Carlo Giacinto Iacobelli
CRONOTAXIS EPISCOPORUM ALIFANORUM.
R.I. 3818
1) CLARO
Il nostro Ch. R. Gianfrancesco Trutta nella XXVIII Dissertazione delle antichità Alifane censura l’Ughelli, il quale in prova dell’antichità del Vescovado di Alife rapporta un distico leonino, che vedevasi scolpito in caratteri barbari sull’arcotrave della porta piccola della Cattedrale in cornu epistola, che diceva:
Ugh. Col. 207. Vita, salus mundi, pax, gloria, spesque secundi
A vitiis secunda fusos baptismatis unda.
Pretendendo, che queste parole altro non contenevano, che una preghiera a Dio a pro de’ novelli battezzati. Ma con buona pace del nostro illustre cittadino: esso si sarebbe uniformato al sentimento dell’Ughelli se avesse riflettuto, che nei primi tempi della Chiesa, tranne il caso di necessità, il battesimo solenne non si conferiva, che dal Vescovo ne’ giorni determinati di Sabato S. di Pasca, e di Pentecoste; e quindi nella sola Cattedrale esisteva la fonte battesimale, lo che sarebbe stato bastante a dimostrare l’antichità del Vescovado ad Alife. Solo dunque avrebbe potuto obiettarsi all’Ughelli, che l’uso de’ versi leonini non incominciò prima dell’XI secolo.
Or quantunque noi crediamo, che da più rimoti tempi esistesse la Sede Vescovile in Alife dal che sappiamo, che queste s’installavano ordinariamente ne’ luoghi cospicui quale certamente era l’antichissima città di Alife; con tutto ciò non abbiamo notizia di altri Vescovi anteriori a Claro. Di costui si sa, che intervenne a due concili romani radunati, e convocati dal Pontefice Simmaco ad insinuazione del Re Teodorico negli anni 499 e 501. Nel primo composto di 73 vescovi, il nostro Claro difese il Pontefice contro gli sforzi dell’empio antipapa Lorenzo; nell’altro mostrò l’innocenza del medesimo Simmaco dai delitti di adulterio, ed altro, che gli erano stati opposti dalla fazione di Lorenzo.
Rapporta questo fatto anche Giannone, il quale nel libro III cap. 6 art. 111 della Storia Civile del regno di Napoli dice, che nell’anno 500 (doveva dire 499, giacché nel 500, niun Concilio si trova esser celebrato in Roma) sotto il Re Goto Teodorico per la morte di Papa Anastasio accaduta nel fine dell’anno 498 pretesero di essere innalzati alla S. Sede Lorenzo e Simmaco. Che Simmaco diacono fu da maggior numero eletto, ed ordinato; ma Festo Senatore di Roma per sostenere il partito dell’Imperatore, fece eleggere, ed ordinare Lorenzo. I due partiti elessero per arbitro Teodorico, il quale per acquietarli, dopo lunghe controversie, procurò, che si convocasse un Concilio, al quale furono invitati tutti i Vescovi d’Italia. Vi andarono allora i Vescovi della Campagna, e tra essi il nostro Claro.
Ed è qui da notarsi con Natale Alessandro nella sua Storia Ecclesiastica, che Teodorico ordinò, che trattandosi di affari ecclesiastici il Sinodare stasse in piena libertà escluso il Visitatore, ch’era stato richiesto dalli scismatici: e che i Padri, sebbene nulla avessero voluto pronunciare sulli predetti opposti a Simmaco, volevano però castigare gli accusatori, locché il Pontefice non permise, quia (...) ita fratibus dimitti sicut cupiunt (...) a Domino dimitti.
Sebbene non sappiamo né l’epoca quando Claro fu assunto al Vescovado (anteriore certamente al Concilio Romano) né chi furono i successori nella Cattedrale di Alife, ci assicura però il P. Meo sotto l’anno 572 N. 3 che prima che i Longobardi devastassero questi luoghi, era in essi cresciuto in immenso il numero di Monasteri e che molti Solitari, e Claustrali fiorirono in santità benché non possa precisarne l’epoca. Pone in primo luogo S. Martino, il quale sull’autorità di S. Gregorio (1,3 dial. C. 16) sul monte Marsico vicino ad Alife, e Telese visse vita solitaria, chiuso per molti anni in una spelonga; delle di cui virtù, e miracoli, dice S. Gregorio, molti ne conobbi, a me narrati da Papa Pelagio mio predecessore e da altri uomini religiosissimi. Arigiso Principe di Benevento verso l’anno 769 ne volle trasferire il S. Corpo da quel monte ov’era nato alla Chiesa di Benevento; ma ne fu spaventato da un tremuoto, e da altri segni; indi poi nel 1094 il Vescovo S. Leonardo lo trasferì alla sua Chiesa di Carinola, dove se ne celebra la festa a 24 Ottobre.
