Il castello di S. Angelo

Luigi R. Cielo

IL CASTELLO DI S. ANGELO NELLA REALTA’ INSEDIATIVA E STRATEGICA DELLA TERRA ALIFANA

(in «S. Angelo di Ravecanina – Un insediamento medievale nel Sannio Alifano», a cura di L. Di Cosmo, 2001, pp. 95-110)

Quando nel secondo decennio del sec. VIII riprende la documentazione sulla media valle del Volturno con un praeceptum oblationis, in cui per ordine del duca di Benevento Romualdo II (706-731/2) un certo Jubinianus e la moglie offrono i loro beni al monastero di S. Maria e S. Pietro nella località Massanum presso Alife[i], i Longobardi nella valle si erano insediati almeno da un secolo e mezzo, come è dimostrato dalla scomparsa dei vescovati e in particolare di quello di Compulteria nel 599.[ii]

Ma è la fondazione del monastero di S. Maria in Cingla dopo il 743 l’avvenimento centrale di questi anni, che chiama oltre tutto in causa due dei maggiori poteri della Langobardia minor: quello politico esercitato dal duca Gisulfo II (742-741) e quello monastico impersonato dall'abate cassinese Petronace[iii], con una prova da una parte di calcolate collaborazioni[iv] e dall’altra dell’interesse che i dinasti longobardi di Benevento evidenziano nell’area, se di lì a qualche anno anche Arechi II (758-787) fonderà un altro monastero, quello di S. Salvatore presso l’attuale Piedimonte Matese[v].

La ricca documentazione di estrazione cassinese, che riguarda S. Maria in Cingla, affiancata a quella conservata nelle carte già richiamate di S. Sofia di Benevento – non a caso due miniature del cartulario-cronaca di S. Sofia pertengono ad Alife e Prata[vi] – e a quella di S. Vincenzo al Volturno (interessante quest’ultima particolarmente la zona di Prata) riesce a dare uno specimen della status insediativo della valle del Volturno nel tratto mediano per i secoli dell’alto medioevo per molti aspetti oscuro e di certo renitente ad una soddisfacente restituzione, ma in ogni caso capace di fornire elementi e dati assai utili, sui quali procedo in modo sintetico, essendomene occupato in una precedente ricerca[vii]. La valle, che per comodità possiamo chiamare alifana[viii], appare, almeno per la zona di Prata, “sottoposta ad uno sfruttamento che andava intensificandosi, come è provato dai frequenti riferimenti a viae publicae, limiti, fiumi, rii, emergenze qualificanti del territorio, terminos antiquos, fossata, tesi ad individuare con la maggiore approssimazione possibile le linee dei confini” e punteggiata di curtes, casales, vici, non esclusa una cella monastica e persino una probabile residenza notarile[ix]. E punteggiata inoltre di chiese, su una delle quali, quella di S. Stefano, è utile fermarsi, perché rientrante nel territorio di S. Angelo-Raviscanina.

La prima notizia di una chiesa di Sanctu Stefanu in Prata è del 783 – e non del 747, come da qualcuno è stato scritto senza rimandi documentari[x] –. Il documento, in cui è nominato il prete che regge la chiesa e sono indicati i confini della terra che viene confermata nel territorio di Prata, “ubi dicitur in casalem de Ailane”, è redatto in Prata “in curte Sancti Stefani” e fa parte del lungo atto del vescovo alifano Vito risalente al 1020[xi]. L’ecclesia Sancti Stefani ricorre poi in una carta dell’843, anch'essa riportata nell’atto del vescovo Vito, ma solo per una delimitazione di confini[xii] e in una del 1005, quando per un concambio l’abate cassinese ottiene “curtem una in Alifis, que dicitur Sancti Stefani, cum terra modiorum quadringentorum”[xiii].

L’importanza del sito di S. Stefano è dato dalla confluenza nei pressi di due arterie romane, l’una in arrivo dal Ponte Ladrone e l’altra da Teano[xiv]. Se a questo si aggiunge che da documentazione posteriore (anni 1364 e 1405) si sa che nella piano sotto S. Angelo-Raviscanina sorgeva ancora un’altra chiesa, S. Maria de strata[xv], si ha un’altra prova di come la ratio degli insediamenti di pianura sia in grandissima parte nel rapporto con gli assi viari, in particolare quelli antichi, che nel rappresentare un elemento catalizzante di popolamento hanno avuto il loro peso nella nascita di S. angelo, ove la presenza di una grotta di culto micaelico indizia nei pressi e quasi certamente nel sito più alto – quello destinato ad ospitare la struttura castellare normanna – un villaggio fortificato già in età longobarda, con allusiva designazione toponomica.

