La morte in croce

Pagine da: Giuseppe Ricciotti, Vita di Gesù, 1941

Il corpo perdeva incessantemente sangue e forza vitale attraverso gli squarci delle mani e dei piedi e attraverso le vaste lacerazioni prodotte dalla flagellazione: il capo era crivellato dalle punture delle spine; nessun muscolo trovava riposo nella posizione sulla croce. I tormenti si accavallavano e s’accrescevano sempre più atroci, senza un istante di requie. In quel tenebroso oceano di spasimi solo la più alta vetta dell'anima era serena, sublimata nella contemplazione del Padre. L'agonizzante era in silenzio.

§ 612. A un tratto, vicino all'ora nona, Gesù gettò un alto grido dicendo in aramaico: “Eli’, Eli’, lema’ shebaqtani”. Più che un'esclamazione in proprio, queste parole erano una citazione: esse costituiscono l'inizio del Salmo 22 ebr., e precisamente secondo la versione aramaica del Targum significano, come aggiungono in greco anche Matteo e Marco, Dio mio, Dio mio, perché mi abbandonasti? Essendo una citazione, il loro senso pieno è dato dall'intera composizione di cui sono l'inizio. Quel salmo infatti si riferisce al futuro Messia, di cui preannunzia i supremi dolori, e Gesù recitandone l'inizio sulla sua croce intendeva applicarlo a se stesso. L'antico salmo, fra l'altro, aveva detto: Dio mio, Dio mio, perché mi abbandonasti? Lungi dalla mia salvezza sono gli accenti del mio lamento. Dio mio! Grido di giorno, e non rispondi, pur di notte, né v'ha requie per me! io sono un verme, e non un uomo, obbrobrio della gente e spregiato dal volgo. Tutti quei che mi vedono si fan beffa di me, spalancan le labbra, scuotono il capo (esclamando): “Si rivolga a Jahvè”: Egli lo scampi, Egli lo salvi, perché di lui si compiace!”. Si, m'han circondato dei cani, un'accolta di malvagi m'hanno attorniato, hanno forato le mie mani e i miei piedi, io posso contare tutte le mie ossa. Essi mi rimirano, mi guardano, si spartiscono i miei indumenti fra loro e sulla mia veste gettano la sorte. Gesù dunque, affermando nuovamente con la sua esclamazione di essere il Messia, ne offriva una nuova prova nel confronto fra la profezia citata e l'avveramento di essa ch'egli mostrava in se stesso. Ma appunto le prime parole dell'esclamazione, “Elì, Elì” dettero occasione ad un equivoco. I dotti Scribi presenti vi riconobbero certamente la citazione del salmo; non così altri meno esperti, i quali intesero quelle parole come un'invocazione all'antico profeta Elia (§ 404), seppure non finsero d'intenderle in quella maniera per beffeggiare ancora una volta l'agonizzante quasicché fosse entrato in delirio. Cominciarono ad esclamare, tra incuriositi e sarcastici: Guarda! Costui invoca Elia!

§ 613. Nell'attesa, il crocifisso pronunciò un'altra parola: Ho sete! L'arsura, nelle condizioni di dissanguamento e di spossatezza in cui si trovava Gesù, era un fatto naturalissimo. Ma non consisteva tutto qui; infatti il salmo testé citato da Gesù aveva anche detto: inaridito come coccio il mio palato, e la mia lingua s'è attaccata alle mie fauci! Anche la sete, dunque, entrava nella visione del Messia sofferente; e perciò Giovanni (19, 28) fa rilevare che Gesù, affinché s’adempisse la Scrittura, disse: “Ho sete!”.La suprema implorazione dell'agonizzante trovò questa volta un cuore pietoso disposto ad accoglierla: fu certamente uno dei soldati di guardia alle croci. I soldati romani usavano dissetarsi, in mancanza di meglio, con una mescolanza di acqua ed aceto ch'è usata spesso anche oggi dai mietitori delle nostre campagne: anche il suo nome latino, posca, è tuttora superstite nel contado d'alcune regioni italiane. Prevedendo una lunga guardia ai piedi delle croci, quei soldati si erano provvisti portando con sé un vaso di posca. Udendo l'implorazione del crocifisso, uno di essi inzuppò di posca una spugna e mettendola in cima a un'asta l'appressò alle labbra dell'assetato. L'azione del soldato non piacque a coloro che avevano parlato di Elia, i quali perciò lo dissuadevano esclamando: Lascia: vediamo se viene Elia a salvarlo! (Matteo, 27, 49). Nel pensiero di costoro Elia, come salvatore, avrebbe provveduto a estinguere la sete del salvato. Sembra poi che la stessa esclamazione fosse ripetuta dal soldato, in risposta a coloro che lo dissuadevano (Marco, 15, 36) Lasciate, stiamo a vedere, se venga Elia a distaccarlo), quasi per mostrare che piuttosto era bene confortare il crocifisso in attesa della venuta di Elia. Gesù, che qualche ora prima aveva rifiutato il vino mirrato, adesso succhiò dalla spugna il liquido. Con particolare intenzione gli evangelisti chiamano quel liquido aceto, mirando essi al passo del Salmo 69, 22 (ebr.) che dice: Nella mia sete mi fecero bere aceto (cfr. § 605, nota). Quand'ebbe succhiato la posca, mormorò: E finito! Poco tempo più tardi l'agonizzante ebbe come un fremito; lanciò un alto grido; esclamò: Padre, nelle tue mani commetto il mio spirito! (cfr. Salmo 31, 6 ebr.). Quindi abbassò il capo. Era morto.