La Via Latina e i suoi raccordi

Domenico Caiazza

La Via Latina ed i suoi raccordi

Le valli fluviali del Sacco e del Garigliano furono percorse, ricalcando o modificando più antiche piste che collegavano tra loro i centri fortificati megalitici siti sui rilievi, dalla Via Latina, la principale arteria subappenninica tra Roma, Lazio meridionale e Campania.

Pure se meno famosa della Regina Viarum, ne costituì una valida alternativa ed ebbe vita più lunga, poiché continuò a funzionare anche quando bradisismi, alluvioni ed impaludamenti interruppero la Via Appia. Con questa, che correva nelle pianure costiere di Lazio e Campania, la Latina si ricongiungeva a Capua sull’itinerario Casinum - ad Flexum - Rufrium - Teanum Sidicinum, Cales - Casilinum. O, in alternativa, a Beneventum grazie alla tratta in sinistra del Volturno Rufrium - Aebutiana - Allifae - Telesia - Sirpium, o a quella in destra del fiume Rufrium - Cubulteria - Ad Syllas – Saticula Caudium - Beneventum.

L’arteria romana è databile all’incirca tra gli anni 328 e 318 a.C. nei quali furono dedotte le colonie di Fregellae ed Interamna Lirenas. Poi la via fu prolungata sino a Ad Flexum-S. Pietro Infine e Teanum Sidicinum-Teano, quindi raggiunse la colonia di Cales, la cui datazione va ribassata necessariamente ad epoca posteriore a quella di Interamna Lirenas, a meno di non supporre un più antico collegamento costiero col Lazio, del quale non vi è indizio.

La tratta da Ad Flexum a Venafrum e da Rufrium-Presenzano ad Allifae va datata al tempo (272 a. C.) che queste città divennero praefecturae. L’estensione del percorso sino ad Aesernia deve essere coevo alla fondazione della colonia.

Alcuni rifacimenti sono testimoniati da epigrafi o miliari.

Appartiene al percorso Teanum-Venafrum il cippo più antico, quello del console L. Cornelio Cinna, databile al 127 a.C., anno in cui fu realizzata questa bretella per abbreviare il tragitto tra le città evitando la strada ai piedi del Cesima che da antica data collegava ai suoi vici l’oppidum di Rufrium (Presenzano).

I miliari che documentano il restauro del console C. Calvisius Sabinus, databili al 39 a.C, sono stati rinvenuti fuori di Aquino, in Aquino, in Cassino, nel piano di S. Pietro Infine, su Colle dell’Altare e non oltre tale località, che segna la direzione per Teanum. Nessuno di tali cippi è testimoniato tra Ad Flextum e Venafrum e oltre tale città.

Il miliare della Nunziata Lunga può risalire ad uno degli anni dal 23 a.C. al 6 a.C., mentre quelli di Ceppagna di Venafro, di Monteroduni, della Rava di Carpinone e i due di Pettoranello sono databili tra il 2 ed il 14 d.C. Poiché questi ultimi proseguono la numerazione del ramo Ad Flexum Nunziata Lunga Venafrum, è evidente che questo tracciato è successivo all’altro.

Né vale l’obiezione che i cippi augustei si riferiscano a un restauro e non alla prima realizzazione di una via romana, per la semplice considerazione che i Romani certamente occuparono la zona sidicina prima del Venafrano, molto più vicino al cuore del Sannio.

La strada, come rammenta Procopio, fu percorsa dalle truppe durante la Guerra Gotica e gli Itinerari medievali ne documentano l’ulteriore vitalità, insieme a documenti medievali che menzionano ponti o selciati. Anche resoconti di viaggi, pellegrinaggi o di spedizioni militari ricordano l’uso degli antichi tracciati: qui basti rammentare che Carlo d’Angiò percorse la Latina e la sua diramazione per Allifae e Telesia sino a Benevento, dove avvenne lo scontro fatale con Manfredi. Sulla strada marciarono nel 1734 le truppe condotte da Re Carlo III a strappare il vicereame agli Spagnoli ed in senso opposto agli Alleati nell’offensiva del 1943 che fu fatale a Cassino.

Va precisato che il nome della Via Latina è tramandato da Strabone e da CIL, II, 6154, che rammenta un CVR(ator) VIAE LAVIC(anae) ET LATINAE VETERIS.

Il nome, sebbene sia stato messo in relazione con la deduzione delle colonie latine, sembra invece nato da un punto di vista campano, poiché indica la “via che mena al Lazio”, mentre Roma dava alle vie che da essa si dipartivano i nomi La Provincia Samnii e la viabilità romana delle città cui conducevano (ad es. Labicana, Tiburtina, Nomentana), sicché in un’ottica romana si giustificano il nome Via Casilina e quelli di via silicata quae dicitur Via Campanina ed il nome di Porta Campana di una porta di Casinum[1].

Tale nome convenzionalmente viene dato anche alle vie che si dipartono dal tracciato principale Roma-Capua, che tuttavia avevano verosimilmente diverso nome: in prova basti citare la Via Allifana e la Via Cubulterina, attestati da una epigrafe e delle quali faremo cenno.

Da Roma sia la Via Tuscolana che quella Labicana e Prenestina menavano verso sud-est. Tra Compitum e Ferentinum i tracciati confluivano. Poi la Latina proseguiva per Frusino, Fregellae, Melfel, una statio sul Melfa citata dalla Peutingeriana, quindi la via - dopo avere attraversato Aquinum - raggiungeva Casinum.

Casinum-Ad Flexum

Dall’abitato di Casinum-Sangermano nel Medioevo ed oggi Cassino, la via proseguiva valicando il Garigliano sul ponte Marmore, quindi correva a sud dei monti Trocchio e Porchio, e attraversava la località S. Lucia. Resti di ponti e tracciati stradali ancora efficienti ne consentono la ricostruzione puntuale sino alla sta zione ferroviaria di Rocca di Vandra, oggi Rocca di Evandro, dove sulla Latina Nova il tratto appena descritto, proveniente da Casinum, si innestava la Latina Vetus, un precedente percorso che si originava da Interamna Lirenas[2], poi la via proseguiva sino a Taverna San Cataldo, nella valle di S. Pietro Infine.

Un tratto stradale rettilineo continuatore dell’antica rotabile sfiora la taverna in rovina, che inutilmente ancora esibisce sulla fronte un epitaffio che ricorda la sosta di Carlo III, quindi l’arteria stradale raggiungeva, “poco oltre l’attuale incrocio tra la SS. Casilina e la Statale che mena a Venafro, la località conosciuta in antico come ad Flexum, menzionata nella Tabula Peutingeriana. Infatti qui cadono le otto miglia da Casinum segnate nella Tabula e, quel che più conta, proprio in questo luogo, dopo alcuni chilometri di percorso perfettamente rettilineo, la via deviava improvvisamente a sud per superare Monterotondo e guadagnare la valle di Mignano. Da tale brusca flessione della strada nacque il toponimo ad Flexum, mutatosi in In Flea o In Flia nel medioevo[3]. Nel 1995 abbiamo per primi documentato con foto aeree, fotografie di resti murari e di pavimento stradale e con una sovrimpressione sulla carta IGM, il Flexum, nonché la presenza nella curva dei ruderi della chiesa di San Pietro in Flea, cioè nella curva poi detta di S. Maria del Piano[4], ed anche precisato che presso la taverna di S. Cataldo cadeva il miglio XCIV da Roma.

Ed in effetti nel piano di San Pietro Infine fu vista una pietra miliare, poi smarrita, con la scritta C. CALVISIVS SABINVS alla quale va restituito il numerale XCV, come confermato dal fatto che sulla via per Teanum fu ritrovato a Colle dell’Altare il miliario XCVI con iscrizione su un lato di C. Calvisivs Sabinvs e sull’altra di Vespasiano. La nostra proposta di restituire al Flexum la misura itineraria di XCV è stata ulteriormente confermata dal successivo ritrovamento a circa 100 metri dalla chiesa di un miliario frammentato col nome di Massenzio recante tale cifra e la scritta[5]

XCV

IMP CAESAR

M. AVR. VAL

MAXENTIVS

PIVS FELIX

[INVICT]VS

Dopo Colle dell’Altare, dove sul valico si leggono ancora tracce del basolato e del margine del marciapiede, la strada proseguiva per Rufrium-Presenzano, men zionata nella Tabula Peutingeriana come ad Rotas da emendare in ad Rufas[6].

Ad Flexum-Venafrum

Ad Flexum, sebbene il nome derivante dal tracciato stradale[7] ne denunzi la nascita come insediamento gravitante sulla strada[8] e dunque successiva alla stessa, fu in epoca romana centro abitato non trascurabile visto che muri, paralleli alla strada, ed un acquedotto indiziano un insieme di edifici non trascurabile.