Il medesimo P. Meo sotto l’anno 602 rifiutando Menna, che da taluni si crebbe vescovo di Telese, dice che dall’ingresso de’ Longobardi, né per questi tempi, né per più secoli in poi si trovano Vescovi telesini. Potrebbe forse dirsi lo stesso per i Vescovi di Alife?
2) GOFFREDO
Dalla morte di Claro, della quale è ignota l’epoca, sino all’anno 750 in circa non si trova fatta menzione di alcun Vescovo di Alife per le ragioni certamente indicate nella prefazione. Senonché il nostro Trutta in questo lungo intervallo situa un certo Goffredo di cui così scrisse nella Dissertazione XXVIII. “Goffredo che fiorì prima dell’anno mille di G.C. e di cui nel 1770 nel mentre s’incrostava di nuovo il succorpo della Cattedrale furono trovate le ossa dietro un picciol marmo con lo scritto:
Gosfridus E.pus hic Requi
la di cui lettera barbara dimostra, che fusse in questi tempi vissuto; e le ossa poste in una cassetta accumulate mostrano, esser ivi state trasportate da altro luogo. Intanto questo Goffredo, o Gosfrido, o Rotfrido sospetto, che fusse quell’abbate di S. Vincenzo in Volturno etc.”.
Il P. Meo nell’indice de’ suoi annali del Regno di Napoli, nominando questo vescovo riportato da Trutta, aggiunge in una parentesi (falso); ma contro di Meo Lapis de pariete clamat. Nella pagina poi 180 del tomo sesto s’impegna dimostrare, che Goffredo Abate di S. Vincenzo a Volturno non fu mai Vescovo. Sia pur così; ma rifletta intanto il P. Meo, che Trutta non ha parlato di questo Abate. Con accorto Sospetto ha scritto, che fusse quell’Abbate etc. Del resto se non fu l’abbate di S. Vincenzo il Vescovo di cui si tratta, poté essere un altro dello stesso nome. La invenzione delle ossa, e la sopra riportata iscrizione sono verità di fatto; dunque è certo che in Alife vi fu un Vescovo nominato Goffredo, chiunque sia stato.
Non è qui fuor di proposito annotare ciocché dice il lodato P. Meo nel tomo 1 sotto l’anno 570 pag. 70 che i vescovadi nel nostro regno erano in numero assai maggiore di quel che erano al tempo suo, prima che tante e doviziose Città come Acquaviva, Amiterno, Celano ecc. fossero sterminate da’ Longobardi, di molte delle quali si è perduto anche il nome; e che molte altre contarono i loro Vescovi finché divennero preda della loro barbarie, ma poi per secoli qual più qual meno giacquero desolata senza pastore. Fra molte di queste ultime annovera Alife, Amalfi, Sessa, Telese, Venafro ecc. È questa una nuova ragione per la quale sino al 750 non si fa menzione de’ Vescovi di Alife. Del resto è certo per quanto si dirà nel P. 7 che circa l’anno 741 la mensa di Alife possedeva moltissimi fondi, della maggior parte de’ quali fu spogliata sotto il Vescovo Vito (P. 7). Non poteva esserci la Mensa Vescovile senza Vescovi.
Dalla morte di Claro, della quale è ignota l’epoca, sino all’anno 750 in circa non si trova fatta menzione di alcun Vescovo di Alife per le ragioni certamente indicate nella prefazione. Senonché il nostro Trutta in questo lungo intervallo situa un certo Goffredo di cui così scrisse nella Dissertazione XXVIII. “Goffredo che fiorì prima dell’anno mille di G.C. e di cui nel 1770 nel mentre s’incrostava di nuovo il succorpo della Cattedrale furono trovate le ossa dietro un picciol marmo con lo scritto:
Gosfridus E.pus hic Requi
la di cui lettera barbara dimostra, che fusse in questi tempi vissuto; e le ossa poste in una cassetta accumulate mostrano, esser ivi state trasportate da altro luogo. Intanto questo Goffredo, o Gosfrido, o Rotfrido sospetto, che fusse quell’abbate di S. Vincenzo in Volturno etc.”.