In questa realtà insediativa – con delimitazioni territoriali ancora approssimative e vaghe, come sembra dimostrare l’ultimo documento con la dicitura “in Alifis” per una corte che è localizzabile nell’agro d S. Angelo-Raviscanina, che dunque al 1005 potrebbe non sussistere ancora come entità distinta e prepotentemente attrattiva – ai fini di un discorso volto ad individuare la logica difensiva dell’area in cui nasce il castello di Rupecanina si inseriscono gli episodi del castrum S. Viti e del castellum di Curvara. L’esistenza del primo è siglata da un atto dell’806, che accerta un esempio di incastellamento precoce, che però non può sorprendere[xvi]. Quanto al castello di Corvara, forse localizzabile nel territorio di S. Angelo d’Alife, fa luce su di esso la vicenda nella quale intorno al 980 “i cassinesi che ne sono proprietari devono ricorrere al principe capuano Pandolfo I perché scongiuri minacce e assalti del conte di Alife Bernardo e dei suoi figli[xvii]. Episodio quest’ultimo che anticipa solo di qualche anno un privilegio di Ottone II a favore dell’abbazia cinglense, che riveste un certo valore, dal momento che l’imperatore, pur non concedendo uno ius munitionis – come era per es. avvenuto con i principi capuani nei riguardi di Montecassino, San Vincenzo al Volturno, S. Lupo di Benevento – conferisce al monastero una piena giurisdizione: “liceat Abbatissam quae nunc praeest Aldegrimmam, suasque subsequentes… ut habeant potestatem subiectis super fluvios ejusdem ecclesiae ex utraque parte molendina edificare, et quae eis libitum fuerit aedificia construere, omnium hominum contradictione remota[xviii]. Rammentare qui che già nell’810 il principe beneventano Grimoaldo II aveva esentato i dipendenti del monastero di Cingla dalla vigilias civitatis[xix] e che lo stesso imperatore Ludovico II aveva firmato un precetto di immunità[xx] vuol dire rimarcare l’importanza del monastero, per il quale rimane la possibilità di vere e proprie fortificazioni della terra anche alla luce di una raggiunta autonomia[xxi].

Tenendo conto di quest’ultima chiave di lettura e rimanendo sul filo della logica difensiva dell’area, possiamo esaminare altri due episodi, di cui mi sono già occupato, e cioè di S. Giovanni a Chiusa e del castellum S. Archangeli. Se del primo – che ancora ospita una chiesetta ad aula absidata – per ora si può dire che “sembra in diretta connessione con il processo di incastellamento”[xxii], il castellum S. Archangeli si pone come una delle spie delle necessità fortificatorie dell’area sul confine alifano-venafrano. Il castellum è una fondazione ancora longobarda degli anni ante 1062 e cioè uno degli esempi di centro incastellato all’interno delle lotte di potere tra Longobardi e Normanni. “Proprio la parentela della badessa Maria con i conti di Venafro può far pensare ad un’ultima organizzazione di difesa dei signori longobardi, che naturalmente si appoggiano anche ai membri dell’entourage religioso[xxiii]. Se si ricorda che sia Montecassino sia San Vincenzo si mobilitano dinanzi al pericolo normanno, acquista valore l’ipotesi di una fondazione castellare antinormanna a S. Arcangelo[xxiv].

È infine forse anche da rilevare che, se nei documenti prima del mille si citano nella nostra area vici e casales, dalla metà dell’XI sec. si parla più spesso di castrum e di castellum con due esempi eloquenti: il castellum S. Archangeli inciso nel bronzo della porta di Montecassino nel 1122[xxv] e il rimando a S. Maria in Cingula cum castellis …suis del diploma di Lotario III nel 1137[xxvi].

