Il territorio di Castelvenere

GIUSEPPINA RENDA

IL TERRITORIO DI CASTELVENERE

in "Carta archeologica e ricerche in Campania" fascicolo 7: comuni di Ailano, Casapesenna, Castelvenere, Pratella, Raviscanina, Roccarainola, San Cipriano d'Aversa

«L'Erma» di Bretscheider, 2012

PRESENTAZIONE DEI LUOGHI[1]

Il comune di Castelvenere, in provincia di Benevento, occupa il comparto sud-orientale dell’area telesina, stretto tra la dorsale collinare di Monte Pugliano e la Rocca di San Salvatore, i monti alle cui falde sorgono Guardia Sanframondi e San Lorenzo Maggiore e la valle del fiume Calore, sulla quale domina il monte Taburno.

L’area, allo sbocco delle valli che si incuneano verso il Molise e i monti dell’Appennino attraverso la stretta di Cerreto Sannita, è contraddistinta da una serie di morbide colline (figg. 1-2), oggi in buona parte destinate alla coltivazione della vite. Un’attenta raffigurazione del territorio appare in una minuta di campagna del 1830[2] (fig. 3): al centro sorge Castelvenere, in origine borgo fortificato protetto a nord dal torrente Seneta, già attestato come casalis Veneris in documenti del 1206 e del 1210 e nelle Rationes Decimarum Italiae del 1308[3]. Il castello, del quale rimangono parte del fossato ed alcune torri (fig. 4)[4], è opera dei Monsorio, che acquisirono il feudo dai Sanframondo nel 1460; è ampiamente descritto nell’apprezzo feudale del 1638 che ne segna il passaggio di proprietà ai Carafa: “edificato in luogo piano fortissimo di muraglie con fossi attorno…” al quale si accedeva attraverso una porta “con ponte levatoro dalla parte occidentale”[5]. Il nucleo antico e l’ampliamento moderno occupano un poderoso banco di tufo grigio campano (ignimbrite trachifonolitica grigia), ancora oggi visibile in più punti, contenuto tra il torrente Seneta a nord ed il fosso detto Vallone, a meridione[6].

La suggestione esercitata dal toponimo Veneri, solo in un secondo tempo associato al termine castello, ha dato luogo, nel corso dei secoli, a diverse teorie circa la sua genesi. Se la vicinanza a Telesia e l’identità del nome hanno indotto alcuni studiosi ad ipotizzare in zona un tempio extraurbano dedicato alla dea Venere[7], i più rimandano la sua origine al periodo longobardo. L’ipotesi più probabile è che derivi da Venerus, nome proprio di epoca altomedievale[8], ma diversi autori locali ipotizzano una sua ascendenza dalla regione del fiume Wien, in Austria, dalla quale proverrebbero le genti longobarde poi stanziatesi in questi luoghi[9]; non sono state tralasciate neanche le derivazioni da un culto a Santa Venere[10] o dal verbo venari, con riferimento alle attività venatorie, vista la presenza, in passato, di ampie aree boschive[11]...

[1] Ringrazio la prof.ssa Stefania Quilici Gigli, che, con la competenza e pazienza che la contraddistinguono, ha seguito in tutte le sue fasi la ricerca, consentendone la pubblicazione. Sono grata alla prof.ssa Maria Luisa Nava, al prof. Mario Pagano, all’epoca Soprintendenti Archeologi per il territorio indagato, e al dott. Angelo Enrico Stanco, ispettore responsabile di zona, per avermi concesso le autorizzazioni necessarie; un ringraziamento particolare alla prof.ssa Nava, per il supporto scientifico sulle testimonianze pre-protostoriche del territorio, per le quali quanto mai preziosi sono stati anche i consigli del prof. Antonio Salerno. Un grazie inoltre al prof. Gianluca Soricelli per i suggerimenti sulla ceramica.

Ringrazio il dott. Luigi Lombardi, per l’ausilio nel rilievo e nello studio delle strutture di Masseria la Grotta, e le colleghe ed amiche dott.sse Giovanna Cera, Paola Carfora, Stefania Ferrante e Sabrina Mataluna per le proficue discussioni.

La ricerca è stata condotta sul campo insieme agli studenti della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici della Seconda Università degli Studi di Napoli e dell’Università Suor Orsola Benincasa, per la campagna 2009 i dott. Giulia Barese, Elena Bianchi, Tina Bonacci, Amalia Bovino, Ilaria Ebreo, Lucia Guarino, Nicola Meluziis, Elena Ottaviano, Irma Rossi, Giuseppe Sonetti, Loretta Vitale; per le campagne 2010-2011 Laura Amato, Romy Battimelli, Simona De Simone, Sabina Giuliano, Marcella May, Germana Pecoraro, Luca Perrella, Luana Pisano, Luca Prosdocimo, Antonio Pugliese, Daniela Rebbecchi. Alle ricognizioni hanno partecipato anche Barbara Ruggiero, Margherita Di Niola, Vincenza Alfieri. A tutti loro la mia gratitudine per le ore trascorse insieme.