Anche un’epigrafe che rammenta la realizzazione di un porticus con sedili[9], e vicine villae testimoniano la consistenza e vitalità della statio. Questa rappresentò anche la discesa a valle di un più antico insediamento sannitico del quale restano le mura sul vicino Monte Sant’Eustachio, sopravvisse alla Guerra Gotica e durò sino al medioevo, allorquando gli Abati di Montecassino trasportarono di nuovo sul vicino colle l’abitato e lo fortificarono facendone da un vicus un castellum risospinto a valle dalle devastazioni della Seconda Guerra Mondiale.

Il castellum portò con sé il nome della chiesa S. Pietro sorta nella curva stradale specificato dal più antico odonimo in Flea, che si conservò poi tramutato in Infine per paretimologia dai Cassinesi che qui avevano un confine della Terra S. Benedicti. Pertanto ipercorressero l’inflia - divenuto incomprensibile - mutandolo in Infine, errore poi perpetuato ed amplificato al punto da ubicare qui il confine tra Lazio e Campania nella Regio I Augustea, confine intraregionale mai esistito.

Il fatto che la curva abbia dato il nome alla statio, indica che la prosecuzione della via verso Venafro fu successiva al tracciato che con la curva menava verso Rufrium e Teanum: diversamente avremmo avuto un nome del tipo compitum.

Del prolungamento verso Venafrum, presumibilmente coevo alla trasformazione della città libera in praefectura, sono ancora evidenti il tracciato iniziale conservato dalla strada interpoderale di S. Maria del Piano affiancata da resti di basolato e crepidine. La via, percorso circa mezzo miglio dal Flexum, deviava verso monte per offrire ai viandanti la possibilità di dissetarsi alla fonte di S. Maria dell’Acqua ed è conservata nel tracciato di un vecchio sentiero e di un pezzo della strada provinciale, e poi in una strada sterrata, spesso incisa nella roccia o disseminata di basoli calcarei superstiti, che corre dalla località Tre Ponti al valico della Nunziata a Lungo, oltre il quale iniziava la discesa verso la pianura venafrana. Qui a nostro giudizio era il confine tra Teanum, il cui territorio inglobò quello di Rufrium, e con questo quello di ad Flexum[10].

Il valico prende il nome da una chiesa dell’Annunciazione sita a distanza (a lungo) dalla città episcopale nella quale vi era altra chiesa dello stesso titolo. Doveva essere una cappella-santuario a protezione del valico, che nel medioevo fu anche fortificato con una piccola cinta e tre torri. Ancora viste dal Bonanni, prima della seconda guerra mondiale che le demolì, sono ora appena visibili e, nell’indifferenza generale, invase da una selva di ripetitori radio. Sul valico fu vista in passato un’iscrizione miliare

(I)MP . CAESAR . DI(VI . F . AVG)

COS . XI . TR. POTESTA(TE)

EX . S . C .

alla quale, computando dai miliari del la pianura sul tracciato descritto, abbiamo potuto restituire la cifra IIC. Pertanto, anche se è lecito dubitare della corretta lettura, trova conferma l’esistenza del miliario segnalato dal Cotugno ed ingiustamente espunto dal Mommsen, che segnava il centesimo miglio da Roma. Il cippo fu descritto anche da un sindaco di Venafro e, soprattutto, letto dal Garrucci come segue:

IMP . CAESAR . DIVI . F . AVG

PONTIF . MAX . C (OS) . XIII

TR(IBUNIC) . [P]OTE[STAT]

E pertanto gli va restituito il numerale C.

Il tracciato che scende sul fianco del colle è ancora conservato, e nella valle, presso Ceppagna, correva prossimo ad un complesso di templi, presumibilmente dell’ultima età sannitica e distrutti nel la guerra sociale, dei quali restano i terrazzamenti in opera poligonale e basi di colonne.

Oltre Ceppagna, un più antico tracciato - restato comunque in uso ed antico, visto che è affiancato da resti di edifici sepolcrali di età romana - fu sostituito da altro più lineare che, dopo aver deviato ad est[11], entra nella città passando sopra la grande sorgente dalla quale forse trasse il nome la città[12].

Su questo tracciato, probabilmente di età augustea, come indiziato dai miliari, il miglio CIII cadeva nella espansione in pianura della città di Venafro avvenuta in età augustea con regolare impianto ad assi ortogonali.

Venafrum-Campus Sacci-Aesernia

Percorsa la città, la strada, con una deviazione simmetrica a quella fatta per entrare, riguadagnava un assetto rettilineo verso est, quasi in asse con quello che veniva da ovest. Si discute se il tracciato fosse quello testimoniato dalla Via di Maiella, così detta dall’omonimo ex convento celestiniano, come propongono A. La Regina e F. Valente, o un tracciato poco più a valle, del quale prima del 1824 il Cotugno vide avanzi che “ne tracciavano il corso oggi disperso per la nuova strada accosto ch’è diretta agli Abruzzi[13].” Sulla testimonianza anche del Lucenteforte e del Valla, dello studio di foto aeree, ed in attesa di scavi che permettano pure di verificare una successione cronologica tra i due percorsi[14], ci pare di poter ricostruire che il probabile tracciato correva tra Venafro, il convento di San Nicandro, Masseria Armieri e Masseria Camerelle.

Proseguendo su questo percorso verso il Sannio per altre tre miglia, si giunge nel territorio di S. Maria Oliveto, nel quale, in località Fontana Pagliara, fu trovato appunto il miliario CVI, databile tra il 306 ed il 312 d.C:

D N M . AVR

VAL MAXEN

TIO PIO FEL

INVIC . AVG

CVI

Il Lucenteforte ipotizzava l’ulteriore corso della via verso Ponte Latrone, imponente rudere sul Volturno, ipotesi contestata con valide obiezioni dal Valente, sicché è più probabile che il tracciato proseguisse in via retta sino alla località Termini. Qui era la deviazione verso l’abitato poi occupato dall’abbazia di S. Vincenzo al Volturno e poi Aufidena, mentre la via, allineata più o meno all’attuale tracciato ferroviario, superava il miglio CIX e poi valicava il Volturno su un ponte del quale si videro tracce realizzando quello ferroviario. Sull’altra sponda è conservata una via campestre, erede di quella antica, che percorre le località Case Paradiso e Camposacco. Ed infatti oltre il Volturno, nel tenimento di Campo Sacco in Monteroduni, nella località Paradiso, fu rinvenuto il miliario con il numerale 110 e l’iscrizione, databile tra il 2 a.C. ed il 14 d.C.:

IMP . CAESAR . DIVI . F. AVG

PONTIF . MAXIM . COS . XIII

TRIBVNIC . POTEST

CX

Oltre il Volturno siamo ormai fuori dal territorio di Venafrum[15] ed in quello di un centro abitato precursore, ma in un sito a valle e non collinare, di quello di Monteroduni, testimoniato da resti di acquedotti, ville, epigrafi e monumenti funerari, di cui conosciamo il nome medievale di Camposacco, testimoniato nel Catalogus Baronum ma originato dal nome del proprietario di un antico latifondo[16]. Da Camposacco la via prosegue per Colle delle Api e località Selvotta sino alla Lorda, valicata la quale, saliva col tracciato poi percorso dalla Statale sino alla chiesetta della Trinità e quindi, rasentando la Taverna di Mezzo e quella di Lemme, scendeva a valicare il fiume Cavaliere e per le località Ponte Costanzo Le Quadrelle, ove è riemersa una cospicua necropoli romana, raggiungeva il così detto Ponte Giancanese ed entrava in Aesernia. Va ricordato che su tale tragitto, ed esattamente in località Rava, ad un paio di miglia da Isernia, emerse un miliario con la scritta:

IMP . CAESAR . DIVI . F . AVG

PONTIF . MAXIM . COS . XIII

TRIBUNIC . POTESTATI

che doveva avere il numerale CXV e, se questo è vero, è anche probabile che il cippo trovato nella città con la scritta:

[- - -] / [victori ac triumpha]tori, semper Augusto, bono / reipublicae / nato segnasse il miglio CXVII, in ogni caso pari alla reale distanza della città da Roma per correndo la Via Latina.

Ad Flexum-Rufrium-Venafrum

Dopo la curva e l’abitato omonimo di ad Flexum la Via Latina, valicato Colle dell’Altare, correva nella valle di Mignano. Oltre l’abitato di età medievale di Mignano, in sinistra del Peccia sono stati scoperti i resti di un insediamento di epoca postsillana dotato di acquedotto, fogne ed un piccolo foro. Potrebbe essere o un vicus post sillano di Rufrium o più probabilmente l’evoluzione proto urbana del latifondo di un Memmius dal qua le deriva il nome Mignano.