Sono questi gli anni della durissima lotta tra Ruggero II da un aparte e Roberto di Capua con alleato il conte di Alife, Rainulfo II Drengot-Quarrel, ed è adesso, nel 1135, che si ha la prima menzione del centro abitato e del castello di Rupecanina in una con quello di Alife, quando cioè il re Ruggero dà ordine al cancelliere Guarino di requisire tutte le roccaforti del conte Rainulfo[xxvii]. Questi “aveva affidato la difesa di esse al fratello Riccardo, che però era fuggito alla notizia della presa di Aversa da parte di Ruggero. Così all’arrivo del cancelliere Guarino sia Alife sia S. Angelo si arrendono”[xxviii]. Ma non si arrendono S. Agata e Caiazzo, che soltanto all’arrivo di un altro assediante, il re Ruggero, desistono[xxix]. A questo punto Ruggero II “dedit edictum , ut cuncta in terra Comitis subverterentur oppida, praete munitiora castra, quae ei sub proprio dominio ad eiusdem pacis tutelam retineri pacerent”[xxx]. Dal racconto di Alessandro di Alessandro Telesino “si evince che nel quarto decennio del XII secolo le principali sedi di dominio del conte Rainulfo erano ben difese” e che “in previsione dello scontro con il re erano state ulteriormente rinforzate: (Comes) munitiones interim suas omnes magis praemunire studuit”[xxxi].

I movimenti di Riccardo di Rupecanina dopo che Alife e S. Angelo di Rupecanina sono state nel giugno del 1135 prese da Ruggero[xxxii], si ricostruiscono sulle pagine di Falcone. Da Pisa il principe di Capua Roberto insieme con il cardinale Gerardo e il nostro Riccardo si recano presso l’imperatore Lotario, dal quale hanno la promessa di aiuti per l’anno seguente[xxxiii], cosa che avviene tanto che il principe di Capua, Roberto, va ad ossequiare l’imperatore a Cremona – dove si era accampato – mentre anche il conte Rainulfo si unisce all’imperatore nel seguito della discesa in Italia meridionale[xxxiv].

A questo punto Falcone, dopo aver descritto le vicende beneventane centrate sulla presenza del papa oltre che dell’imperatore[xxxv] e anche salernitane[xxxvi], riferisce dell’elezione a duca di Puglia di Rainulfo nel 1137[xxxvii]. Ma re Ruggero è pronto a riprendere la lotta e, quando sente che l’imperatore ha preso la via del ritorno, inizia le operazioni, sottomette Nocera e conquista tutte le terre del conte Rainulfo. Assoggetta anche Benevento (metà ottobre 1137), Montesarchio “et inde procedens super civitatem comitis Riccardi… alligavit”[xxxviii], informazione che si scioglie nel senso che Riccardo nel frattempo è assurto a conte e che possiede la città di Alife.

Per rimanere nella sola area alifana si segnalano ora la riconquista di Alife da parte di Rainulfo[xxxix] e l’anno successivo (1138) un secondo attacco, violentissimo, alla città portato da re Ruggero[xl] fino alla morte e sepoltura “infra episcopium” a Troia di Rainulfo il 30 aprile 1137[xli]. Segue l’imboscata, preparata dalle truppe di re Ruggero a San Germano, dalla quale il principe di Capua e Riccardo di Raviscanina si salvano con la fuga, mentre il papa Innocenzo II viene catturato e, privo di ogni appoggio, riconosce nel giorno di S. Giacomo, cioè il 25 luglio 1139, il regno di Sicilia a Ruggero e ai due figli rispettivamente il ducato di Puglia e il principato di Capua[xlii].

Si eclissa così il glorioso principato di Capua fondato da Riccardo Quarel[xliii] e nella rovina soccombe anche la signoria di Rainulfo II Quarel, che aveva ereditato dal nonno Rainulfo e dal padre Roberto, e ciò al di là dei tentativi – anche temporaneamente riusciti – di riconquista operati per tutto il XII sec.

Dopo il 1139 infatti il conte di Alife è Malgerio[xliv], che è poi al tempo del Catalogus Baronum anche titolare del feudo di Alife, che raccoglie inoltre Presenzano, Penta, Mignano[xlv]. Lo smembramento della contea di Alife viene confermato dal nuovo titolare del feudo di Prata, di Letino e del nostro S. Angelo, che è Rainone di Prata[xlvi].

Il seguito degli avvenimenti, con un Drengot-Quarel, Andrea, figlio di Riccardo, che si riappropria della contea di Alife, e con il successivo subentrare di Malgerio e i connessi tentativi di recupero ancora di Andrea[xlvii], interessa relativamente il tema in oggetto, dal momento che a nostro giudizio l’attacco di Ruggero II nel 1135 dovette vedere pienamente efficiente il baluardo castellare di Sant’Angelo-Rupecanina e ciò per due motivi.

