Propositi

Primo giorno d’università, un nuovo inizio per tutti, un cambiamento di luoghi per molti; c’è chi semplicemente pedala verso una nuova meta della propria città, chi la propria città deve proprio abbandonarla e chi addirittura il proprio paese, tutti per questo nuovo inizio, per una nuova avventura da esplorare ed assaporare; giunti da disparati luoghi adesso siamo tutti qui, in mezzo a persone mai viste con cui si scambiano, almeno per ora, solo timide e fugaci parole. Insieme diamo il via ad un lungo percorso che ci vedrà compagni: con gioia mista ad una sorta di timore reverenziale saliamo l’ampia scala che tramite un’eterna spirale conduce all’aula della prima lezione: non è più l’ambiente raccolto di una volta, è sparita quella dimensione che si potrebbe definire umana, creata appositamente per accogliere e rassicurare: centinaia di posti si susseguono come disposti sul crinale di una collina, affacciata verso una vastità a cui sembra impossibile abituarsi, a dir poco sconcertante per un occhio allenato alla vecchia vita da liceale.

Il gesso stridendo sulla dura ardesia apre le danze, la lezione è cominciata: veloce scorre sulla nera lavagna lasciandosi dietro simboli su simboli a prima vista incomprensibili, indecifrabili nella loro complessità: la grandezza del luogo si riflette su una piccola nera lavagna, con segni bianchi il cui compito è proprio quello di rappresentare (o almeno provarci) l’immensità che tutti hanno sperimentato varcando questa nuova soglia. Tuttavia non bisogna farsi intimorire, bisognerà conquistare una certa familiarità con questi perfetti sconosciuti, non tanto differenti da una lingua ignota da imparare, necessaria per comprendere quel che ci circonda; d’altronde, per leggere una poesia, non è necessario conoscere la grammatica in cui è scritta? Ecco, eppure se tutti noi siamo entrati con il proposito di leggere letteratura ora siamo, e saremo a lungo, concentrati sulla lingua nella quale viene, ed è stata, continuamente scritta: prima bisogna imparare a dialogare con la natura e poi, forse, avremo la possibilità di perscrutarla. Il gran libro del Mondo è (s)fortunatamente scritto (oppure descritto, lasciamo scegliere a ciascuno), nella sua maggior parte, tramite la matematica, lingua uguale in ogni dove, che forse permetterà agli esseri umani di valicare il caos dei disparati idiomi per costruire una nuova Torre di Babele, slanciata a realizzare il bene supremo. Però nell’esatto momento in cui i simboli cominciano ad acquistare più chiarezza, alla mia memoria balena l’idea che un inizio senza un obiettivo, oppure un proposito a cui adempiere sarebbe vuoto, privo di significato, allora una voce interiore mi sussurra, anzi bisbiglia a tutti noi lì presenti, di rammentare e difendere strenuamente, se necessario, giorno dopo giorno, calcolo dopo calcolo una semplice ma imprescindibile frase: nel mezzo delle vostre equazioni ricordate sempre il bene dell’umanità, cercate di portare a termine quello in cui molti, prima di voi, hanno fallito.

Michele Negri, ex studente del Galilei