La Via Latina però correva in destra del Peccia, laddove relitti stradali, ruderi e cisterne, probabilmente legate strutture a supporto della strada, ci hanno consentito di ricostruirne il percorso sino alla diruta taverna di San Felice a Rufo, dove sono resti di un imponente edificio romano in opera reticolata, probabilmente precursore della taverna.

Erano queste le anticaglie menzionate nella sentenza di regolamento dei con fini tra Presenzano e Tora in cui il limite territoriale corre usque ad S. Felicem inclusive cum omnibus domibus novis et veteribus, Casalenis et Antiquaglis ibi exihistentibus et cum Strata magna, in quo S. Felice per antiqua Strata dicebatur suburbium S. Felici ad Rufum de pertinentijs Presenzani. La descrizione ritorna in atto di consimile natura del 1485 che cita Taberna, casalenis, Antiqualiis et suburbio ipsius S. Felicis sistentibus suptus et supra Stratam Romanam.

In un documento dell'anno 986 d.C. è nominata una petia de terra, et curte quam abemus in finibus eiusdem teanenis locu ubi nominatur Rufi abet finis de una parte via que est in Silice […] de quarta parte fine ribio de S. Felice qui est de parte de monte qui dicitur Cesema.

La persistenza del toponimo San Felice ai piedi del Cesima, sul confine tra Presenzano e Tora, e la menzione della strata magna, strata romana o via que est in silice, ci accertano che qui era la località di San Felice locu Rufi, ad Rufum o ad Rufas sita al miglio CII da Roma. Ad Rufas è menzionata, ma storpiata in ad Rotas[17], sulla Tabula Peutingeriana dove, per altro errore del copista, è slittata al posto di Venafrum, il cui nome per questo motivo è omesso.

Da ad Rufas la strada proseguiva per Teanum che raggiungeva dopo dieci miglia di percorso, per il quale per brevità rinviamo alla descrizione da noi altrove esposta. Qui basti dire che sino al Lago delle Correie, sotto il quale era la deviazione per Venafrum, la strada è stata sepolta da imponenti colate rapide di detriti e fango che hanno sollevato di un paio di metri il suolo della pianura. La ricostruzione da noi pubblicata nel 1995, che faceva incrociare Via Latina e Casilina davanti alla Taverna delle Pigne, è stata confermata nel 1977 allorquando lo scavo del metanodotto al Km 167.200 della Casilina sul margine meridionale della stessa ha portato al rinvenimento del selciato della Via Latina in blocchi lavici perfettamente connessi con margines e gomphi, a circa metri due di profondità.

La copertura era costituita da strati di limo e pietrisco poi coperti da alta coltre di terreno vegetale. Dopo il lago delle Correie i resti si fanno ben più evidenti in relitti viari talora con lastricati ancora in sito.

Tornando al miglio CII, cioè a ad Rufas S. Felice a Rufo, è da dire che da qui partiva una strada che, rasentando l'anfiteatro, raggiungeva la base del colle di Presenzano, sede di Rufrium preromano, del quale restano le mura megalitiche dell'acropoli, quelle a collana dell'abitato che scendono verso la pianura, fortezze satelliti sul Monte San Leonardo, Monte Alto, Colle Castello, Colle Pecorino, Castello delle Pentime, Vedetta del Cesima[18].

Necropoli, resti di stipi e di un abitato difeso da un vallo[19] documentano l'antichità dell'occupazione sannitica della pianura e del tracciato pedemontano che giungeva alla stretta del castello delle Pentime-Sesto Campano.

Qui si congiungeva al principale tracciato che univa Venafrum a Teanum Sidicinum che di seguito descriveremo: qui basti dire che testimonianze vecchie di alcuni secoli o anche da noi raccolte e ispezioni e ricognizioni ci hanno consentito di ricostruire senza dubbi, e persino anticipando casuali scoperte, il tracciato della via sino a Teanum Sidicinum. Su questo tracciato a ovest del lago delle Correie si staccava un diverticolo che menava a Venafrum attraverso la stretta del castello delle Pentime-Sesto Campano.

Via Venafrum-Teanum

Abbiamo visto che a 103 miglia da Roma sul percorso Casinum Ad Flexum Centesimum era Venafrum. Dalla città, passando tra il punto d'acqua della Peschiera, fonte del fiume di oggi detto di San Bartolomeo e l'anfiteatro, si staccava una arteria che solcava verso sud la pianura diretta a Teanum Sidicinum. È oggi conservata nella statale sino alla località Monumento di Fuori, nome derivante da un antico mausoleo, poi demolito ma del quale, come per altri, si conservano le fondazioni, le quali insieme a limiti colturali e relitti stradali, consentono di ricostruire l'andamento del l'arteria sino alla Taverna Vecchia di Sesto Campano. Quindi proseguiva in comune di Presenzano con un percorso praticamente coincidente con la strada statale attraverso le località Ponticello Cerqua, Tavernole, Masseria della Fortuna, Pezza Barone, Lago delle Correie, presso il quale si raccordava al percorso principale Ad Flexum-Teanum Sidicinum.

Su questo tracciato rinvenimenti di basoli sporadici sono stati segnalati in passato e, in parte, da noi documentati.

Qui basterà rammentare che, proseguendo la numerazione dei miliari sulla tratta Ad Rufum-o ad Rufas S. Felice a Rufo, Lago delle Correie, Masseria del Cavaliere, Tavernole è stato possibile restituire la cifra CXII al miliario che fu visto murato nella Taverna Vecchia di Sesto dedicato all'imperatore Giuliano e del quale ci è tramandato il testo:

(DN) CL

IVLIANO

IMPERATORI

AVG BONO

REIP NATO

M

Conseguentemente si è potuta determinare in miglia CXVIII la distanza tra Roma e Venafrum per il viaggiatore che, anziché usare il valico della Nunziata a Lungo, aggirava da sud il Monte Cesima.

Va ancora detto che il nome Sesto deriva dalla misurazione delle miglia da Venafrum, visto che il paese è appunto a sei miglia dalla città.

Assodato che esisteva una numerazione progressiva da uno a sei miglia in direzione di Teanum, a questa tratta va anche riferito il miliario con la scritta

L CORNELIU

S L CINA COS

III

Difatti il cippo fu rinvenuto sulla via verso Sesto, presso Ponte Reale, ed in precedenza doveva essere ubicato poco lontano ma più ad ovest, e probabilmente non lungi dal Casello ferroviario sito a nord della stazione di Capriati a Volturno. È pertanto certo, data anche la mancanza di guasti sulla pietra, che arbitrariamente il Mommsen emendò la misura itineraria in CIII.

Solanum-(Galligus-Callifanum ager) Aebutiana

Venafrum non compare sulla Tabula Peutingeriana nella quale però una piegatura nella striscia rossa che indica il tracciato stradale segna il suo sito, in cui il copista tralasciò di annotare il poleonimo, sostituendolo con quello di Ad Rufas corrotto in ad Rotas. Compare, sia pure col nome un po' storpiato, ma meno di quello di Casinum, negli Itinerari del Geografo Ravennate e di Guidone, che dopo la città segnano anche una statio detta Solanon, posta su una deviazione che menava a Montesarchio e poi a Benevento. Si ha infatti:

Roma Roma

… …

… …

Fabrateria Fabreterre

Multearcis Mulce Arcis = (Melfa arcis)[20]

Aquinum Aquinum

Lasinon Lasium (Casinum)

Flexon Flexum (ad Flexum)[21]

Benafron Venafrum

Solanon Solanon[22]

Galligus Galligus (= *Callifanus)[23]

…. …. (= Aebutiana)[24]

…. …. (= Cubulteria)[25]

.... .... (= Syllas)[26]

.... .… (Saticula colonia)

Gaudium Caudium

Beneventum Beneventum

L'itinerario coincide con la Latina sino a ad Flexum, poi con il diverticolo che per la Nunziata a Lungo menava a Venafrum: da qui la strada necessariamente doveva puntare ad est seguendo il corso del medio Volturno ma senza toccare i territori di Rufrium e Teanum, per attingere i quali sarebbe stato assurdo andare prima a Venafrum, superando la Forca di San Martino-Nunziata a Lungo, anziché proseguire per Rufrium su percorso in piano e più breve.