Il P. Meo nell’indice de’ suoi annali del Regno di Napoli, nominando questo vescovo riportato da Trutta, aggiunge in una parentesi (falso); ma contro di Meo Lapis de pariete clamat. Nella pagina poi 180 del tomo sesto s’impegna dimostrare, che Goffredo Abate di S. Vincenzo a Volturno non fu mai Vescovo. Sia pur così; ma rifletta intanto il P. Meo, che Trutta non ha parlato di questo Abate. Con accorto Sospetto ha scritto, che fusse quell’Abbate etc. Del resto se non fu l’abbate di S. Vincenzo il Vescovo di cui si tratta, poté essere un altro dello stesso nome. La invenzione delle ossa, e la sopra riportata iscrizione sono verità di fatto; dunque è certo che in Alife vi fu un Vescovo nominato Goffredo, chiunque sia stato.
Non è qui fuor di proposito annotare ciocché dice il lodato P. Meo nel tomo 1 sotto l’anno 570 pag. 70 che i vescovadi nel nostro regno erano in numero assai maggiore di quel che erano al tempo suo, prima che tante e doviziose Città come Acquaviva, Amiterno, Celano ecc. fossero sterminate da’ Longobardi, di molte delle quali si è perduto anche il nome; e che molte altre contarono i loro Vescovi finché divennero preda della loro barbarie, ma poi per secoli qual più qual meno giacquero desolata senza pastore. Fra molte di queste ultime annovera Alife, Amalfi, Sessa, Telese, Venafro ecc. È questa una nuova ragione per la quale sino al 750 non si fa menzione de’ Vescovi di Alife. Del resto è certo per quanto si dirà nel P. 7 che circa l’anno 741 la mensa di Alife possedeva moltissimi fondi, della maggior parte de’ quali fu spogliata sotto il Vescovo Vito (P. 7). Non poteva esserci la Mensa Vescovile senza Vescovi.
3) ANONIMO
Viveva questo Vescovo nel 750 sotto il Pontificato di Zaccaria, il quale tenne la S. Sede per dieci anni sino alli 15 Marzo 751. Sotto questo vescovo fu edificato il Monastero di Monache denominato S. Maria di Cingla, vicino alla Chiesa di S. Cassiano in Ailano, che allora era tenimento di Alife. Questa Chiesa era stata edificata in detto luogo nel 748 a persuasione di Gisolvo II duodecimo duca di Benevento, da un ricco beneventano chiamato Sculdai il quale non avendo figli donò tutti li suoi beni a Montecassino, fra’ quali la Chiesa di S. Cassiano. Questa ad istanza di Perronace Abate di Montecassino fu convertita in Monastero di Monache sotto il titolo della Beata Vergine a spese del detto Sculdai con grande aiuto però del Duca, e della sua devotissima moglie. Oltre di ciò il Duca li donò la Chiesa di S. Croce con tutte le sue pertinenze, posta nel medesimo distretto, purché successivamente vi fussero Badesse tre donne chiamate Gausana, Panetrituda, e Geriberga, le quali abbandonando ogni loro bene elessero vivere in questo Monastero. Tutto ciò avvenne prima del 750 ultimo anno della vita del buon Gisulfo giusta il Ciarlante tomo 3 cap. 19.
Vissero tranquille le religiose in quel Monastero sino al 914 quando i Saraceni che al dire di Grimaldi usciti dall’Arabia nell’820 dopo aver devastato tutto l’Oriente, passarono dall’Africa in Sicilia e quindi sbarcarono a Taranto, nel detto anno 914 furono chiamati in aiuto da Radelchi II che lungo tempo era stato assediato in Benevento, il loro capitano chiamato Massare cominciò a travagliare non meno i vicini, che li medesimi beneventani con ogni specie di temerità; quindi distrusse in parte il Monastero di S. Maria in Cingla, prese il castello di S. Vito costrinse a darseli la città di Telese e pose a sacco il contado di Aquino ed altri convicini paesi, dove fatti danni inestimabili, carico di preda ritornò a Benevento.
Nell’anno 907, o come scrisse Michele Monaco nel 943, i medesimi Saraceni, i quali non cessarono di scorrere, e predare per ogni dove, piombarono nel territorio di Alife, dove cagionarono danni estremi e distrussero di nuovo S. Maria di Cingla. Per tal ragione il preposito del Monastero chiamato Giovanni, prese quanto poté salvare dalle mani di quei barbari, con sollecitudine grande, e col consenso dell’Abate Cassinese, trasferì le religiose nella città di Capua, e vi edificò il Monastero di S. Maria delle Monache, che fu compìto nell’anno 952.
