Edifici religiosi dell'alifano

Luigi Di Cosmo

CONSIDERAZIONI SU EDIFICI RELIGIOSI DI ALCUNI VILLAGGI MEDIEVALI DELL’ALIFANO

(in S. Angelo di Ravecanina – Un insediamento medievale nel Sannio Alifano, a cura di L. Di Cosmo, 2001, pp. 111-128)

Il territorio alifano fu interessato sin dall’alto Medioevo da insediamenti monastici. Furono soprattutto i principi longobardi beneventani a favorire la nascita di alcuni di essi. Sono ben noti, infatti, sia da fonti documentarie che da emergenze archeologiche quelli di S. Maria in Cingla (Cielo 1990, 185 e sg.), di S. Salvatore in Piedimonte (Marrocco 1979, 126) e di S. Pietro in Alife (Marrocco 1979, 126; Di Cosmo 1991, 163 e sg.), sorti nel VIII secolo. Inoltre, di recente, in territorio di Ciorlano, a seguito di lavori pubblici sono stati effettuati scavi che hanno messo in evidenza un edificio con abside e torre campanaria, probabilmente da attribuire ad un convento di S. Martino, datato ad epoca alto-medievale (De Caro 1997, 796). Poco si conosce, infine, di un insediamento di S. Stefano, non distante dalla località Quattro Venti, in comune di Raviscanina, di cui restano solo tracce (Caiazza 1995, 114). Siti tutti nella pianura alifana, furono facilmente distrutti dalla furia saracena e solo per S. Maria in Cingla e S. Pietro si hanno notizie anche in epoca normanna (Cielo 1990, 190; Bloch 1986, 145). Al contrario non si hanno fonti documentarie per alcuni edifici religiosi edificati in aree collinari, di cui in questa nota si forniscono alcuni dati preliminari.

Si tratta di chiese ad aula unica, con abside o non, site nei pressi di villaggi abbandonati completamente nel corso del XIII o XIV secolo. I resti di tali edifici sono in qualche caso appena identificabili e, comunque, difficilmente raggiungibili sia per la localizzazione impervia che per la presenza di fitta vegetazione, che a volte ne impedisce una lettura precisa.

Sono presi in considerazione in questa nota, quindi, quei siti che, già localizzati dalla toponomastica e dalla tradizione storiografica, è stato possibile identificare e schedare per essere successivamente oggetto di studi più specifici, anche in previsione di interventi di salvaguardia ove possibile.

S. Angelo d’Alife – Località Sotto il Castello.

A monte della grotta di S. Michele, nota per l’insediamento rupestre di epoca longobarda, sito all’interno della cavità naturale (Festa 1976, 27), erano sicuramente presenti delle abitazioni, come messo in evidenza da sterri occasionali che hanno portato alla luce materiale ceramico prevalentemente dipinto a bande rosse con archi accostati od incrociati, rientranti nella tradizione decorativa del X-XII secolo, e rara protomaiolica della fine del XIII sec. (Di Cosmo 1988, 178). Proprio nella parte più alta dell’abitato, in località Sotto il Castello, ho potuto, di recente, nell’ambito di una ricerca sui siti abbandonati del Medio Volturno constatare la presenza dei resti di un edificio religioso di cui per ora non è possibile trovare notizie nelle fonti, che ricordano solo una ecclesiam Sancti Angeli da identificare con il citato santuario rupestre della grotta (Mancini 1982, 6).

Dell’impianto, quasi sicuramente ad aula unica, resta un muro lungo circa 11 metri, lunghezza corrispondente a quella reale dell’aula, conservatosi per un’altezza di 3 metri e poggiante in alcuni tratti direttamente sulla roccia. Il tratto murario a monte è praticamente ricoperto da terreno declive. Il parametro interno è realizzato con bozze di calcare con qualche scaglia, con scarsa tendenza a conservare una certa linearità orizzontale, che appare occasionale. Frequente è l’uso di laterizi e di cotto grigiastro, mentre rara è la presenza di conti di tufo e di elementi in travertino. Il nucleo è realizzato con malta dura, grigia, e bozze che tendono ad occupare ad incastro tutto lo spessore del muro. La parete, inoltre, doveva essere affrescata interamente a giudicare dai resti di intonaco dipinto che sono visibili per una lunghezza di circa 2,5 metri ed un’altezza di 50 cm. La parte più leggibile (foto 1), estesa per circa 1,20 m, è comunque di difficile interpretazione, evidenziando una serie di lacerti di colori che lasciano pensare ad una teoria di santi o apostoli con vesti che assumono l’aspetto di un tendaggio. La datazione di questo tipo di apparecchio murario è difficoltosa in un’area pedemontana che come materia prima ha sempre avuto a disposizione solo calcare. Una prima ipotesi viene proposta per labili confronti con le aree del Lazio meridionale, che lascerebbero pensare ad un periodo tra la fine del XI ed il XII sec. (Fiorani 1996, 122 e sg.).