Queste considerazioni bastavano a dimostrare l'evidente l'assurdità della proposta di emendare Solanon in Teanum e Galligus in Cales. Ma di Solanon non si sapeva assolutamente nulla tranne quanto ricavabile dagli Itinerari: che doveva essere prossima a Venafrum e su una direttrice per Caudium che non poteva essere la Latina, né la via Allifae Telesia Beneventum, Sirpium, che conduceva a Beneventum scendendo il Volturno e risalendo il Calore, ma del tutto estranea a Caudium.

Un documento del 1358, menzionante Solane, abitato ancora vitale, tassato per 12 tarì e menzionato tra Roccapipirozzi, Sesto e Molino sotto il Sesto, ci ha consentito di ubicare la statio tra Roccapipirozzi, il Molino di Sesto e Mastrati esattamente ad est della zona di Tenuta Armieri, tra Casino Zollo, Monumento di Fuori e Ginestrelle, percorsa da una strada romana che, staccandosi dalla via Venafrum-Teanum, puntava a sud est. È oggi sepolta ma ben visibile nella fotografia aerea insieme ad un monumento sepolcrale. Se ne perdono le tracce in prossimità del Volturno sul quale però, a fine Settecento, rifacendo Ponte Reale, si rinvennero i resti di un ponte romano in mattoni, e quindi verosimilmente di età imperiale.

Valicato il Volturno, la via si bipartiva: una strada lo risaliva sino a collegarsi alla via Aesernia-Campus Sacci-Aebutiana-Allifae, quella che ci occupa invece percorreva Bosco Selvone, ove ve ne è un relitto, poi Mastrati dove era una villa romana, poi per il punto d'acqua di Fontana Sant'Arcangelo, proseguiva ai piedi del versante sud del monte di Roccavecchia di Pratella. Su questa montagna in epoca sannitica, e sino al genocidio sillano, era una grande città con lunghissime mura e grande acropoli munita anche di templi, cisterne e di un teatro.

Si chiamava con ogni probabilità Callifae, nome del quale Galligus potrebbe essere continuazione-corruzione[27], indicante una statio, sita verso Fontana S. Arcangelo. La via proseguiva per Fontana Palombisci, che ha restituito fornaci di età romana, e Fontana Marinara, dove è un cippo murato in una abitazione ed è stata sconvolta una necropoli di età romana.

Poi la via raggiungeva Masseria Cegna il cui nome, insieme a ruderi, continua l'appellativo di una grande abbazia femminile medievale: S. Maria in Cingla fondata in epoca longobarda[28].

Proprio tra i ruderi è venuto alla luce un miliario, fratto in due pezzi ma leggibile, con la scritta:

IMP . CAESAR . DIVI . F. AVG

PONTIF . MAXIM . COS . XIII

TRIBUNIC. POTESTAT

XII

La dedica è praticamente identica a quella del miliario CX da Camposacco di Monteroduni e, come questo, databile tra il 2 a.C ed il 14 d.C., ma pertinente ad un segmento che si originava in Venafrum percorreva la via verso Sesto, deviava per Solana e tramite il ponte romano predecessore di Ponte Reale, per Mastrati, Fontana S. Arcangelo, Fontana Marinara, raggiungeva Cingla esattamente con XII miglia[29]. La via proseguiva verso est sino a toccare S. Stefano, ove sorgeva una curtis altomedievale dotata anche di una grande chiesa e battistero, probabilmente goto-ariano, a servizio di truppe e di una comunità di etnia germanica lì stanziata a presidio di un'importante snodo stradale[30], che restituisce anche resti romani di buona epoca. Da questo sito ad Allifae corrono IX miglia, il che ci consente di identificare la statio con quella di Aebutiana, che la Peutingeriana pone appunto a IX miglia da Allifae[31].

Aebutiana-Teanum

Ad Aebutiana convergevano, oltre quel la descritta, una via da Teanum, della quale resta il tracciato in agro di Pietravairano, tuttora chiamato Via Polveca cioè Via Publica, che superava il Volturno ai piedi del Monte San Litterio grazie ad un ponte menzionato da antichi documenti e ricordato ancora dal toponimo Ponte Romano[32]. Su questo tracciato è una importante villa romana in località S. Lucia di Pietravairano. Sui colli sono le cinte in muratura ciclopica del Monte San Nicola, con all'interno un tempio-teatro distrutto in età sillana, una piccola cinta osservatorio sul Monte Catrevula, e la grande cinta del Montauro di Vairano.

Aebutiana-Rufrium

Valicato il Volturno al Ponte Romano di Pietravairano, volgendo verso est si imboccava la strada per Teanum, invece svoltando a ovest, e passando per la località S. Elena che restituì tombe romane, si dirigeva a Rufrium-Presenzano su un tracciato tuttora conservato in direzione delle Tavernole. Qui, intersecata la via Teanum-Venafrum, la via puntava su Rufrium. Da questo tracciato viene l'altorilievo con scena di compianto sulle armi dell'eroe.

Al Ponte Romano confluiva anche un tracciato che, rasentando l'Abbazia Cistercense della Ferrara, menava a Patenora, oggi località di Vairano Scalo, centro abitato nel medioevo. Lungo questo percorso sono avvenuti frequenti ritrovamenti di materiali romani.

Aebutiana-Allifae

Da Aebutiana Cegna-S. Stefano la via dirigeva ad est puntando su Allifae. Il tracciato è documentato da significativi relitti stradali, da un mausoleo in località Cerasa, sopra Masseria Gerace, e da altri due in località Torrione e da un ipogeo funerario sotto la chiesa della Madonna delle Grazie, ed inoltre da toponimi e documenti medievali, come abbiamo altrove dimostrato[33].

Resta da dire che un diverticolo dopo qualche miglio se ne staccava, attraversava la tenuta Corvara e valicava il Volturno sul Ponte dell'Oliferno, del quale restano significative reliquie, e poi menava a Cubulteria, città che in età sannitica sorgeva sul colle della medievale Rocca di Dragoni, poi scese ai piedi dello stesso e visse sino all'invasione longobarda che la vide abbandonata da clero e vescovo in fuga verso le zone bizantine.

Da Cubulteria si poteva raggiungere Caudium con due tragitti: uno per Caiatia, ad Dianam, Capua, Galatia, ad Novas-Forchia, l'altro più diretto e probabile valicava il Volturno a Syllas-Squille, quindi dirigeva su Santagata dei Goti ovvero la colonia romana di Saticula e di qui risaliva sino a Caudium per poi toccare Benevento[34].

Syllas probabilmente era il nome dell'abitato sannitico del quale sono le mura sul colle chiamato Monte Alifano, al solito distrutto da Silla. Il suo territorio fu aggregato a quello di Caiatia-Caiazzo, mentre l'abitato slittò a valle, ridotto ad una statio il cui nome è segnato sulla Tabula Peutingeriana, ed oggi è continuato da quello di Squille.

Aesernia-Aebutiana

Ad Aebutiana (Cingla S. Stefano in tenimento di Ailano) convergeva da nord una strada che si staccava dalla tratta Aesernia-Venafrum a Campus Sacci Camposacco di Monteroduni, superava la Rava delle Copelle e sfiorava la sorgente di Campo la Fontana presso cui i ruderi di Ponte Latrone e di altro ponte romano più a monte documentano uno snodo che, raccordando la via Venafrum-Aesernia in destra del Volturno all’Aesernia-Aebutiana-Allifae, che correva in sinistra del fiume, consentiva a chi proveniva da Aufidena di abbreviare la via verso Allifae ed il medio Volturno.

Superato l'innesto per Ponte Latrone, la strada correva al piede di Monte Castellone di Capriati a Volturno. Sul monte era una cinta sannitica ed un sito abitato in età romana e medievale in località Sprofunno, poi attraversava la località Santoianni, ove era il medioevale villaggio di San Giovanni in Coppitelle, e giungeva nella Piana di Capriati.

Qui una strada di campagna ne conserva il tracciato, oggi sfiorato dalla centrale Enel che sconvolse parte di un edificio repubblicano, del quale restano imponenti costruzioni. In questa area era un abitato romano che ha restituito sei epigrafi delle quali una menziona un acquedotto, altra un sepolcro dei Cultores Saturni. Era qui un vicus di un certo rilievo il cui nome ci è ignoto anche se il poleonimo Capriata noto da fonti volturnensi potrebbe essere di età più antica di quella medievale.

Da Capriati un ramo superava il Sava e per Torcino dirigeva a Ponte Reale dove si raccordava alla tratta Solanum-Aebutiana.