Merita qui farsi onorata memoria della serva di Dio D. Marotta D’Aquino sorella germana del Tommaso, la quale eletta Badessa nel 1257 governò per due anni detto Monastero, ed il di lei cadavere sta in deposito nella Chiesa del medesimo.
Nel 761 il Duca Arigiso trasferì nel tempio di S. Sofia di Benevento, mettendoli sotto un solo altare, ma in urne separate, li corpi dei Santi dodici fratelli Martiri che riposavano in diversi luoghi della Puglia, nei quali erano stati martirizzati. Da’ loro atti si ha, che erano nativi di Grumeto vicino a Cartagine, figli di Bonifazio, e di Tecla, e che riceverono la corona del Martirio sotto il Giudice Valeriano nell’anno 238. Ma in diversi luoghi: cioè Aronzio, Onorato, Fortunato, e Sabiniano in Potenza a 27 Agosto; Settimino, Gennaro e Felicissimo in Venosa a 28 Agosto; Vitale, Lotario e Deposto in Veliniano a 29 Agosto; Donato Prete e Felice Suddiacono al 1° Settembre.
Furono trasferiti a Benevento e riposti a 15 Maggio. Si recano negli atti li seguenti versi, che poterono servire per iscrizione:
Bis senos urna Fratres, quos una creavit
Tecla...
4) ANONIMO II
Viveva questo Prelato nell’anno 770, quando il devoto Arechi XIV Duca di Benevento, il quale per la grandezza, e generosità di animo, nonché pel suo valore volle assumere il titolo di 1° Principe di Benevento, edificò una Chiesa sotto il titolo di S. Salvadore in tenimento della Città di Alife nel luogo, che ancora oggi ne porta il nome, quasi dirimpetto alla Chiesa rionale di S. Antonio Abate; e quindi aggiungendovi nuove fabbriche l’istituì Monastero di Monache, dandoli sufficienti entrate, onde potessero vivere comodamente, e sottomettendole al governo, e protezione degli Abati di S. Vincenzo a Volturno: fu perciò considerato come grancia di detta Abazia, perlocché Lotario confermando alla medesima molte pertinenze, annoverò tra queste “Monasterium quoque domini Salvatoris Nostri Iesu Christi, quod positum est Alife”. Perciò avvenne che con dispaccio de’ 14 Novembre 1801 fu incaricata la Curia a procedere alla reintegra alla Real Corona di questo Monastero, del perché succeduto sicuramente il Re ai dritti, e ragioni di Arechi, a lui si apparteneva il patronato del Monastero Alifano sopra cui riteneva tal titolo il Duca Arechi. Ma tal cosa non fu decisa.
Dell’antica Chiesa, Monastero esistevano i ruderi nella metà del Secolo XVIII quando finirono di rovinare, ed in taluni scavi, che vi si fecero, vi si trovò fra le altre lapidi un frammento di calendario, di cui parla l’Arciprete Trutta nella sua 4a Dissertazione.
In virtù delle sacre ordinazioni del Concilio di Trento Sess. 25 cap. 5 dovettero le religiose sloggiare da questo luogo campestre dentro l’abitato di Pied.e in tempo che governava la Chiesa di Alife Mons. D. Giov. Battista Santoro nella fine del 1558 (V. S. 38). In questo nuovo locale non avevano, che una chiesa molto angusta dirimpetto alla Chiesa di S. Biagio; ma nel 1656 val quanto dire dopo l’anno dell’universo contagio, ne fu loro fabbricata una nuova con disegno del valente architetto Cav. Cosimo, con zoccolo ed altare di marmo, a spese di una ricca gentildonna, che erasi fatta Oblata di esso Monastero.
Si venera in questa Chiesa un’antichissima statua di M.a SS.ma sotto il titolo della Neve, che spesso dispensa delle grazie a chi divotamente ricorre alla intercessione di lei. Si ha per tradizione, che quando questo Monastero era governato unitamente a quello di S. Vittorino di Benevento da una sola Badessa, essendo stata trasportata la statua a Benevento, la mattina seguente si trovò prodigiosamente in Piedimonte, per lo che volendo consacrarne la memoria fu esposta alla Chiesa la seguente iscrizione:
Vestustissime Deipare simulacrum
Miraculo clarum nobis ex tot saeculis tradito
Uniusque Coenobii et SS. Salvatoris, et S. Victorini Beneventi
Una tunc Abatissa
elesse illuc Moniales transtulere
Luce postera ad priorem sedem reversum miratur
Magnae Verginis (…)
Devotionis ergo gratique animi
Piae Matres restaurari, ac ornari curarunt
Anno reparatae salutis MDCCXIX.