Il primo è che i Quarel sia del ramo principesco di Capua sia del ramo comitale di Alife, Telese, S. Agata, Caiazzo, sono di altissimo profilo nel settore della guerra, e presumibilmente anche nelle strutture di appoggio come i castelli, alla luce dei riconoscimenti di valore professati già da Amato di Montecassino[xlviii] e quindi ampiamente confermati da Alessandro Telesino e Falcone Beneventano, con i più ragguagli rivenienti da test iconografici della loro terra[xlix].

Il secondo è che, in vista dello scontro con Ruggero II, Rainulfo, si è visto, ha rafforzato le difese delle sue contee, dove peraltro dovevano già essere efficienti i castelli di Caiazzo e di S. Agata[l].

Il mastio di Rupecanina inoltre, quadrato e con coronamento merlato in appiombo sulla cortina muraria, rientra nella tipologia studiata da Santoro – con la sola particolarità della base a scarpa, sulla quale bisogna ritornare – ed esemplificata negli episodi di Arpino, Baia, Latina, Carinola, Pietramelara, Capua[li], così da poter essere attribuito ad una committenza normanna[lii].

Ma una prova indiretta – cosa che ho gia notato altrove – viene dalla importanza strategica oltre che del castello di Alife, anche di quello di S. Angelo, siglata in successione temporale dal controllo avocato alla curi da Federico II. Questi, che naturalmente si avvale del sistema difensivo normanno, pronto a riattarlo ed ad integrarlo, nelle Assise di Capua (1220) dispone innanzitutto il ritorno al demanio di città, fortificazioni, castelli, villaggi, casali alienati dopo la morte di Guglielmo II e la requisizione/distruzione di ogni struttura difensiva costruita nello stesso periodo[liii]. Già nel 1221 “Alife insieme con Caiazzo è nelle mani di Federico II, avendone l’imperatore imposto la consegna a Sifrido, fratello del conte Diopoldo”[liv]. Nel riassetto castrale di Terra di Lavoro – Federico è spesso ad Alife o nei pressi[lv] ed è in buoni rapporti col monastero della Ferraria presso Vairano[lvi] - il ruolo, affidato all’Ordine teutonico nel 1230-31, contempla, secondo gli accordi con Gregorio IX del novembre 1229 (dopo le operazioni militari del cardinale Pelagio nel mese di marzo dello stesso anno, quando vengono prese Ailano, Alife e il castello di Piedimonte[lvii], senza menzione del castello di Rupecanina), la custodia dei castelli, tra gli altri, di Presenzano, Capua (castrum lapidum) Caiazzo, Maddaloni, Tocco Caudio e appunto Roccam Sancti Angeli de Rupe Canina[lviii]. Cosicché appare strettamente conseguenziale che nello Statuto de reparacione castrorum del 1241-45 il castello di Alife debba essere riparato dagli uomini di Alife, Piedimonte, Baia e quello di Rupecanina dagli uomini di S. Angelo, della baronia di Prata, di Ailano, e di Rocca San Vito[lix].

Il castello di S. Angelo mantiene intatto il suo potenziale strategico e la stessa estensione del centro che gli si arrocca ai piedi ne è una dimostrazione ancora oggi nella diramata sequenza di cortine murarie, torri, case, cisterne, la cui condizione di ruderi non può intaccare l’orgoglio di una casata, sul campo spesso invitta.

[i] L. R. Cielo, S. Maria in Cingla: un’abbazia di prestigio in età longobardo-normanna, in Il territorio alifano, Convegno di studi, S. Angelo d’Alife, 26 aprile, 1987, Scauri, 1990, p. 191; L. R. Cielo, Fondazioni monastiche e incastellamento nel Matese Campano tra Longobardi e Normanni, in Monastero e castello nella costruzione del paesaggio, I Seminario di Geografia Storica, Cassino 27-29 ott. 1994, a c. G. Arena-A. Riggio-P. Visocchi, Perugia 2000, pp. 127-143, a p. 129. V. ora l’edizione critica del Chronicon Sanctae Sophiae (cod. Vat. Lat. 4939), a c. J. M. Martin, Roma 2000, nr. II, 14, p. 458 e le conferme del 743 del duca Gisulfo II al nr. II, 13, p. 456 e del 774 di Arechi II al nr. I, 3, p. 338. Di un’altra chiesa, S. Maria e S. Marciano, edificata dall’abate Garoin e sita ad Pletta e confermata nella dipendenza del solo Palazzo da Arechi II nel 769 (ibid., nr. III, 23, p. 515) l’editore indicherebbe una localizzazione ad Alife (v. a p. 63).