Altro ramo è conservato nella stradina che rasenta la chiesetta di S. Maria del Piano, ove sono resti sporadici romani, dirige verso Ciorlano, poi sfiorava una chiesetta altomedievale[35] e la località Starza che ha restituito resti di VI-V sec. a.C., poi giungeva nella piana di Fossaceca-Fontegreca ed attraversava, forse dopo averla generata, una piccola centuriazione, sfiorava Masseria Cupolo, nome probabilmente derivato da un resto di tomba, e raggiungeva Prata Sannitica.

Ai piedi del bel borgo medievale valicava il Lete su un ponte medievale che rialzò un ponte romano riutilizzandone i piedritti e per la località Starza di Prata e Pratella raggiungeva Aebutiana-Cegna-S. Stefano e proseguiva per Allifae.

Questo tratto, quello che da Aesernia per Camposacco e Capriati mena ad Allifae, tenendosi sempre in sinistra del Volturno, pensiamo sia la Via Allifana della quale il restauro in età imperiale è rammentato da una epigrafe trovata in Isernia che ricorda L. ABULLIO DEXTRO C. VT(io)/C.F. TRO(mentina) CELERI (curat)OR(i) VIAE CVBVLTER(inae) DATO A DIVO HA(driano) / (cura)TORI VIAE ALLIFANAE DATO AB IMP(eratore) ANT(onino Pio).

La Via Cubulterina deve essere un percorso necessariamente diverso, anche se probabilmente parallelo, alla Via Alifana con la quale viene menzionata ed associata e dunque, in tutto o in gran parte, in destra del Volturno, cioè sul lato nel quale, discesa dalla primitiva sede sannitica sul Monte Castello di Dragoni, in pianura sedeva Cubulteria romana.

Quindi può pensarsi ad una strada che da località Termini di Venafro, subito sotto Camposacco, seguiva in destra il Volturno passando per S. Maria Oliveto, Masseria Pipino e raggiungeva Solano e poi per il descritto percorso per Galligus-Fontana S. Arcangelo raggiungeva Aebutiana e, subito dopo questa statio, abbandonava la via per Allifae e, tramite il Ponte Romano sotto il Monte San Litterio o poco dopo tramite il Ponte dell'Oliferno, raggiungeva il territorio cubulterino[36].

Sarebbe auspicabile poter sapere se il curator viarum fu incaricato per rimediare a danni provocati da terremoto o da disastrose alluvioni, o solo per reagire al decadimento dei tracciati dovuto a vetustà ed incuria. Causa quest'ultima possibile ma forse poco probabile infatti, visto che Cicerone, sia pur molto tempo prima, aveva definito la zona come frequentatissima con le parole Celeberrimus tractus Allifanus Venafranus, confermate dalla presenza di numerosi ponti sul Volturno[37] e da un assetto insediativo altomedievale, descrittoci dalle pergamene di S. Maria in Cingla, ancora in epoca longobarda assai denso di curtes, chiese, campi, orti e mulini[38]. Assetto popoloso e ricco radicalmente impoverito solo dalla grande crisi demografica del Trecento, che rende credibile piuttosto un puntuale ed organico intervento imperiale deciso per reagire a disastri climatici o sismici.

Via Aebutiana-Allifae preromana-Taurania-Saepinum

Gioia Conta, descrivendo le cinte preromane di Monte Cila, sopra Piedimonte d'Alife, ora Matese, e di Castello d'Alife, ora Matese, notò l'esistenza di due tracciati - uno proveniente da ovest e l'altro da est- che, staccandosi dalla viabilità romana nella pianura, convergevano in zona pedemontana alla sorgente del Torano, per risalire unificati a San Gregorio Matese. Qui la strada, superata la grande necropoli sannitica di questo paese, per S. Croce raggiungeva quasi il lago, e da Pretemorto-ora Miralago, coincideva con la strada antica descritta dal Maiuri che, valicata la sella del Perrone, menava a Saepinum.

Le necropoli ubicate a fianco della strada, nella pianura tra Piedimonte ed Alife, dimostrano che la strada, in epoca anteriore alla fondazione di Allifae romana, menava alle sorgenti del Torano. Solo quando fu impiantata in epoca sillana o, meno probabilmente, triumvirale la città romana di Allifae nella pianura, le strade, pur continuando ad esistere il vecchio tracciato verso il Matese, furono raccordate alla viabilità precedente attraverso due bretelle.

L'illustrazione delle mura poligonali sotto il castello di S. Angelo di Ravecanina ed il riesame della poleografia e del popolamento preromano della Campania interna[39] ci hanno consentito di ubicare qui Allifae preromana distrutta nella guerra sociale, e sul Monte Cila Taurasia Cisauna, città sita al di qua del fiume Torano, presa da Scipione Barbato e distrutta da Silla, come ricordato da Plinio che la chiama Taurania, nome corradicale al Torano ed al Monte Toro che ne ospita la sorgente.

Pertanto è ricostruibile un tracciato che collegava Aebutiana ad Allifae preromana sita sul Monte castello di S. Angelo di Ravecanina, poi proseguiva per Taurania-Monte Cila e per Pretemorto e la forra del *Curino-Quirino scendeva a Saepinum.

Invece da Pretemorto-Miralago, prendendo verso ovest e costeggiando il lago Matese e poi seguendo l'Ete, oggi fiume Lete, che rasenta il piede del Miletto, antico Aesere Mons dei Sanniti, si poteva facilmente raggiungere il colle di Letino, dove nell'abitato sono pochi resti di mura megalitiche, più conservate e meglio visibili in passato, che testimoniano un insediamento fortificato preromano. Era preposto al presidio dell'altipiano del Matese e probabilmente è restituibile in *Etinum il nome antico. Proseguendo ancora verso ovest, la via si bipartiva: un percorso seguiva la valle, detta oggi Rava Rossa ed in antico Sava, con un tracciato antico perfettamente ideato e realizzato e tuttora ben conservato, che scende a Campo Sacco-Monteroduni.

Altro tracciato, conservato da una buona mulattiera, menava verso la valle del Lorda guardata dalla cinta preromana di Longano, paese che ha restituito la famosa maschera-visiera di un antico re sannita, e da altra cinta megalitica del castello di Riporsa. Un terzo tracciato per Campo Figliolo raggiungeva Roccamandolfi, un quarto percorreva la parallela Valle di Scino e, superato il villaggio pastorale che ha dato il nome alla Civita di Scino, a Bovianum-Boiano.

Si tratta di mulattiere la cui importanza in epoca sannita, romana e medievale non deve essere trascurata sia per quanto riguarda il transito delle greggi, della legna e del carbone, sia per la difesa per linee interne della regione matesina potentemente fortificata sui bordi del massiccio dalle cinte pedemontane di Allifae-Castello di S. Angelo di Ravecanina, di Taurania-Monte Cila, di Fagifulae-Faicchio, Morcone (*Mucro?), Saepinum, Bovianum-Boiano, Longano (Longula?), Capriati a Volturno, Callifae-Roccavecchia di Pratella.

Allo stesso modo vanno considerate quali possibili itinerari di offensive volte a scardinare, oltre la cintura difensiva di mura megalitiche, la difesa naturale costituita dalla catena montuosa.

Via Allifae-Cubulteria

Usciva da Porta Fiume di Allifae, e con percorso rettilineo ancora ben conservato da una strada interpoderale raggiungeva il Volturno, lo valicava e si innestava sulla strada Aebutiana-Cubulteria.

Da Cubulteria si poteva raggiungere per la bocca della Petrosa i colli di Pietravairano su cui erano i resti del distrutto tempio-teatro del Monte San Nicola, già Monte S. Eleuterio e forse in precedenza monte di Giove Liberatore, quindi le colline di Vairano-Marzanello sulle quali sono i resti della grande distrutta città preromana del Montauro e poi proseguire per Teanum e Cales.

Oppure si poteva prendere la strada per Maiorano di Monte che menava a Trebula Balliensis, o quella che menava alla vicina Caiatia e per Ad Dianam a Capua. Altro itinerario stradale menava da Cubulteria a Syllas-Squille.

Via Allifae-Caiatia-Capua

Si staccava dalla via Allifae-Telesia prima di San Simeone e, dopo aver valicato il Volturno sul ponte c.d. degli Anici del quale, dopo la demolizione di più cosistenti resti, resta un pilone in destra del fiume, poi correva sul crinale dei colli della Selva della Spinosa sino a Caiatia. Questa strada si intersecava con la strada Cubulteria-Syllas-Squille.