Gran parte della ricerca è stata portata avanti anche grazie all’ausilio degli amici venneresi. Mi preme ricordare la disponibilità e competenza del prof. Angelo Raffaele Scetta, la cortesia di sua moglie, la prof.ssa Iole D’Uva, le preziose indicazioni del dott. Tommaso Venditti e del Sig. Pasquale Simone, la sollecitudine e accoglienza di Giuseppe, Ettore e Dario Scetta. Un grazie particolare al Comune di Castelvenere, nelle persone dell’allora sindaco dott. Mario Scetta e di Raffaele Flore, che hanno reso possibile la pulizia delle strutture romane di Masseria la Grotta, e l’architetto Vincenzo Plenzick, per la documentazione aerofotogrammetrica. Esprimo la mia gratitudine ai proprietari dell’attuale Masseria la Grotta, in particolare al Sig. Silvio Salomone e al prof. Gennaro Salomone, per la disponibilità accordatami e un grazie va a Barbato De Risola (Studio Photo Time) per la fig. 4. Ringrazio infine il prof. Galietti per il suo sempre pronto sostegno.

[2] La minuta è relativa alle levate in scala 1:20.000 per la redazione del Foglio 18 della Carta del Reame di Napoli e riporta anche la firma del suo redattore, G. Bifezzi.

[3] Sul toponimo Castelvenere si veda MARCATO 1990. Per i documenti citati si rimanda a CIELO 2003a, p. 72. Il documento del 1210 farebbe supporre che il casale documentato nelle pergamene sia in realtà precedente, di epoca normanna, dal momento che si precisa che era stato in precedenza donato ad un altro feudatario. In effetti il termine Venere compare anche tra i casali che l’abate di Telese ebbe dal re Carlo II D’Angiò, con diploma del 1295 riportato nei registri angioini. Cfr. RICCIARDI 1917 e CIELO 2001b, p. 32.

[4] La torre settentrionale, ritratta nella foto, la più integra dal punto di vista architettonico perché quasi indenne dalle superfetazioni moderne, è crollata pochi anni orsono.

[5] L’apprezzo feudale di Castelvenere, conservato presso la Biblioteca del Museo alifano di Piedimonte Matese, è pubblicato in RICCIARDI 1917. Cfr. anche RICCARDI 1927, pp. 103-104. Notizie storiche sul borgo in GIUSTINIANI 1797-1805, in particolare pp. 186-190; MEOMARTINI 1907, s.v. «Castelvenere», pp. 255-256; DI BLASIO 1969; LANDO 1984, p. 10 ss.; MARROCCO 1985, pp. 39-40, che riporta, ma per smentirla, l’ipotesi che in zona sia da localizzare Censenniae, località citata dalle fonti antiche (p. 39); CIELO 2001b, p. 32; CIELO 2003a, p. 72.

[6] Il Vallone ha avuto modifiche in seguito alla costruzione della nuova strada di collegamento con Guardia Sanframondi. Per le note geologiche sul tufo grigio che caratterizza l’area, di origine quaternaria, si vedano la Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100000, F. 173, Benevento, e le osservazioni in BERGOMI, MANFREDINI, MARTELLI 1975, pp. 98 ss.

[7] Su tale ipotesi DE BLASIO 1899, p. 3; IANNACCHINO 1900, p. 186, ma in maniera dubitativa; MEOMARTINI 1907, p. 255; PACELLI 1980, p. 91. L’ipotesi è citata da A. MAIURI («Uno scavo stregato», in Il Mattino di Napoli, 29 luglio 1962) e riportata anche in MARCATO 1990.

[8] IANNACCHINO 1900, p. 187, che cita vari esempi di patronimici da un originario Venerus. Cfr. inoltre le osservazioni sul nome Venerus, documentato anche nel Chronicon Farfense, in MARCATO 1990.

[9] Cfr. MEOMARTINI 1907, pp. 255-256; DI BLASIO 1969, p. 6; LANDO 1984, p. 44.

[10] LANDO 1984, pp. 19-36 e 59-65. Ricorda lo stesso autore che nelle notizie su una visita vescovile del 1596, riportata in PISCITELLI 1976, pp. 238 e 240, viene citata una chiesetta rurale di Santa Venere. In effetti il toponimo Santa Venere è frequente in alcune contrade dell’Italia meridionale: ROHLFS 19903, p. 302.

[11] LANDO 1984, pp. 49-58.