[ii] S. Gregori Magni, Registrum Epistolarum, ed. D. Norberg, Turnholti 1982, IX, 94 e IX, 95, pp. 648-649; L. R. Cielo, Forme architettoniche nella Valle del Volturno tra Longobardi e Normanni, in Convegno di Studi “La Valle del Volturno nel Medioevo”, Ailano-Alife, 23-24 ottobre 1999.

[iii] L. R. Cielo, S. Maria in Cingla, cit., pp. 185-186.

[iv] Ibidem, p. 191.

[v] Erchemperti, Historia Langobardorum Beneventanorum, ed. G. Waitz, in M.G.H., SS. Rerr. Lang. Et Ital., Hannoverae, 1878, c. 3, p. 236; L. R. Cielo, Forme architettoniche nella Valle del Volturno, cit. Nel 756 la valle ospita inoltre una Eigenkirche, S. Nazario, costruita alcuni anni prima (Chronicon Sanctae Sophiae, cit. p. 376).

[vi] Chronicon Sanctae Sophiae, cit. , tav. di f. 50 r e doc. nr. I, 25 per la chiesa di S. Nazario ad Alife e tav. di f. 81 r e doc. nr. II, 15 per il condome di Prata (forse Prata Sannita).

[vii] L. R. Cielo, Fondazioni monastiche e incastellamento, cit.

[viii] La denominazione di “balle alifana” è tra le più antiche nella determinazione di comprensori più o meno qualificanti, risalendo all’anno 756 (cfr. Chronicon Sanctae Sophiae, cit., p. 377).

[ix] L. R. Cielo, Fondazioni monastiche e incastellamento, cit., pp. 132-133 (ivi, pp. 138-139 per la zona intorno a Piedimonte Matese). Già H. Bloch, Monte Cassin in the Middle Ages, 3 voll., Roma, 1986, p. 249 aveva richiamato l’attenzione sul gran numero di possessi (e quindi di toponimi) e di chiese appartenenti all’abbazia di Cingla.

[x] Da ultimo N. Mancini, Raviscanina. Ricerche storiche, Piedimonte Mates 1998, p. 28.

[xi] E. Gattola, Historia Abbatiae Cassinensis, I, Venetiis, 1733, pp. 32-37 (p. 34): octaba scriptio; H. Bloch, Monte Cassino, cit. pp. 248-9, 264; H. Zielinski, Codice Diplomatico Longobardo, V, Le chartae dei ducati di Spoleto e di Benevento, Roma 1986, nr. XIV, pp. 383-385; E. Cuozzo et J. M. Martin, Documents inédits ou peu connus des archives du Mont Cassin (VIIIe-Xe siècles), in “Mélanges de l’Ecole Française de Rome”, 103, 1991, 1, nr 6, pp. 131-132.

[xii] E. Gattola, Historia Abbatiae Cassinensis, pp. 32-37 (p. 34): undecima scriptio; H. Bloch, Monte Cassino, cit., ibid.; E. Cuozzo et j. M. Martin, Documents inédits, cit., nr. 25, pp. 153-154.

[xiii] Chronica Monasterii Casinensis, ed. H. Hoffman, M.G.H., SS., XXXIV, Hannover, 1980, II, 26, p. 211; L. R. Cielo, Fondazioni monastiche e incastellamento, cit., pp. 130-131. Nel fondo di S. Sofia presso il Museo del Sannio di Benevento è “conservato il testo dell’offerta a S. Sofia, fatta nel 1025, della metà di una chiesa di S. Stefano in Alife” (Chronicon Sanctae Sophiae, cit. p. 13).

[xiv]D. Caiazza, Il territorio tra Matese e Volturno. Note di topografia storica, in Il territorio tra Matese e Volturno, Atti del I Convegno di Studi sulla storia delle Foranie della Diocesi di Iserni-Venafro. La Forania di Capriati, Capriati a Volturno, 18 giugno 1994, a c. D. Caiazza, Castellammare di Stabia, 1997, p. 29.

[xv] Benevento, Biblioteca Capitolare, Ms 117. Devo la segnalazione e la trascrizione all’amico Carmelo Lepore, che ne sta curando l’edizione.