Via Allifae - Telesia

Questa strada[40] usciva dalla porta orientale di Allifae e sfiorava il grande mausoleo circolare poi divenuto nel medioevo chiesa di San Giovanni, rasentava il distrutto anfiteatro, del quale recenti scavi hanno riportato parzialmente in luce le fondazioni, e proseguiva verso la frazione Totari. Un tracciato stradale ammodernato, ma antico, la conserva e testimoni sono il mausoleo funerario romano detto Torre di San Picozzo e resti di pavimentazione sotto una via interpoderale ancora sterrata.

Su tale strada prima di San Simeone si staccava a superare il Volturno sul Ponte c.d. degli Anici la via per Caiatia-Capua.

La via Allifae-Telesia proseguiva per San Simeone, che fu ospizio dei Templari, fatto che documenta la vitalità dell'arteria in epoca medievale, poi per le località Compostella, Torre del Duca, raggiungeva il Titerno che valicava su un ponte parzialmente distrutto, largo m. 3,50, in origine lungo tra i 90 ed i 120 metri, detto Ponte Iaco, quindi per Torre Marafi e Puglianello giungeva a Telesia.

Via Fagifulae-Cingulum-Saepinum

In sinistra del Titerno sulla via tra Allifae e Telesia si innestava una strada antica, dal tracciato parzialmente conservato, che risaliva il torrente sino alla stretta che lo rinserra tra Monte Acero e Faicchio. Questo paese conserva[41] il nome della città passata ad Annibale e ripresa con Trebula e Cubulteria da Fabio Massimo il Temporeggiatore. Si tratta dell'antica Fagifulae della quale il Maiuri descrisse l'acropoli, ma in realtà città assai più ampia e dotata di mura ciclopiche, strade ed acquedotto da noi descritti[42]. La via superava il Titerno sul romano Ponte dell'Occhio, ancora ben conservato, la cui arcata principale di circa m 12 di corda poggia su plinti in muratura poligonale di terza maniera, ed è realizzata in parte in opus quasi reticulatum, restaurato con bipedali in epoca imperiale, ed in seguito con corsi di pietre calcaree rettangolari, forse di epoca normanna[43]. Poi entrava nella città seguendo verso ovest l'attuale rotabile che ricalca la via antica, visto che sono ancora visibili i resti della guancia della porta megalitica. Uscendo dalla città correva verso ovest con un tracciato, in buona parte coincidente con l'attuale rotabile, che attraverso il territorio di Gioia e quello di San Potito giungeva alla sorgente del Torano. Era questo un percorso preromano che proveniva da Callifae passando a mezza costa sotto Raviscanina e Sant'Angelo, che convenzionalmente abbiamo chiamato Pedemontana Matesina.

Un tracciato stradale antico è testimoniato dalla rotabile, che si origina sempre dal Ponte dell'Occhio, e volge verso est seguendo la forra del Titerno, dirige su San Lorenzello. La rotabile dopo questo abitato varca di nuovo il Titerno per dirigere su Cerreto.

Invece in antico la via continuava a costeggiare in destra il corso d'acqua sino a raggiungere il ponte romano c.d. di Annibale, costituito da un unico arco con una luce di circa 10 metri con brevi muri andatori, uno dei quali con apertura ad arco per alleggerire la pressione delle piene[44]. Varcato il Ponte di Annibale, questo guadagnava la sponda sinistra costituita dalla pendice del Monte Cigno, nome che insieme ai resti di un’acropoli, di mura megalitiche, di monete e di un tempio in località Madonna della Libera, ha consentito di ubicare sul monte l'antica Cingulum che Plinio il Vecchio pone tra le città della Regio Prima[45]. Oltre la città il tracciato viario attraverso Pietraroia portava al passo di Santa Crocella ed a Saepinum.

Telesia preromana, erede della città e del territorio di Fistelia[46], aveva l'acropoli difesa da mura ciclopiche sulla Rocca di San Salvatore Telesino, che conserva anche resti di età repubblicana romana quali una torre a rinforzo delle mura megalitiche e costruzioni collegate da volte sulle quali, con ogni probabilità, sorgeva un tempio. Le mura di una cinta megalitica a collana ben conservata sul versante est scendevano dall'acropoli sin a toccare praticamente la pianura, cingendo i bassi colli a sud e probabilmente superavano l'attuale tracciato della strada a scorrimento veloce e si collegavano alla cinta che circonda Monte Pugliano, che probabilmente costituiva una seconda acropoli. Se il collegamento non vi era, questa seconda cinta avrà collaborato alla difesa allo stesso modo della notevole cinta megalitica di Monte Acero[47].

Tanta potenza di fortificazioni, che ci fece definire una linea Maginot l'asse delle cinte megalitiche di Fagifulae, con la sua rocca montana del Monte Selva, di Monte Acero, Rocca di San Salvatore Telesino, Monte Pugliano, Pizzo del Piano, si spiega col fatto che alla Mefite di Telese era il capoluogo sacrale e politico dei Lucani della Mesogaia, sopravvissuti alla defezione ad Annibale ma sterminati nel la Guerra sociale e poi obliati e confusi con i Lucani meridionali.

Durante la guerra sociale la città diede agli Italici il condottiero Ponzio Telesino, che capeggiò appunto i Lucani della Mesogaia insieme ai Sanniti come narra Floro, II, 6, 6 elencando i pretori dei popoli italici: Poppaedius Marsos et Paelignos, Latinus Afranius, Umbros Plotius, Egnatius Etruscos, Samnium Lucaniamque Telesinus, anche se alla notizia sinora era stato dato nessun credito, poiché era noto da Appiano (I, 40, 18) che il comando dei (Grandi) Lucani fu esercitato da Marco Lamponio.

Distrutta nel genocidio sillano, la città fu rifondata in pianura con un complesso e poliorceticamente avanzato, quanto ormai inutile, apparecchio di mura urbane i cui resti sono tuttora evidenti tra i campi coltivati. La nuova Telesia assorbì anche i territori delle città confinanti[48] di Fagyfulae e di Venusia[49] e visse nel nuovo sito sino al medioevo, allorquando terremoti e malaria non la sospinsero nei pressi del sito attuale.

Via Telesia-Pontelandolfo-Morcone-Saepinum (o città dei Ligures)

Una terza strada risaliva da Telesia le pendici delle colline allineate a continuare verso oriente il Matese, e rasentando Guardia Sanframondi, raggiungeva Pontelandolfo dove si innestava sulla viabilità che dal Sannio Pentro menava a Beneventum.

Questa strada probabilmente in epoca presillana attraversava e serviva nel tratto ad est di Telesia il territorio di Venusia, città indiziata dal toponimo Castelvenere, dall'etnico Vienneri = Venerei, e da cenni di autori antichi. Era una comoda via per chi voleva raggiungere l'area di Morcone-Saepinum o l'Appia a valle di Beneventum.

Più lunga e faticosa delle strade che da Telesia risalendo il Calore sulle due sponde menavano a Beneventum, non era tuttavia disagiata e, poiché correva in collina, era meno esposta a frane, alluvioni, collassi di ponti.

Dunque restò a lungo vitale quale sicura alternativa alle vie che correvano in destra e sinistra del Calore per Ponte o per Foglianise.

Lo stesso nome di Pontelandolfo testimonia che l'abitato mutuò la seconda parte del nome da un magnate longobardo, ma la prima da un ponte, evidentemente accorsato e produttore di rendite al punto da avere generato l'abitato e l'interesse di un dinasta della famiglia dominante ad insignorirsene direttamente.

Tuttavia una notevole frequentazione preromana e romana è testimoniata dalle emergenze archeologiche della località Sorienza, che verosimilmente coincide con l'antica Sirpium. Da qui era possibile proseguire in direzione di Morcone e di Saepinum e, grazie ad una deviazione, per le città dei Ligures.

Via Telesia-Beneventum in sinistra del Calore

Dalla città romana, i cui ruderi sono ora in tenimento di San Salvatore Telesino, partiva una strada che muovendo in direzione di Solopaca superava il Calore, più o meno all'altezza del Ponte Maria Cristina, dove un punto d'acqua ed il toponimo longobardo Fontana Sala dimostrano una lunga frequentazione.

Giunta in sinistra del fiume, la via da un lato puntava verso ovest e su Saticula-Sant'Agata dei Goti e Capua; dall'altro lato lo risaliva, come è testimoniato da lunghi spezzoni di strade, su uno dei quali, in località Bolla, sono ben visibili i ruderi di un mausoleo romano. Forse appartenne a C. Acellius Syneros, mercator suarius, la cui epigrafe vista da Dressel nel vicino Bosco di S. Stefano invitava ad ammirarne il tumulo. Diverse epigrafi romane, una trovata nel casale Li Cauci di Vitulano, altra sulla provinciale di Paupisi, altra notevolmente importante menzionante la Fortuna Folianenis, etnico dal quale deriva il nome di Foglianise, una iscrizione rupestre a Silvano e resti di edifici e tombe in più luoghi dimostrano che l'area era ben popolata probabilmente in modo sparso e, del resto, il toponimo Pagani fa pensare ad un antico pagus. Una deviazione forse piegava verso Ponte, come indizia un relitto viario, ma la strada principale raggiungeva il territorio di Torrecuso ove nei pressi del distrutto Castrum Feniculi, che lo controllava, sono i resti del romano Ponte Finocchio, che consentiva di passare in destra del fiume e di raggiungere Benevento, o Ponte, o il Sannio Pentro. Ne restano i piloni nel letto del fiume.

