Intervista Newton Leibniz.mp4

Quando pensiamo agli ambienti di ricerca scientifica, ci viene naturale immaginare luoghi di collaborazione e condivisione del sapere, in cui la scoperta viene vista come impresa collettiva. Ma non è sempre stato esattamente così! Nel XVII secolo, periodo in cui vissero i due grandiosi scienziati Isaac Newton e Gottfried Wilhelm von Leibniz, per esempio, il contesto culturale e il sentire degli studiosi era talmente differente dal nostro, che si è arrivati ad una famosa "guerra tra matematici". Come è stato possibile? Quali sono state le premesse? E chi è stato il vincitore? La parola va ai due principali protagonisti, che abbiamo avuto l'onore di intervistare.

  • «Sir Newton, Signor Leibniz, benvenuti! Poter parlare con entrambi voi, qui, oggi è un privilegio più unico che raro. Grazie per aver accettato con entusiasmo l'invito!»

Newton: «Buongiorno a voi! Anche per me è un piacere poter essere qui per qualche minuto e avere la possibilità di parlare della mia storia a giovani curiosi, forse futuri scienziati! In passato sono stato un po' chiuso nei confronti del mondo esterno dalle mura delle mie stanze a Cambridge e ho pubblicato i miei studi con particolare parsimonia. Ciò che accadde successivamente mi convinse che quell'atteggiamento non era stato per niente conveniente…»

Leibniz: «Mi trovo pienamente d'accordo: la scienza e le scoperte vanno condivise, altrimenti che senso ha studiare? Venire a conoscenza delle fondamenta su cui si poggiano i lavori degli altri, inoltre, può aiutare a far nascere nuove idee. Niente è più importante che poter osservare le fonti dell'invenzione, che sono, a mio parere, più interessanti delle invenzioni stesse.»

  • «Prima di qualsiasi altro accenno al celebre conflitto che vi vede contrapposti, mi piacerebbe porvi una domanda che vi riguardi singolarmente. Riuscireste a riassumere le vostre spettacolari vite in poche, ma significative, parole?»

Newton: «Non so come apparirò al mondo. Mi sembra soltanto di essere stato un bambino che gioca sulla spiaggia, e di essermi divertito a trovare ogni tanto un sasso o una conchiglia più bella del solito, mentre l'oceano della verità giaceva insondato davanti a me. Se ho visto più lontano, e perché stavo sulle spalle di giganti; se ho fatto qualche scoperta di valore, ciò è dovuto più ad un'attenzione paziente che a qualsiasi altro talento. Già quando ero bambino ero molto attratto dai laboratori di chimica e mi dilettavo sviluppando qualche invenzione meccanica per divertire una mia amica. Crescendo, sono diventato un vero e proprio fisico e matematico, e mi sono cimentato in vari ambiti: ho dimostrato la natura composita della luce bianca, individuato le leggi della dinamica, scoperto la legge della gravitazione universale, ponendo le basi della meccanica celeste e creato il calcolo differenziale ed integrale.»

Leibniz: «Già da piccolo, apprezzavo molto studiare: a sei anni imparai il latino, a 15 anni entrai all'università, in due anni mi laureai in Filosofia; dopo altri tre anni conseguii un dottorato in Legge. Sono sempre stato affascinato anche dalla matematica, disciplina che onora lo spirito umano; mi fa sognare il pensiero che, se segnassimo a caso dei punti su un foglio di carta, si potrebbe individuare sempre e comunque un’equazione matematica tale da rendere conto di quanto fatto. Una delle mie intuizioni fu quella di introdurre il sistema numerico binario, anche se al tempo era privo di applicazioni; inventai anche una macchina calcolatrice. Altri miei apporti, oltre all'utilizzo del termine "funzione" e delle due notazioni legate al segno dell'integrale e a quello delle derivate, sono nel campo dei limiti. Naturalmente, lavorai anche sul calcolo differenziale e integrale…»

  • «Come abbiamo accennato prima, è famoso il conflitto matematico che vi vede protagonisti. Com'è iniziato, quali sono state le premesse?»