[xvi] L. R. Cielo, L’incastellamento nel Matese campano. L’area alifana, in “Archivio Storico del Sannio”, V, 2000, n. 2, pp. 59-87, a p. 70.

[xvii] N. Cilento, Le origini della Signoria capuana nella Longobardia minore, Roma, 1966, p. 38; Cielo, S, Maria in Cingla, cit., p. 187; J. M. Martin, Eléments préféodaux dans les principautés de Bénévent et de Capoue (fin du VIIIe siècle-début Xie siécle) : modalités de privatisation du pouvoir, in Structures féodales et féodalisme dans l’Occident méditerranéen (Xe-XIIIe siècles). Bilan et perspectives de recherches, Colloque international, 10-12 ott. 1978, Roma, 1980, p. 576, n. 176 ; B. Figliolo, Morfologia dell’insediamento nell’Italia meridionale in età normanna, in “Studi Storici”, 32, 1991, 1, p. 32; L. R. Cielo, Fondazioni monastiche e incastellamento, cit., p. 138.

[xviii] Gattola, Ad historiam Abbatiae Cassinensis accessiones, Venetiis, 1734, I, p. 99; Diplomata regum et imperatorum Germaniae, t. II, 1. Ottonis II Diplomata, Hannoverae 1888, nr. 263, pp. 304-305.

[xix] Gattola, Ad historiam Abbatiae Cassinensis accessiones, cit., p. 97; N. Cilento, Le origini della Signoria capuana, cit., p. 39.

[xx] Gattola, Ad historiam Abbatiae Cassinensis accessiones, cit., p. 96; E. Cuozzo et J. M. Martin, Documents inédits, cit., nr. 33, pp. 166-167. Il monastero di Santa Sofia di Benevento dovrà attendere gli anni di Ottone I (972) per riceverne uno simile (J. M. Martin, Eléments préféodaux, cit., p. 557).

[xxi] L. R. Cielo, Fondazioni monastiche e incastellamento, cit., p. 139.

[xxii] L. R. Cielo, Forme architettoniche nella Valle del Volturno, cit.

[xxiii] L. R. Cielo, Fondazioni monastiche e incastellamento, cit., pp. 135-137, a p. 136.

[xxiv] Ibidem.

[xxv] H. Bloch, Monte Cassino, cit., pp. 465-468; L. R. Cielo, S. Maria in Cingla, cit., pp. 189-190.

[xxvi] H. Bloch, Monte Cassino, cit., p. 788.

[xxvii] Alessandro Telesino, De rebus gestis Rogerii Siciliae Regis, in G. Del Re, Cronisti e scrittori sincroni, Napoli 1845, III, 13-14, pp. 135-136; Alexandri Telesini Abbatis, Historia Rogerii Regis Sicilie Calabrie atque Apulie, a c. L. De Nava-D. Clementi, Roma 1991, pp. 66-67 (da cui si cita in seguito); L. R. Cielo, Il castello di Alife: la documentazione in età medievale, in stampa.

[xxviii] Alexandri Teleseini, cit., III, 14, p. 67: “Quo facto (cioè presa Alife), postera die ad oppidum Sancti Angeli cognomento Rabicanum suscipiendum tendit; cuius videlicet Ricardus frater eiusdem comitis dominatus fuerat; quique etiam regio, ut iam fatum est, adventu perterritus, dimisso eodem castro in Campaniam aufugerat”.

[xxix] Ibid., III, 16-17, pp. 68-69.

[xxx] Ibid., III, 18, p. 69 (vedi anche il commento storico di Clementi a p. 216).

[xxxi] Ibid., II, 17, p. 31.

[xxxii] Ibid., p. 258.

[xxxiii] Falcone di Benevento, Chronicon Beneventanum. Città e feudi nell’Italia dei Normanni, a c. E. D’Angelo, Firenze 1998 (da cui si cita in seguito), ad annum 1135, p. 174 (vedi pure la traduzione di R. Matarazzo, Napoli 2000).

[xxxiv] Falcone di Benevento, cit., ad annum 1136, p. 176.

[xxxv] Ibid., ad annum 1137, pp. 178-186 e 188-194.

[xxxvi] Ibid., pp. 186-188.

[xxxvii] Ibid., p. 190.

[xxxviii] Ibid., pp. 194-198.

[xxxix] Ibid., p. 206; L. R. Cielo, Il castello di Alife, cit.

