La chimica della paura

Nel 1998 in una scuola superiore del Tennessee, una professoressa iniziò a sentire un pungente odore simile alla benzina all’interno dell’aula. Non molto dopo, cominciò a lamentare sintomi quali nausea, fiato corto, vertigini e mal di testa. Quasi immediatamente, molti studenti cominciarono a provare sintomi simili e, in poco tempo, il resto della classe fu colpita. L'edificio fu evacuato e sul posto arrivarono i ​​vigili del fuoco e ambulanze per assistere i malati. Quella sera il pronto soccorso locale ricoverò 80 studenti e 19 membri del personale. Ma qual era il misterioso gas tossico che ha scatenato l'epidemia? Diverse indagini approfondite da parte di agenzie governative non trovarono nulla, neppure gli esami del sangue mostrarono segni di composti nocivi. Invece, secondo Timothy Jones, un epidemiologo locale, si era semplicemente diffusa la paura di essere avvelenati, alimentando i sintomi di tutti.

Un report del New England Journal of Medicine ha attribuito l'epidemia a un fenomeno noto come "malattia psicogena di massa”, che si verifica quando la paura di una possibile infezione si diffonde con la stessa violenza della malattia stessa. Gli studenti e il personale avevano deciso che, in base al comportamento altrui, vi era una minaccia reale di cui dovevano aver paura. “L'epidemia" nel Tennessee dimostra come le persone possano essere spaventate - fino al punto di ammalarsi - senza la presenza di alcuna reale minaccia.

Cosa ci fa avere paura?

Per comprendere meglio questo sentimento, una professoressa dell’università del Winsconsin, Joanne Cantor, ha trascorso l'ultimo decennio a scoprire come i film possano spaventarci anche molto tempo dopo aver lasciato il cinema. Con la sua ricerca, Cantor notò tre temi ricorrenti dei film che spaventavano di più le persone: immagini visive inquietanti, minaccia imminente e mancanza di controllo.

Nei suoi esperimenti, Cantor chiese ai partecipanti di scrivere come si sentivano quando pensavano al film più spaventoso mai visto. Quando analizzò le loro descrizioni, scoprì quanto fossero qualitativamente simili a estratti di pazienti con disturbo da stress post-traumatico. I partecipanti furono così colpiti da questi film al punto da perdere il sonno e sviluppare nuove fobie.

Ma perché non riusciamo a distinguere tra una minaccia reale e una falsa?

Secondo Cantor, è perché i film più spaventosi innescano una parte primitiva del cervello nota come amigdala. Quando abbiamo paura, quest'area è molto attiva nelle scansioni fMRI. Si trova in una parte "inferiore" del cervello, sviluppatasi all'inizio della nostra storia evolutiva per aiutarci a non diventare lo spuntino di una tigre dai denti a sciabola, per esempio.

Proviamo a considerare un facocero che vede un leone nel campo. La sua amigdala (il centro emotivo del cervello) identifica il leone come una minaccia. In seguito si innesca il rilascio di adrenalina in tutto il corpo. Il cuore batte e il respiro accelera, i passaggi polmonari si espandono e alcuni vasi sanguigni si dilatano. Questo porta grande quantità di ossigeno ai muscoli e le pupille si dilatano in modo da vedere meglio. Tutte le energie si concentrano sui muscoli, quindi smette di digerire e salivare, inoltre i nervi coinvolti nell'eccitazione si spengono. Tutte le diverse reazioni sono comandate dall’amigdala, la quale rilascia anche un’elevata quantità di adrenalina e cortisolo nel sangue. I due ormoni sono prodotti dalle ghiandole surrenali e rilasciano un segnale d’aiuto affinché il corpo reagisca.

L’amigdala è anche collegata all'ippocampo, dove conserviamo i nostri ricordi in modo da poter essere avvertiti quando incontriamo di nuovo la stessa minaccia. "L'amigdala non controlla ciò che pensiamo, ma piuttosto la nostra reazione corporea istintiva a un evento", afferma Cantor. "Si è evoluta in modo tale da reagire una volta incontrato qualcosa di minaccioso, indipendentemente dal fatto che fosse reale o meno”.

Sfortunatamente, la parte più evoluta del cervello, il proencefalo, ha difficoltà a ignorare la reazione dell'amigdala, non riuscendo a tranquillizzarci. "È difficile per la nostra mente cosciente attenuare le nostre reazioni fisiologiche", afferma Cantor. "Ad esempio, le persone che hanno avuto una reazione avversa a “Jaws” non solo hanno paura di andare nell'oceano, ma anche di entrare in laghi e piscine, nonostante non ci sia alcuna possibilità di trovare uno squalo in nessuno dei due”.

A causa di ciò, per circa il 75% della popolazione, di fronte ad una minaccia, la paura prende il sopravvento. Si va così incontro ad un tipo di reazione detto “freezing”, seguito da un rilascio di endorfine per attenuare l’agitazione.

E’ comunque importante ricordarsi che, sebbene la paura sia una delle emozioni primarie per la sopravvivenza, non deve controllarci completamente.

Come disse la stessa Cantor: “se ci concediamo la possibilità di conoscere ciò di cui si ha paura, allora potremmo anche scoprire che non c’è nulla di cui essere spaventati”.

A.C. e L.P., 4^A


Se vuoi dare un ulteriore sguardo…

https://www.sciencefocus.com/the-human-body/the-science-of-fear-what-makes-us-afraid/

https://neurosciencenews.com/hippocampus-bravery-cells-9816/

https://www.brainfactor.it/il-cervello-fra-paura-e-coraggio/

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