Via Telesia-Beneventum in destra del Calore

Un'altra strada per Beneventum correva in destra del Calore e, superato Castelvenere, raggiungeva in località S. Maria la Strada tra Ponte e S. Lorenzo Maggiore. L'appellativo della chiesa ed un adiacente ponte medievale a schiena d'asino sul torrente, e l’annesso ospizio testimoniano l'uso nel medioevo del tracciato, sorvegliato anche dal castello di Limata, oggi desolato ed aggregato a San Lorenzo Maggiore, sito su un basso colle ad immediato dominio della strada.

Questa quindi raggiungeva Ponte: qui nel letto del torrente, praticamente alla confluenza nel Calore, sono riversi i resti del pilone di un ponte romano che diede il nome alla località. Al solito con l'incastellamento l'abitato è salito sul colle, in precedenza era a cavallo del ponte e servito dalla chiesa altomedievale di San Dionigi. Valicato il ponte, la via antica doveva proseguire seguendo il Calore, sempre sotto l'attuale tracciato stradale.

Il Torrente Reventa veniva passato sul Ponte del Diavolo del quale restano i ruderi a monte dell'attuale ponte stradale.

Dopo qualche chilometro alla strada si raccordava, superando il Calore sul Ponte Finocchio, la via che risaliva da Telesia in sinistra del fiume.

Quindi la via proseguiva verso Benevento, correndo nella zona dell'aeroporto ed entrava in città per Ponte Leproso.

Questa strada, o quella alternativa per Pontelandolfo, dovette essere percorsa da Annibale allorquando, venendo dalla Puglia e sfiorando Benevento tenuta dai Romani attraverso i territori di Telesia ed Allifae, si portò nella pianura Campana a saccheggiare l'Agro Falerno.

Anche l'imperatore bizantino Costante II nel 663 dopo l'assedio a Benevento seguì questa strada puntando sulla pianura campana, ma Conte Mitola lo anticipò presso il Calore sbarrandogli la strada sotto Limata e, intrappolatolo tra i colli ed il fiume, lo vinse in battaglia iuxta fluenta Caloris in loco qui usque hodie pugna dicitur, come tramandato da Paolo Diacono.

Il luogo conservò il nome ad pugna che contraddistinse una chiesa di S. Giuliano ad pugna rammentata in un documento del 1089 col quale Baldovino, signore normanno di Ponte, ne faceva donazione a Montecassino insieme ad altre chiese. Valorizzando un atto del notaio Ferraro del 1674, nel quale la chiesa di S. Maria della Strada è detta essere nei pressi del fiume Calore, vicino al torrente Ianare, “in loco ubi dicitur S. Giuliano”, e grazie all'esame delle murature e strutture di un piccolo edificio sacro incorporato della chiesa di Santa Maria della Strada il Cielo ha riconosciuto nella cripta di questa chiesa l'antico edificio di S. Giuliano ad pugna (Cielo 2004). Qui è un piccolo ponte medievale a schiena di asino che, col predicato ad stratam della chiesa e le annesse strutture che sembrano riferibile ad un ospizio, testimonia la lunghissima vitalità del percorso.

Anche Carlo d'Angiò alla testa del suo esercito, passando per Alife e Telese, fece questo percorso, o più probabilmente quello alternativo per Pontelandolfo, prima di combattere sotto Benevento la battaglia che vide la rovina e morte di Manfredi. Questa, secondo l'attendibile ricostruzione di Laureato Maio[50], si svolse nella pianura tra Ponte Finocchio, Torre Palazzo e Roseto. Il fatto che i cronisti dicano che dal Monte Capraro l'Angiò osservò l'esercito di Manfredi nella pianura e poi corse all'attacco ci fa ipotizzare che il Castellum di Caprara, nel cui tenimento era Torre Palazzo, sia da identificare non in Masseria Caparra, ma nella eminente Masseria del Ponte, che fu feudo ed ospizio dei Cavalieri di Malta. Probabilmente Manfredi, appoggiandosi con le truppe a Benevento, pensava di bloccare nella stretta di Ponte Finocchio l'Angiò se, ostacolato dai Sanframondo sulla via per Guardia, avesse risalito in destra o sinistra il Calore.

Saputo che Carlo aveva avuto libero passo dai Sanframondo, cui poi confermò i feudi, avanzava dall'interno sulla via che scendeva dal Molise, allo svevo non rimase che abbandonare la stretta di Ponte Finocchio per non essere a sua volta intrappolato tra assalitori e fiume ed arretrare nella piana per avere ampia possibilità di manovra ed eventualmente ripiegare su Benevento. Egli escluse di chiudersi in città evidentemente temendo altri tradimenti e accettò la battaglia che gli fu fatale.

In destra del Calore il Ponte Finocchio, che la raccordava alla strada in destra del fiume, rammentato in un documento del 1272, ma certo assai più antico, più volte restaurato e definitivamente distrutto nella seconda guerra mondiale, era guardato dall'omonimo castello medievale, menzionato nel Catalogus Baronum. Da Ponte Finocchio sempre in sinistra del fiume era possibile proseguire in direzione di Caudium ed anche deviare per raggiungere Benevento usando il Ponte delle Maurelle, del quale restano ruderi nella località omonima[51].

Invece in destra del fiume un punto di guardia e accoglienza per chi dirigeva verso Torre Palazzo, nome nella prima parte derivante da un fortilizio medievale, nella seconda da un edificio del Cursus Publicum romano, era nella Masseria del Ponte che sembra la continuazione di una motta e, come detto, probabilmente è l'antico Castello di Caprara.

Da Torre Palazzo era possibile muovere verso il Sannio Pentro cioè in direzione di Pontelandolfo, dove in località Sorienza, probabilmente l'antica Sirpium, sono emersi molti resti, e di qui verso le città dei Ligures Baebiani e Corneliani o verso Morcone, Saepinum, Bovianum.

O, volgendo in direzione opposta per Terraloggia si poteva raggiungere il Miscano, e valicato il fiume, Forum Novum, che noi poniamo a valle di Paduli[52], nella piana tra il Miscano e Ponte Valentino. Da Forum Novum, che era sull'Appia, per Ponte Valentino si poteva raggiungere Beneventum. Sulla direzione opposta seguendo l'Appia si poteva raggiungere Equum Tuticum, e per le Tre Fontane la statio Aquilonis, odierno Celone, e valicato l'Appennino scendere ad Aecae, non lungi dall'attuale Troia.

Va segnalato che la consueta ubicazione di Forum Novum ai Piani di Sant'Arcangelo Trimonte basata sul presupposto che la località Forno Nuovo ne abbia tramandato il nome, non è sostenibile.

Il nome Forno Nuovo non è verosimile corruzione di Forum Novum, ma è derivato dalla secolare attività di cottura dei laterizi testimoniata tuttora da fornaci vetuste da poco inattive.

La nostra ipotesi di ubicare Forum Novum a Paduli, basata sugli Itinerari e sulla corretta etimologia di Forno Nuovo, ha trovato una preziosa conferma in un documento dell'Archivio Segreto Vaticano che registra il processo svolto nel 1272 per appurare i confini tra il pontificio territorio di Benvento e l'ex regno normanno svevo. Tra le località a confine sono menzionate Castelpoto, il Cubante (Calvi), Feniculo, Forum Novum[53].

Resta da dire che l'uso della viabilità in epoca altomedievale è supportata da altri seri indizi toponomastici e documentali oltre che da fonti storiche, ma di questo daremo conto in altra sede.

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[1] Cfr. D. Caiazza, Archeologia e Storia antica del mandamento di Pietramelara e del Monte Maggiore, Pietramelara 1995, p. 76, nota 12.

[2] Cfr. D. Caiazza, Archeologia e Storia, p. 18.