(nota) – La Mensa Vescovile di Alife fin dal 764 possedeva molte terre e Chiese in Ailano, Gattuccini, Acquavicobola, Vicobonelli, Coppolini, Tordisci, Potolisci, Eremio, e altri luoghi, quali nel 971 gli confermò, e ne assegnò i confini Pandolfo, Capodiferro, de’ quali però, e della maggior parte ne fu spogliata dall’Abate di Montecassino con un ingiusto accomodamento. Vedi il P. De Meo sotto l’anno 1020 N. 3 e l’appendice al P. 7 di questo.
Non si capisce per quale spirito di avversione il P. De Meo non lasciò in ogni occasione di censurare il Trutta, di cui, parlandosi del Monistero de S. Salvadore nell’anno 762 N. 2 pag. 47 dice, che si crede un grande antiquario, ma non era suo mestiere. Desso il P. Meo non meno che il Trutta pone l’edificazione di tal Monistero nel 770: Trutta dice, che ciò avvenne poco meno di 40 anni dopo ch’era stato fondato S. Vincenzo di Volturno, e Meo dice essere avvenuto nel 703. Trutta censura Giorgi che dice essere stato fondato S. Salvatore nel 760, tempo, in cui Arechi governava da semplice Duca, e per la medesima ragione lo censura il P. Meo. In che dunque ha errato Trutta, onde essere rampognato dal P. Meo?
5) ANONIMO III
Governando la Diocesi di Alife questo Prelato nell’anno 865 fu distrutta la città di Alife, e spianata l’antica Cattedrale. Dall’empio Seoda capitano de’ Saraceni, che per essere stato assai più empio, e crudele di tutti gli altri fu chiamato Satan. Costui con gran furore corse tutta la Calabria, e la Puglia senza lasciare intatto luogo veruno: quindi si diresse a Benevento saccheggiando, e rovinando tutto, benché Adelchi, e Adelgiso XXI Duca, e VIII Principe più volte gli avesse mosso contro, alla fine fu costretto accomodarsi alla meglio con dargli ostaggi, e danaro. Or mentre se ne tornava carico d’immensa preda li corsero sopra Majolpoldo Castaldo di Telese, Vandelbrato di Boiano, Gerardo Conte de’ Marsi, ed il Duca di Spoleto; ma dopo fiero combattimento restarono morti Majolpoldo, e Gerardo e l’esercito parte ucciso, e parte posto in fuga. Insuperbito perciò maggiormente il fiero Seoda, sfogò tutto il suo veleno contro Alife, Tesele, Boiano ed Isernia.
Avendo nel P. precedente fatto menzione della celebre Badia di S. Vincenzo di Volturno, non sarà discaro al lettore ciocché soffrì da questo scelleratissimo barbaro. Corse egli su quel famosissimo Monastero, e non avendo potuto i Monaci ripararsi dal di lui diabolico furore ne rimasero trucidati nientemeno che 500 ed altri 400 furono portati cattivi. Sembrerà strano sì gran numero di Monaci; ma come osserva il Ciarlante Tomo 3 cap. 26 non tutti erano di esso Monastero, ma del Cassinese ancora, e di altri luoghi ivi accorsi in occasione di certe feste; sebbene il locale era capacissimo, e forse il maggiore di quanti in questi tempi erano in Italia.
Presero li barbari quanto di buono vi trovarono, e buttarono nel fiume il grano, e vittuaglie per privarne i contrari; ed il Capitano si recava a vanto bere ne’ sagri calici, e farsi dare l’incenso con turiboli d’oro ritrovati in quel Monastero per ludibrio della Religione Cristiana. Ciò accadde ai 10 di Ottobre, ma circa l’anno disconvengono gli autori: la Cronica Cassinese dice circa l’anno 865. Ercomperto lo pone nel 879. La Cronica di S. Vincenzo a Volturno nel 880 ed il Baronio due anni dopo, cioè nell’882 (Vedi pag. 320).
Se fiero fu nell’864 il saccheggio, che soffrì Alife dalli Saraceni, assai più feroce fu il flagello, a cui soggiacque nell’876. Nell’anno 876 al dire dell’Annalista Salernitano, i Saraceni accrebbero i fatti d’armi contro il Principato di Benevento: bruciarono Telese, Alife, Boiano, Isernia, ed altri parecchi luoghi.
