Alife una città dimezzata

Introduzione

Nell’estate del 1944, poco dopo la liberazione di Roma da parte delle truppe anglo-americane, Pat N. Walzer, sergente capo (M./Sgt.) dell’aviazione americana (USAAF), si recò ad Alife alla ricerca di un non meglio precisato “cimitero tedesco”. Dopo che numerosi abitanti, alla sua bizzarra richiesta gli avevano risposto che in città non vi era mai stato un luogo di sepoltura di soldati germanici, improvvisamente capi: il bombardamento di Alife del 13 ottobre 1943 era stato «a dreadful mistake», un terribile errore!

Avrebbe voluto gridarlo, forse, per scusarsi, ma non lo fece e, probabilmente, non lo aveva fatto fino ad oggi, fino a quando, incalzato dalle mie domande, ha espresso le sue considerazioni su quel tragico evento. Era un militare e come tale tenuto ad ubbidire a degli ordini precisi venuti dall’alto.

Lo ribadisce, tra l’altro, anche uno dei piloti di quel raid, il tenente (poi capitano) Arthur W. Cruse, che ho avuto la fortuna di rintracciare a Bella Vista, nell’Arkansans. Art, oggi 90enne, mi ha riferito di una missione stabilita all’ultimo momento, nel gergo militare una «hurry up mission», di un ordine improvviso al quale mai nessuno avrebbe potuto porre un veto. Era la guerra ed erano considerati i migliori piloti dell’aviazione americana, erano l’orgoglio della nazione e quello si chiedeva loro: un lavoro ben fatto, chirurgico, limitando i rischi ed ottenendo il massimo risultato.

La constatazione di Pat -che, tra l’altro, aveva partecipato alla missione casualmente, in quanto sottufficiale addetto a terra agli armamenti dei bimotori della 437a squadriglia del 319o gruppo di bombardieri americani, imbarcatosi su uno dei velivoli per valutare il malfunzionamento di una mitragliatrice della torretta- in quel momento si faceva ancor più imbarazzante pensando a quanto era accaduto, circa quattro mesi prima, a Cassino e alla sua plurisecolare abbazia e, nei mesi precedenti, a Capua, a Teano e ad altre decine di cittadine sottoposte a “bombardamenti di precisione”, con il presunto obiettivo di distruggere centri di comunicazione o nuclei di comando della Wehrmacht, che l’intelligence americana continuava quotidianamente a segnalare ora in questo, ora in quell’altro luogo.

Non è certo trionfalistico il modo in cui mi ha parlato del bombardamento di Alife, in una sua e-mail speditami alcuni mesi fa, a 65 anni di distanza da quel tragico evento. Aveva capito che era stato uno dei tanti errori strategici che avevano inchiodato, più che favorito, le truppe alleate sul territorio campano per oltre otto mesi, fino allo sfondamento della linea Gustav, alla fine di maggio del 1944, che si sarebbe potuta aggirare più velocemente se solo fosse stato programmato con qualche mese d’anticipo uno sbarco sulla costa laziale, limitando le carneficine del Volturno, di Monte Camino-Monte Lungo-San Pietro, del fiume Rapido e della stessa Gustav.

Capua, Alife, Teano, Cassino, per gli strateghi americani erano semplicemente dei “punti su una cartina geografica”, ed i piloti erano tenuti a sopportare il peso di decisioni, molte volte azzardate, prese dall’alto, delle quali non si poteva e, forse, non si voleva discutere. L’importante era effettuare la missione cercando di spianare la strada all’avanzata delle forze terrestri, riportando a casa la pelle sana e salva…