[3] Cfr. D. Caiazza, Archeologia e Storia cit., pp. 19-21; stranamente Solin [cfr. H. Solin, Le iscrizioni antiche di Venafro, Samnium, LXXX, (2007), nn. 1-4, p. 28], pur citando queste pagine riferisce a “nuove osservazioni", peraltro apparse solo nel 1998, l'individuazione del Flexum “un po' più ad est rispetto a San Cataldo, nella località S. Maria del Piano”.

[4] Cfr. D. Caiazza, Archeologia e Storia, p. 23; cfr. anche R. Merola, Un insediamento della Terra S. Benedicti, il castrum S. Petri in Flea tra X e XIII secolo, Quaderni Campano-Sannitici, IX, 2007.

[5] Cfr. M. Zambardi, La via Latina nel territorio di ad Flexum, Ager Aquinas, Storia e archeologia nella media valle del Liris, II (2007), p. 125.

[6] Sul punto Cfr. D. Caiazza, Archeologia e Storia antica, pp. 39-43, e D. Caiazza, Il nodo stradale di Venafrum in età romana, Samnium LXXX, (2007), nn. 1-4, pp. 251-252.

[7] Evidentemente toponimi come Compitum, Flexum, Sextum, Quartum possono solo derivare e non preesistere alla strada. Questo non significa che debbano restare poi fissi sul tracciato, poiché talora seguono lo spostamento dell'abitato. Si pensi a Sesto Campano: la prima parte del nome è nata certo in pianura dalla misura itineraria sulla strada e si è poi spostato con le abitazioni sulla cima del vicino colle. L'attributo Campano, stranamente, è nato quando il paese, dopo l'Unità d'Italia fu, con Venafro ed altri paesi, strappato dalla storica Terra di Lavoro ed aggiunto al Molise, ma comunque documenta l'antica realtà amministrativa dei distretti di Venafro e Castellone, appartenenti alla Terra di Lavoro.

[8] Probabilmente con funzioni di supporto ai viandanti: taverna, mercato di fieno e avena per animali da soma, etc.

[9] Cfr. D. Caiazza, Archeologia e Storia antica, p. 22.

[10] Cfr. D. Caiazza, Rufrium sannitico e romano, in In Itinere, Ricerche di Archeologia in Campania, a cura di F. Sirano, pp. 267-286, contra H. Solin, Le iscrizioni, p. 28

[11] Cfr. D. Caiazza, Il nodo stradale, p. 229.

[12] Sull'etimologia, “sorgente, vena d'acqua del cinghiale”, cfr. D. Caiazza, Il nodo stradale, p. 218.

[13] Cfr. G. Cotugno, Memorie istoriche di Venafro, Società Filomantica, Napoli 1824, p. 313.

[14] Come avvenuto a valle del cimitero di Venafro.

[15] Sul confine tra i territori di Aesernia Allifae e Venafrum cfr. D. Caiazza, Il nodo stradale, contra H. Solin, Le iscrizioni.

[16] Come i poleonimi Campochiaro, Campobasso, Campolieto, Camposinarcone, Campozillone, cfr. D. Caiazza, Il nodo stradale cit.

[17] Dimostrazione in D. Caiazza, Il nodo stradale cit., pp. 250-251.

[18] Caiazza, 1991, Idem 2002.

[19] Cfr. F. Sirano, Presenzano/Rufrae per una nuova immagine della piana nell'antichità, Presenzano ed il Monte Cesima, archeologia arte storia di una comunità, Quaderni Campano-Sannitici, a cura di D. Caiazza, III, Piedimonte Matese 2009, pp. 69-74.

[20] Presso Arce. Melfel sulla Peutingeriana.

[21] S. Maria del Piano di S. Pietro.

[22] Tra Venafro Sesto e Ponte Reale.

[23] Sotto Callifae-Roccavecchia di Pratella.

[24] S. Maria in Cingla-S. Stefano.

[25] Sotto la Rocca di Dragoni.

[26] Squille (frazione di Castelcampagnano).

[27] D. Caiazza, Il nodo stradale, p. 256.

[28] Cfr. D. Caiazza, La Terra di S. Maria in Cingla nell'Alta Terra di Lavoro Longobarda e Normanna, Le valli del Sava e del Lete, Piedimonte Matese, Libri Campano-Sannitici, a cura di D. Caiazza, Piedimonte M. 2009, pp. 109-140.

[29] Per l'esclusione di possibilità alternative cfr D. Caiazza, Il nodo stradale, p. 257.

[30] Fotografie e cenno del battistero in Cfr. D. Caiazza, Archeologia e Storia, p. 118; pianta prospetto e ricostruzione in Caiazza Terra di Lavoro, per la presenza di uno stanziamento visigoto cfr Caiazza cds.

[31] La dimostrazione in Caiazza 2007, pp. 260-262.

[32] Dimostrazione e documenti in D. Caiazza, Archeologia e Storia, e D. Caiazza, Il nodo stradale.

[33] Cfr. D. Caiazza, Archeologia e Storia, pp. 114.130, con foto e mappe.

[34] Cfr.D. Caiazza, Il nodo stradale, Appendice.

[35] Cfr. F. Miele, Allifae e il suo ager, In Itinere, Ricerche di Archeologia in Campania, a cura di F. Sirano, pp. 36 Se la via avesse proseguito oltre Solana, avrebbe percorso il territorio dei Rufrani Vicani e difficilmente si giustificherebbe il nome di Via Cubulterina.

[36] Se la via avesse proseguito oltre Solana, avrebbe percorso il territorio dei Rufrani Vicani e difficilmente si giustificherebbe il nome di Via Cubulterina.

[37] Cfr. D. Caiazza, Il nodo stradale, pp. 267-268.

[38] Cfr. D. Caiazza, La Terra di S. Maria in Cingla nell'Alta Terra di Lavoro Longobarda e Normanna, Le valli del Sava e del Lete, Piedimonte Matese, Libri Campano-Sannitici, a cura di D. Caiazza, Piedimonte M. 2009, pp. 109-140.

[39] Intervento al XVI Convegno di Studi Etruschi ed Italici.

[40] Già descritta da Trutta, 246.

[41] Con normale modificazione di sann. Fagifulae> lat. Fagibulae>mod. Faicchio.

[42] Caiazza 1997.

[43] Questo tipo di muratura somiglia a quella di restauri delle mura di Allifae di epoca normanna cfr. Caiazza 2001.

[44] Non lungi sul Lavello sono resti di un altro ponte, costruito con rozza tecnica forse di un acquedotto.

[45] Caiazza 2004.

[46] Caiazza 1991.

[47] Caiazza 2002.

[48] Allo stesso modo la nuova Allifae in pianura accorpò i territori di Callifae-Roccavecchia di Pratelle e di Taurania-Monte Cila.

[49] Di quest'ultima città che chiameremo Venusia dei Lucani menzionata solo da Polibio, che ne parla in relazione alla marcia di Annibale verso la Campania (da Livio sappiamo che il percorso interessò i territori di Telesia e Allifae), è un cenno in Strabone, che menziona una Venusia insieme a Beneventum, mentre altrove cita Venusia in Apulia. Tra le due Venusia è evidente che solo la città campana aveva interesse ad insorgere contro Roma nella Guerra Sociale e non la colonia sita in Apulia che aveva già la cittadinanza.

Il nome della città continua in quello di Castelvenere, sita ad est di Telese, ma il sito antico potrebbe essere altrove, più ad est o magari sui colli di Guardia San Framondi. Debbo a mio figlio Valerio, che ringrazio, una ulteriore conferma del rapporto tra Castelvenere e Venusia. Gli abitanti di Castelvenere sono chiamati

Vienneri, che è un etnico e deriva da Venerei ed è anteriore all'apposizione di “castel”, di epoca medievale.

[50] Cfr. L. Maio, La battaglia di Re Manfredi e la fine del dominio svevo sul territorio beneventano, Rivista Storica del Sannio, 4, III serie, Anno II, 1996, pp. 5-28.

[51] Per i ponti tra Telesia e Benevento cfr L. Maio, Folianum, l'antica Foglianise, Samnium, 1977, n. 3-4, e C. Lepore, I ponti di Benevento tra medioevo ed età moderna, Studi Beneventani, 7, 1998.

[52] Paduli = paludi è toponimo incongruo per un abitato sito in salubre posizione sulla vetta di un colle. È dunque evidente che il nome è salito, con lo spostarsi degli abitanti, da un centro di fondovalle soggetto all'impaludamento.

[53] Cfr. L. Maio, La battaglia di Re Manfredi, p. 9. Il documento è stato citato a n. 9 dall'A. che si limita ad elencare le località menzionate, ed è stato notiziato sul punto da Carmelo Lepore. Questi mi ha cortesemente confermato che dallo studio ritrasse l'opinione che la località fosse in territorio di Paduli.