Viveva in questi tempi Anefrio nobile di Alife, il quale offerì a Raifacio Abate di Montecassino il suo figlio Amelfrio, e donò l’intera Corte di Patenaria con tutte le sue pertinenze, l’intera sua porzione della Chiesa de’ SS. Nazario, e Vincenzo di Anglona con corte, tare, ecc. Ciò riferisce il P. Meo nell’anno 896 n. S.. Di questo Anefrio si fa menzione ancora nell’anno 899 n. S. colle stessissime note “Nobile di Alife”.
6) PAOLO
Di questo Vescovo benché non riconosciuto nell’Italia sacra, né riportato nella serie descritta nel palazzo Vescovile, porta il P. Meo sotto l’anno 982 N. 9. Quivi accenna una carta del 1020 riportata dal Gattola, in cui si ha un Memoratorio di Paolo Vescovo di Alife con Landone Giudice suo Avvocato, presenti Audobaldo, Conte, Ado giudice, Andrea Suddiacono, e custode di S. M.a in Cingla, e Audobaldo Avvocata di questo Monastero, scritto da Maraldo Chierico, e Notaio: In anno III Pr. D. Pandolfi gl. princ. Mense Iulio, XII Ind. quali note corrispondono appunto al 984.
In questi tempi, e precisamente in quest’anno patirono queste parti danno grandissimo per un orribile terremoto. In Benevento rovinarono quindici torri, sotto le quali restarono morte 150 persone: in Ariano, ed in Trivento i danni furono molti perché in buona parte andarono per terra; ma niun luogo lo sentì più luttuoso di Consa, la quale con i suoi abitatori tutta ne andò in rovina.
Nel 993 vicino alla Città di Sarno, al dire dell’Annalista Salernitano, fu ucciso un serpente, che fu nominato basilisco, cioè di grandezza straordinaria, che s’inghiottiva gli animali, che pascolavano nelle selve, e gli uomini ancora, che travagliavano nella campagna.
Scrisse ancora Ubaldo, riportato dal P. Meo, che nel 999 il monte Vesuvio buttò tanto fuoco, e polvere così densa per cinque giorni continui, che così simile non fu mai veduta, né udita. Omnes (…) timore sunt expariti. Il sole non raggiava per la densa, e nera polvere; La notte era luminosa come un chiaro giorno per le visibili, e continue fiamme. Non vi fu chi ardisse uscire di casa, né aprirne le porte, o finestre perché la polvere entrava col respiro in gola. Non si mangiavano le vettovaglie, perché imbrattate. Gli augelli cadevano morti dall’aria. Gli alberi, e le piante si seccarono. Scorsi poi cinque giorni venne un tremuoto, e tutta la Città, (di Napoli) ne fu scossa.
In questo medesimo anno 999 eravi lite tra molti abitatori di Ailano, e Pietro Preposito, e Custode del Monastero di S. M.a in Cingla, ov’era Badessa Sichelgaita, e suo Avvocato Maraldo, detto Madefrio, per alcuni confini in pertinenza nella Città di Alife. Fu deciso a favor del Monistero, ed il placito fu scritto da Gadefrio Suddiacono, e Notaio, e firmato dai Giudici Audoaldo, Mondo, e Leone: Actu Aliphe, anno XVIII Pr. D. Pandolfi gl. Pr. Ex XII anno Pr. Landolfi ejus filii, magnis CC. Mense Ianuario XII Indict.
Dal supracitato Gattola in altra carta del 1020 si ha un accomodamento tra il nostro Paolo Vescovo di Alife col suo Avvocato Landone Giudice, e Andrea Preposito di S. M.a in Cingla, presente Adi Giudice. Fu scritto da Giovanni Diacono, e Notaio: In an. IV. Pr. D. n. Pandolfi gl. Pr. m. Iunio XIII Ind. Si avverte, che Alife era in Principato d Benevento.
