato, un firmamento di papaveri si staglia fiero da una miriade di dorate spighe in mezzo alla quale si sono trovati forse per caso, forse no.

Completamente rapita da tanta semplice bellezza, qualcuno mi riporta alla realtà chiamandomi per nome.

“Ciao… scusami, sono arrivata in stazione in ritardo, per fortuna sono riuscita a salire sul treno in tempo. Però, chiaramente, nel vagone sbagliato, ti ho trovata solo ora… mi farò perdonare”

Le sorrido, si siede vicino a me. Il terrore molla la presa e ricomincio a respirare. L’ansia e l’angoscia svaniscono a braccetto. Rimane una normale, lieve paura, ma non è nulla in confronto. Come non perdonare la tua migliore amica?

“Guarda” dico, indicando lo spettacolo che si è generosamente mostrato ai nostri occhi. Non ha bisogno di essere commentato, degno testimone dell’inizio del nostro viaggio.

Non sono più sola, non lo sono mai stata.

Prima o poi le mie paure, nelle difficoltà, non prenderanno più il sopravvento. Come un papavero mi farò abbracciare, fiera, dalla luce.

Ma ora c’è lei al mio fianco e tutto andrà bene, ne sono sicura.

C.A., 4^E