Newton: «Com'è iniziato tutto? Ho scoperto il calcolo differenziale! All’inizio dell’anno 1665 trovai il metodo di approssimazione delle serie e la regola per ridurre un qualunque esponente di un binomio qualsiasi di tali serie. Lo stesso anno trovai il metodo delle tangenti; a novembre avevo il metodo diretto delle flussioni e l’anno successivo a gennaio la teoria dei colori; il maggio successivo possedevo il metodo inverso delle flussioni. E nello stesso anno cominciai a pensare alla gravità che si estende fino all’orbita della Luna: tutto questo avvenne nei due anni della peste del 1665 e del 1666, perché in quei giorni ero nel fiore dell’età creativa e attendevo alla Matematica e alla Filosofia più di quanto abbia mai fatto in seguito.»

Leibniz: «Piano, piano: non che non l'abbia fatto pure io! Anch'io ho gettato le basi del calcolo differenziale e integrale! Peccato solo che sia avvenuto qualche anno dopo, nel 1675. Le due scoperte, comunque, sono state indipendenti, visto che il sir non aveva ancora condiviso niente dei suoi studi! Il mio approccio all'argomento, poi, era diverso da quello seguito da Isaac, anche se il calcolo era lo stesso.»

  • «Avete parlato di calcolo differenziale e integrale; mi spiegate brevemente in che cosa consistono?»

Newton: «Il calcolo differenziale viene utilizzato per esempio per studiare il comportamento di una funzione in ogni suo punto: se è crescente o decrescente, se è una curva concava o convessa…»

Leibniz: «Il calcolo integrale, invece, viene utilizzato per esempio nel calcolo di aree di figure piane dai tratti curvilinei, come ad esempio l'area sottesa al grafico di una funzione: si tratta di sommare quantità infinitesime.»

  • «In che cosa erano differenti i vostri approcci?»

Newton: «Io procedevo più empiricamente, nella mia teoria c'erano riferimenti all'esperienza fisica. Consideravo intervalli di tempo finiti che potenzialmente diventano sempre più piccoli; lo strumento matematico che prediligevo erano le serie.»

Leibniz: «Io, invece, ero più sistematico e geometrico, trattavo direttamente con quantità infinitesime.»

  • «Signor Leibniz, prima ha affermato che Newton non aveva pubblicato i risultati da lui ottenuti, e lei? Che cosa fece dopo la sua scoperta?»

Leibniz: «Nel 1676, chiesi con una lettera qualche delucidazione sul calcolo a Newton…»

Newton: «…e io gli risposi con quelle che oggi sono note come "First and Second Letters". Fui molto gentile, non nascosi i contenuti delle mie ricerche.»

Leibniz: «Anch'io, nella mia risposta, rimasi cortese e sincero, esponendo le mie conoscenze.»

Newton: «Sì, prima che il signor Leibniz tradisse la mia fiducia, il nostro era un normale scambio epistolare tra ricercatori…»

  • «Cosa intende dire? Signor Leibniz, che cosa fece per "tradire la fiducia" di Newton?»

Leibniz: «Non feci nulla di strano. Agii come fanno solitamente gli studiosi: pubblicai nel 1684 i principi del calcolo nella mia versione su una rivista, gli "Acta Eruditorum".»

Newton: «Come se fosse normale divulgare informazioni su cui ci eravamo confrontati, senza nemmeno consultarmi prima di agire. La scoperta, poi, non era tua, ma mia: io l'ho raggiunta per primo!»

Leibniz: «E io l'ho pubblicata per primo! Chi è il padre del calcolo, poi, non sta a te deciderlo: non si può dire che io abbia meno meriti di te!»

Newton: «Scherzi? Mi hai semplicemente plagiato, come osservò giustamente Nicolas Fatio de Duillier, un mio amico matematico svizzero...»