7) VITO
Era costi diacono della Chiesa di Alife quando petizione del Clero, dell’Ordine e della Plebe di Alife fu assunto al Vescovado della stessa Chiesa da Alfano Arcivescovo di Benevento l’anno 988. In un Placito del 1020 pubblicato da Muratori Diss. 18 questo Vescovo presentò la Bolla dell’Arcivescovo Alfano, in cui ipse Alphanus, dum me Ven. Vitum in sanctam Aliphanam Ecclesiam consecrabat (…) coi confini, e beni della Diocesi ecc. e la Bolla dicesi data in a. II D. Pandulfi, et I a. D. Landolfi gl. Pr. fil. ejus, m. Ianuario, I Indict. per manus … Sculd. Scritiniavi, et Bibliothecarii S. Beneventanae, et Sipontinae Ecclesiae in a. IV Archiepiscopaus ejus a. D. Inc. DCCCCLXXXII su di che osserva il P. Meo Tom 6 pag. 231 che questa data è falsa, ed aggiunta, giacché l’anno di Cristo non si notava in questi Principati, e che l’anno di Pandolfo doveva essere VII, non VI.
Questa medesima bolla è rapportata ancora dal Gattola, ma senza l’anno di Cristo, col suggello di cera, in cui vedesi da una parte la Croce con A ed Ω e ne’ lati della croce due colombe, e nell’altra parte si ha il nome di S. M.a . Lo stesso rapporta la lettura dell’Arcivescovo all’Ordine, ed alla Plebe di Alife, ai quali dice di aver loro consagrato il Vescovo in Diacono Vito, e ne descrive la Diocesi: Questa fu scritta dallo stesso Vesanzio n. Ianuario I Ind. a. 4 Archiepiscopatus ejus. Presso lo stesso si ha dippiù uno stromento di esso Vito, che ne riceve guadia, o sia plaggio per alcuni beni da Marso figlio di Luchino, presente il Conte Ademario, e Abelardo Giudice, scritto da Pietro Diacono, e Notio, Anno VIII Pr. d. n. Pandolfi gl. pr. et II a. Pr. d. Landolfi filii ejus magnis Principibus, die (…), quarta die stante m. Septembris II. Ind.
Questo Vescovo ebbe a soffrire una lite ingiusta nel 1020 per beni appartenenti alla sua Chiesa col Monastero di S. M.a in Cingla, di cui era Badessa Sichelgaita sostenuta dal Conte Pandone Longobardo; e tuttocché il Vescovo avesse preentato 23 Scritture contenenti atti di compere, di donazioni, e decreti ottenuti in altre liti, più due precetti di Pandolfo Capodiferro, che nel 971 confermò alla Chiesa, non che la Bolla di Alfano; pure perché S. M.a in Cingla era soggetta a Montecassino, e l’Abate era un fratello de’ Principi, benché il Monastero non avesse potuto presentare una Carta sola, ed il Vescovo ne avesse mostrate 26 una col possesso di anni non meno, che di 247 val quanto dire circa l’anno 741, pure sotto pretesto di accomodamento fu ordinato, che di quasi tutti tali beni si spogli la Chiesa, e si aggiungano agl’immensi beni del Monastero Actum Aliphae an. XXXIII Pr. d. Pandolfi, et II anno d. Pandolfi ejus fil. magnis CC. Mense Iulio III Ind.
Il P. Meo sotto l’anno 1025 rapporta nell’autorità dell’Annalista Salernitano, che i Greci con un corpo di Saraceni fecero scorrerie in Boiano, Telese, ed Alife. Ma furono attaccati, e rotti nella Valle di Telese dal Principe Landolfo, e da Adenolfo, e vi fu ferito il Califo de’ Saraceni Albihe.
(et) Affinché taluno non si meravigli nel vedere il Vescovo Vito consegrato dall’Arcivescovo di Benevento, è da notarsi, che il S. P. Giovanni XIII con Bolla de’ 26 Maggio 969 avendo concesso l’uso del Pallio a Landolfo Vescovo di Benevento, lo innalzò nel tempo stesso alla dignità di Arcivescovo, e gli diede la potestà di consegrare i Vescovi suffraganei. Ecco le parole della Bollla, che si legge nell’amplissima collezione de’ Concili T. 19 col. 19 “Tribuentes tibi insuper cum lo (pallio) potestatem, et honorem Archiepiscopatus, …, et successores tui infra suam Dioecesim, in locis in quibus olim fuerant, semper et in perpetuum Episcopos consecret, qui vestrae subaceant (…) S. Agathae, Abellini, Quintopesimi, Ariani, Asculi, Bibini, Volturniae, Larini, Thelesiae, Aliphae, ecc. Merita esser letto ciocchè scrisse il P. Meo nel Tomo I sotto gli anni di G. C. 575 e 596.
