Introduzione dell'Autore.
In una società, quale è la nostra, del tutto o quasi aliena da qualsiasi forma di discorso poetico, in quanto intesa al pragmatico, al guadagno, al frivolo, al godereccio, avverte una sorta di disperazione chi, caparbiamente, trova ancora la forza di scrivere versi.
In una società, quale è quella borghese, in cui tutto si allinea all'accettazione di norme sociali, che respingono qualsiasi forma di diversità, in cui tutto sembra convergere alla capricciosa massificazione dei costumi, delle azioni, delle idee, a scrivere versi c'è quasi da vergognarsi.
Perché raffinare lo spirito nella sublime arte poetica è ostile, aberrante, estraneo, perditempo, anomalo, rispetto all'uso perenne di salottiere conversazioni e all'uso di carte e dadi manipolati con maestria sugli scanni da pub o negli addetti circoli, nella totale "incoscienza della volgarità".
È consuetudine di diffusissima costumanza dell'attuale borghesia decretare la morte della poesia, ma, generalmente, dell'arte tutta a sostegno dell'ideologia del divertimento a tutti i costi, della spensieratezza vuota, del facile guadagno, del business, dell'usura, dell'utilità pragmatica, del perditempo, del gioco delle carte accettato quale rito mistico che ha scalzato il rosario di famiglia; soprattutto quando l'arte e la poesia inneggiano al sublime, al sacrificio, al dolore, ai buoni sentimenti.
Come è consuetudine andare a teatro al cinema non per amore dell'arte, ma per divertirsi; o partecipare alle chiassose feste patronali, non già per mistica esigenza, ma per innata o acquisita "goliardia".
Il modello della poesia è impraticabile in questo mondo borghese e imborghesito; il dio denaro sembra essere l'unica natura dell'uomo, come il Capitale sembrò a Marx, l'unica struttura della storia.
I giovani, vestiti di firme logore e strappate, a stento digeriscono solo il necessario della scuola: non c'è lettura extra se non quella di fotoromanzi o di risibili storie romanzate.
Boriosi e superbi, varcata la soglia della prima liceo, fanno combriccola a piccoli gruppi, e si negano al saluto, prima elementare forma di civiltà umana.
Sulle motorette all'ultimo grido, fanno acrobatiche impennate e scorrazzano a rombo di tuono per le viuzze strette di borgata sotto l'indifferente occhio del vigile, mettendo a repentaglio la propria e l'altrui vita.
Gli anziani e i vecchi, giunto il momento della decadenza fisica, smessi gli abiti goderecci della spensieratezza, si vestono un po' di grigio clericale a garanzia di una piccola fetta di paradiso nell'aldilà. E si apprestano e si affrettano a dare buoni consigli, giacché impossibilitati ormai a dare cattivo esempio.
La volgarità, la banalità, la mediocrità hanno avuto il sopravvento e sembrano oggettivarsi in ogni forma di vita borghese di questo mondo bizzarro.
In tale contesto sociale la poesia è sicuramente morta e tutti gli sforzi a farla risuscitare forse sono inutili; non si può coltivare la bellezza nel marciume di baluardi fatiscenti e rozzi; né il poeta è l'artista dalla veste candida incontaminata che riesce a vivere in aristocratica solitudine in una torre d'avorio.
Ma se la poesia è morta, qui, nella borghesia, ella fugge gli scherni, l'indifferenza, la convenzione, la chiassosa piazza, e vola nel deserto, nell'illusione, nel silenzio dell'etere incontaminato, nell'esorcismo di chi non vuol mentire, né conformarsi alla squallida parata.
Ella vola al di là dell'assurdo e delle consuetudini, quando l'artista rinasce a contemplare un mondo già vissuto o la speranza nel futuro.
Ella vive nel dolore e nell'amore, nella virtù e nel divino, nell'ironia e nel miracolo, nello stupore e nell'ardore, nell'estro e nell'impulso, muore, invece, nel mondo invilito e involgarito, muore nella mistificazione borghese e nell'ipocrisia.
Io non sono assunto, né so farla rivivere; forse riesco solo a lambire la sua veste.
D'altro, però, son certo: se altri ricerca e assurge a conservazione quanto di futile, può esserci nel museo della memoria e quanto di usi e di costumi nella borghese vita capricciosa, io rinnego il borghese in tutte le sue forme né voglio ridurre il mio linguaggio a mimesi del banale suo parlato e né la mia indole a mimesi del banale suo vissuto.
La mia non vuole essere solo una giustificazione per la scarsa attenzione riservata alla poesia dal settore volgare, ma anche una presa di coscienza di come la scuola (primaria e secondaria), il comune, la pro-loco e qualsivoglia ente programmato a valutare ogni tipo di risorsa, siano assenti o quasi a specifiche forme di promozione intellettuale.