La felicità di insegnare

“Se ami quello che fai, non lavorerai un giorno”.

Così mi ha detto recentemente una persona per me speciale. Oggi più che mai so quanto vere siano quelle parole.

Molti anni fa, quando dovevo decidere che facoltà intraprendere, non sapevo cosa potesse rendermi felice. Le mie ambizioni erano dettate più dalle “mode” del tempo (le telecomunicazioni erano il futuro più promettente) e dalle aspettative delle persone che mi circondavano (genitori, professori, amici). Non ero certo in grado di ascoltare le “mie” vere attitudini, che ancora non conoscevo. Avevo provato a dire “mi piacerebbe fare l’insegnante” ma subito fui scoraggiata da qualche parente già docente: “da insegnante non è detto che trovi lavoro, da ingegnere sì" e con questo misero a tacere me e le mie titubanze. La scelta fu per ingegneria delle telecomunicazioni. Le mie capacità resero inoltre questa scelta quasi obbligata.

Poi la strada è stata segnata da opportunità e necessità varie, fino ad arrivare al fatidico posto fisso. La tranquillità lavorativa era raggiunta, per quanto poco remunerativa. Ma la felicità? Dov’era? Nemmeno l’ombra. Dopo uno dei giorni più belli e felici della mia vita, ovvero la laurea, gli altri giorni felici che ricordo sono stati legati ad alcune esperienze di insegnamento che avevo intrapreso per arrotondare uno stipendio molto esiguo.

Ogni volta che dovevo istruire o formare qualcuno, notavo che il mio “dare” enfatizzava il mio “essere”. Inoltre, si creava un legame. A distanza di tempo ho capito che quel legame era dovuto dalla mia voglia di far scoprire alle persone le loro potenzialità e quanto salvifico possa essere acquisire un sapere, che diventa poi consapevolezza.

La mia infanzia e la mia adolescenza non sono state affatto facili, per una serie di problemi famigliari, più o meno gravi. Ma chi non li ha o non li ha avuti? La scuola e la danza sono state le mie salvezze. Il tempo scandito dal senso del dovere, le piccole grandi soddisfazioni che di tanto in tanto colorivano le mie giornate, ripagando le fatiche e la dedizione, davano un senso ai giorni anche quando era difficile trovarlo.

La corazza creata da quella alternanza tra sacrifici e gratificazioni mi ha dato la forza di andare avanti. E mi ha reso una persona piano piano più forte. È arrivata l’indipendenza economica, il potermi dedicare alle mie passioni, raggiungere e realizzare piccoli sogni. Ma il lavoro ancora mi pesava. Era una prigione dorata. Venivo retribuita ma non mi sentivo realizzata. Valorizzata.

Così, la voglia di seguire la mia attitudine ha preso il sopravvento: più e più volte avevo pensato che insegnare mi facesse stare bene. Quel “dare” che mi faceva “essere”.

Allora ho provato. Ho osato. Ho chiesto un periodo di pausa dal mio contratto a tempo indeterminato per insegnare a scuola a tempo pieno. Ed è stato amore. L’emozione, la voglia di fare, la soddisfazione nel riuscire, la felicità nel svegliarmi ogni giorno all’alba per entrare in classe e aiutare dei giovani ad imparare, ad affrontare una difficoltà, ad aumentare il loro sapere, la loro consapevolezza, a creare la loro spina dorsale che li avrebbe preparati al mondo (del lavoro ma non solo). Questi gli elementi cardine di quell'amore.

La fatica era tanta. Ricominciare un mestiere da zero non è stato facile. La fatica era tanta, ma non mi pesava.

Piano piano capii che avere a che fare con i giovani era una sfida per me molto stimolante. Il luccichio negli occhi dei curiosi mi ammaliava, la voglia di riscattare chi era sfiduciato mi spingeva a scuoterlo per fargli scoprire quanto capace potesse essere.

Giorno dopo giorno l’amore per quello che facevo aumentava, fino ad indurmi a dare le dimissioni da quel contratto a tempo indeterminato pur non avendo garanzie per il futuro. Anzi.

La felicità che provo ogni volta che un mio studente ha la soddisfazione di prendere dalle mie mani una verifica con un bel voto, per il quale ha dedicato tempo e studio, è immensa. E se invece ne rimane deluso, spetta a me rimanere al suo fianco e non consentirgli di mollare. Se lui (o lei) non abbandona il campo ma lotta ancora, io farò di tutto affinché la sua fatica venga ricompensata da un piccolo tassello di sapere in più nella sua vita.

Annalisa Fortin