Leibniz: «Poi arrivò John Keill, un matematico scozzese, che mi accusò direttamente di essermi limitato a cambiare nome alle fluenti e alle flussioni. A questo punto era troppo, ne avevo abbastanza: inviai una lettera alla Royal Society, perché facesse ritrattare Keill. Dalla mia parte avevo diversi matematici, tra cui i fratelli Bernoulli. Uno di loro, Johann, avanzò per primo l'ipotesi che Newton avesse radicalmente innovato e approfondito il suo calcolo solo dopo il mio articolo.»

Newton: «La polemica divampò oltre il normale. Poi, per fortuna, venne istituita dalla Royal Society una commissione per dirimere la questione.»

Leibniz: «Indovinate chi stese il resoconto per la Royal Society? Ma Newton, ovviamente!»

Newton: «E dov'è la stranezza? Io ero il presidente della Royal Society!»

Leibniz: «Quel documento non servì a risolvere molto, infatti il conflitto, se così lo vogliamo chiamare, non cessò fino alla mia morte…»

  • «Chi dei due si considera il vincitore?»

Leibniz: «Io, chiaramente. Il MIO calcolo, con la MIA notazione è quello che ancora oggi viene utilizzato!»

Newton: «Nemmeno io ne sono uscito sconfitto: in fin dei conti, se non ci fosse stata questa "guerra", forse la mia versione del calcolo non sarebbe mai stata conosciuta.»

  • «Sembra quasi che la matematica sia causa di divisione. Ma è così?»

Newton: «No, assolutamente. L'unica cosa in cui ci trovavamo d'accordo, io e Leibniz, era proprio lei, la matematica, al di là dei nostri diversi approcci.»

Leibniz: «Esatto. Se avessimo pensato solo alla matematica, niente di tutto quello che è successo sarebbe avvenuto. La matematica non può dividere: unisce.»

  • «Per concludere, sarei molto curiosa di conoscere la vostra opinione riguardo una sfera che teoricamente non dovrebbe rientrare in quella puramente scientifica, ma che proprio ultimamente ho sentito attaccare con argomenti che si proponevano come scientifici, anche se in realtà di scientifico non avevano proprio nulla. Che cosa pensate su Dio e sul mondo in cui ci troviamo? Secondo voi può esistere un Essere superiore a tutto e tutti?»

Newton: «Non credo che l'universo si possa spiegare solo con cause naturali, e sono costretto a imputarlo alla saggezza e all'ingegnosità di un Essere intelligente. La cieca necessità metafisica, certamente la stessa sempre e dovunque, non potrebbe produrre la varietà delle cose. Tutta quella diversità delle cose nella natura, che troviamo adatte a tempi e luoghi differenti non può derivare da altro che dalle idee e dalla volontà di un Essere che esiste necessariamente.»

Leibniz: «Ogni creatura rispecchia il Creatore. Ogni anima è uno specchio vivente dell'universo. Quello in cui viviamo è il migliore dei mondi possibili. Nulla va considerato come un male assoluto: altrimenti Dio non sarebbe sommamente sapiente per afferrarlo con la mente, oppure non sarebbe sommamente potente per eliminarlo. Non credo che un mondo senza male, quando possibile, sarebbe stato preferibile al nostro. Altrimenti vivremmo in quello. Si deve, quindi, necessariamente credere che la presenza del male produca il bene più grande, altrimenti il male non sarebbe stato permesso.»

  • «Molto profondi come ragionamenti, grazie per averli condivisi con noi! Ormai è arrivato il momento di salutarci; vi ringrazio ancora per il tempo che ci avete dedicato!»

Newton: «Di nulla! Posso dare un consiglio a tutti voi? Ascoltate sempre i vostri sogni e inseguite le vostre passioni: solo così troverete piena soddisfazione in quello che fate. E ricordate: la verità si trova sempre nella semplicità, e non nella complessità e confusione delle cose.»

Leibniz: «Anch'io voglio darvi un consiglio: vivete la vostra vita lasciandovi sorprendere e incuriosire da ogni forma di cultura. In fin dei conti, l'arte è l'espressione più eccelsa di un'aritmetica interiore e inconscia.»

Newton, Leibniz (per le parti scritte in corsivo) e N.S., 3^D