8) ARTIS O ARECHI
Governava la Chiesa di Alife circa la metà del secolo XI Arechi o Artis, come lo chiama Ughelli, il quale fu uno de’ 113 tra Vescovi, Abati, e Preti che intervennero al Concilio Romano convocato nel 1059 da Papa Nicolò II giacché nell’anno precedente essendosi intruso nella Sede Apostolica Giovanni Vescovo di Velletri col nome di Benedetto X mal soffrendo molti Cardinali, non che i Romani stessi, ebbero ricorso ad Enrico IV. Costui a dì 9 dicembre in un Concilio tenuto a Siena fece eleggere Gerardo Vescovo di Faenza, che prese il nome di Nicolò II il quale si pose subito in marcia verso Roma colle milizie del Re, e di Goffredo Duca di Lorena. Ma l’antipapa non ardì aspettarlo; onde vedendo, che i Principi erano tutti per Nicolò, depose le insegne pontificali, e si ritirò in sua casa. Il Papa intanto a 13 Aprile 1059 convocò un concilio in Roma, in cui si fecero vari regolamenti riguardanti la elezione del Pontefice, e la regolarità della vita de’ Clerici, e si trattò la causa importantissima dell’augustissimo Sagramento dell’Altare, la cui verità era … impugnata da Berengario Diacono Andegavense, il quale fu così convinto con argomenti, ed autorità de’ SS. Padri, che riconobbe il suo errore, e l’abjurò con solenne giuramento; sebbene in seguito, al dire del Fleuré, vi scrisse contro, caricando d’ingiurie il Cardinale …, che n’era l’autore. Or tra i Padri, che firmarono questo Concilio, uno fu il nostro Arechi; ma è da notarsi, che il P. Meo Tom. 8, pag. 3 lo dice Vescovo di Sessa, per un puro errore di penna, sì perché poco innanzi aveva nominato Vescovo di Sessa un certo Benedetto, si ancora perché nell’Indice lo annovera coll’Ughelli tra i Vescovi di Alife, correggendo l’errore.
Di esso si fa menzione ancora in una bolla di Alberico Arcivescovo di Benevento pubblicata da Ughelli, più corretta dal Cardinale Ursini, (poi Benedetto XIII) ed indi inserita nella Collezione de’ Concili Tomo 19 col. 935. Un certo D’Amico Abate di S. Sofia aveva fatto istanza contro di Leone Vescovo di Dragonara, che si teneva due Chiese di sua Badia. Alberico di unito ai Vescovi suoi suffraganei di Civitate; Fiorentino, Larino, Monteurbino, Buviano (Boiano), Telese, Alife, Boveno, e Frigento gli fece ragione; il Vescovo cedette le Chiese, e ne fu investito l’Abate. Quindi è che anche nella Cronica di S. Sofia si fa menzione del nostro Vescovo.
9) ANONIMO IV
Nella serie di Vescovi esistente nel Palazzo Vescovile di Pied.e ad Arechi si fa succedere Roberto, e quindi un Anonimo con manifesto anacronismo poiché se Barbato viveva a tempo di Rainulfo III Conte di Alife, che morì nel 1139 a sentimento di Tadeo, o nel 1138, a parere dell’anonimo Cassinese, all’incontro l’Anonmo Vescovo di Alife viveva nel II anno di Papa Onorio II che corrisponde al 1125 è chiaro, che l’Anonimo di cui è parola esistette in Alife prima di Barbato.
Di questo anonimo sappiamo, che gli furono imputati non so quali delitti, e che essendone informato Papa Onorio II costui a dì 26 Agosto del secondo anno del suo Pontificato scrisse una lettera data Laterani VII del Sept. Pont. an. II al Vescovo di Tiano chiamato Pandolfo, che si fosse informato con accerto se fossero vere le cose indegne, che si dicevano di questo Vescovo. Quali fossero state le accuse contro il Vescovo, e quale il risultato dell’informo presone, è del tutto ignoto.
Falcone Beneventano ci fa sapere, che nella notte del dì 10 Ottobre 1125 stando il Papa Onorio a Benevento, tanto in essa, quanto nelle città, e terre convicine vi fu una scossa inaudita di tremuoto, che fece a tutti aspettarsi la morte, per cui quasi tutti ricorsero alla Chiesa. Per quindici giorni, notte, e dì vi furono scosse così continue, e forti, che istupidivano i Cittadini per lo spavento. Il Papa Onorio, fatti venire a se i Cardinali, egli a piedi nudi andò in processione alla Chiesa di S. Leone, più piangendo con tutto il popolo, che cantando le litanie.