[xl] Falcone di Benevento, cit., ad annum 1138, p. 210; L. R. Cielo, Il castello di Alife, cit.

[xli] Falcone di Benevento, cit., ad annum 1139, p. 216; L. R. Cielo, Il castello di Alife, cit.

[xlii] Falcone di Benevento, cit., ad annum 1139, pp. 220-222.

[xliii] Il principato solo nel 1156 vedrà forse Roberto II momentaneamente al potere (G. A. Loud, Church and Society in the Norman Principality of Capua, 1058-1197, Oxford, 1985, pp. 185, 194, 199).

[xliv] Catalogus Baronum. Commentario, a c. E. Cuozzo, Roma, 1984, p. 266.

[xlv] Catalogus Baronum, a cura di E. Jamison, Roma 1972, pp. 170-171; L. R. Cielo, Il castello di Alife, cit.

[xlvi] Catalogus Baronum, cit., p. 178; Catalogus Baronum. Commentario, cit., pp. 281-282.

[xlvii] Per queste vicende cfr. Catalogus Baronum. Commentario, cit., pp. 266-267 con i relativi rimandi bibliografici e Loud, Church, cit. pp. 185 e 187 per attacchi di Andrea al nord del principato di Capua nel 1158.

[xlviii] Amato di Montecassino, Storia de’ Normanni, a c. V. De Barholomeis, Roma 1935, VII, c. 15, p. 307.

[xlix] L. R. Cielo, L’iconografia del cavaliere nella Campania normanna, in XIVe Congrès International, Société Rencesvals, Napoli 24-30 luglio 1997, ed. S. Luongo, 3 voll., Napoli 2001, pp. 51-70; L. R. Cielo, Il castello di Alife, cit.

[l] L. R. Cielo, Il castello di Alife, cit.

[li] L. Santoro, Castelli nell’Italia meridionale, in I Normanni popolo d’Europa 1030-1200, Catalogo della Mostra, Roma 28 gennario-30aprile 1994, a c. M. D’Onofrio, Venezia 1994, pp. 209-213.

[lii] L. R. Cielo, Fondazioni monastiche e incastellamento, cit., pp. 137-138; L. R. Cielo, L’incastellamento nel Matese campano, cit. Vedi anche G. Martone, Rupecanina, Napoli 1981.

[liii] Riccardo di S. Germano, Cronaca, in G. Del Re, Cronisti e scrittori sincroni, cit., ad annum 1220, p. 33; A. Cadei, Introduzione, in Federico e la Sicilia dalla terra alla corona. I, Archeololgia e architettura, Catalogo della mostra a c. C. A. di Stefano-A. Cadei, Palerno 1995, p. 369.

[liv] L. R. Cielo, Il castello di Alife, cit.

[lv] Cfr. J. L. A. Huillard-Bréholles, Historia Diplomatica Friderici secundi, voll. 6, Paris, 1852-61, II, 1, pp. 512-515, VI. I, p. 548.

[lvi] Ignoti Monachi Cisterciensis S. Mariae de Ferraria, Chronica, ed. A. Gaudenzi, Napoli 1888, prefazione, pp. 7-9; F. Scandone, Santa Maria di Ferraria, Napoli 1908, pp. 10-16.

[lvii] Riccardo di S. Germano, cit., ad annum 1229, p. 53; L. R. Cielo, Il castello di Alife, cit.

[lviii] Huillard-Bréholles, cit., III, pp. 215-216. Sulla logica delle operazioni politico-militari, la cui fonte è Riccardo di S. Germano, ad annos 1230-32, v. P. F. Pistilli, Castelli federiciani in Terra di Lavoro: dalla conquista del territorio alla difesa dei confini (1220-1239), in Mezzogiorno-Federico II-Mezzogiorno, Atti del Convegno int. Di Studi, Potenza, Lagopesole, Melfi 1994, Roma 1999, pp. 290-291, che opera un aprima ricostruzione del sistema difensivo di Terra di Lavoro in questi anni. Utilissima la rassegna di M. D’Onofrio, Castra, Palatia, Domus: un bilancio degli studi sull’architettura federiciana, in Convegno int. Di studio “Federico II tra l’VIII centenario della nascita e i settecentocinquant’anni dalla morte”, Lagopesole 14-15 dic. 2000.

[lix] L. R. Cielo, Il castello di Alife, cit., con gli opportuni rimandi alle fonti anche per il controllo della viabilità.