S. Angelo d’Alife – Chiesa del borgo fortificato di Ravecanina.

Un edificio di culto, di cui se ne trova solo menzione in uno studio del Martone (Martone 1981, 57), è presente nel borgo abbandonato di Rupecanina, la medievale Rave Canina, Rabicanum, castrum Sancti Angeli, Robbacanina (cfr. Caiazza, infra). L’edificio è sito a monte della porta di accesso orientale della cittadina, abbandonata nel corso del XIV secolo. Attualmente sono visibili parte delle mura perimetrali che, pur se ricoperte di vegetazione fitta, permettono comunque una lettura approssimativa della struttura, che si presenta ad aula unica, lunga circa 12 metri e larga 4,40. Non sono evidenti tracce di un’eventuale abside, pur ipotizzabile, mentre l’ambiente è contiguo ad un piccolo locale di circa m 3 x 4,40 con porta di accesso larga circa m 3,20 e porticina laterale di m 1,10. È possibile che i due ambienti siano stati separati da un muro ad arco di 90 cm di spessore, conservato in parte nell’alzato e realizzato in epoca successiva per la presenza di tracce di intonaco affrescato sulla parete laterale (foto 3 e 4). Inoltre, piccole tracce di affresco sono visibili in più punti dell’edificio, ove si è meglio conservato l’intonaco. Il paramento interno (foto 2) mostra bozze calcaree di dimensioni variabili, in genere medie ed a forma di prisma quadrangolare o rettangolare, tendenti a conservare una certa linearità soprattutto con l’utilizzo di quelle più piccole. L’uso delle bozze di più grandi dimensioni, alternate a quelle più piccole, fa si che ci sia un continuo raccordo con il nucleo centrale, che si presenta realizzato con scaglie o bozze calcaree, miste a cotto di recupero, ammorsate in malta, che vanno a ingranarsi con il paramento esterno, dando vita ad un nucleo definibile a sacco e costipato. Nell’ambiente caratterizzato dall’ingresso ampio sono presenti anche buche pontaie passanti, di forma quasi quadrata. Una lettura precisa di quanto descritto va rinviata ad un prossimo intervento di ripulitura con successivo scavo.

Problematica è anche l’intitolazione dell’edificio. Le Rationes decimarum non chiariscono quali erano le chiese Sancti Angeli in quanto nel 1308-1310 è riportata una Ecclesia Sancti Angeli che dovrebbe essere, vista l’entità della decima, riferita a quella sita all’interno della grotta, e, nel 1325, risultano tassati gli archipresbiteri ed i clerici ecclesiarum castri S. Angeli de Robbacanina (Iguanez et altri, 1942, 149 e sg.). Secondo alcuni è comunque presente nel borgo una chiesa di S. Maria. Nel XV secolo, infatti, si parla di una chiesa Sanctae Mariae vallis, ad indicare che la popolazione era ormai discesa nell’attuale sito di S. Angelo e che nell’abbandonato castrum doveva esserci un edificio dedicato al culto di S. Maria (Marrocco 1979, 122), che, a mio giudizio, è individuabile nell’attuale chiesa di S. Lucia, sita all’interno del castello, e non nel borgo (vedi infra).

Il tipo di muratura con le cautele dovute al fatto che l’uso di bozze calcaree in area appenninica, come già detto, era pressoché una necessità visto l’abbondanza del materiale, potrebbe essere datato al XII secolo. Anche lo studio delle malte non fornisce, per ora, un aiuto chiarificatore (vedi infra Ricci), come pure il materiale presente in superficie, ritrovandosi solo ceramica della fine del XIII secolo. Di questa si presentano due frammenti significativi. Un fondo di ciotola, ad argilla rosa-chiaro, con piede ad anello, è decorato con il motivo della croce potenziata, data in bruno manganese su smalto bianco-grigiastro. Tale motivo sinora non era attestato nell’area ma era noto in tutta la Campania in insediamenti della fine del XIII secolo come quelli di Telese e di Napoli S. Lorenzo (AA. VV. 1984, tavv. CXXXVIIA, LXXVI 1c1) o di Lammia di Benevento (AA. VV. 1984, tav. CXXXVIII, A; Di Cosmo, Villucci 1991, 12 n. 24). Inoltre, nulla di nuovo a quanto già noto apporta un frammento di tesa di ciotola, decorato in bruno e verde su ingubbio e sotto vetrina. Il motivo del reticolo a colori contrapposti tra fasce in verde è già noto a Ravecanina (Di Cosmo 1990, 235 e tav. II, n. 1) ed è datato alla fine del XIII secolo per confronti con materiale di altre aree campane (Fontana 1984, tav. XXXV e 98 e 100; Ventrone Vassallo 1984, tav. LXXXV, n. 270 e 228).

Capriati a Volturno – Chiesa di S. Tomeo.

Della chiesa di S. Tomeo, sita sulle prime pendici del monte Castellone, noto per la presenza di una cinta muraria sannitica sommitale (Caiazza 1990, 38), sono visibili ancora le strutture perimetrali, l’abside e parte del campanile. L’area doveva essere legata al villaggio di S. Johannis de cupellis, toponimo attestato nel 1172 ed ancora oggi rilevabile nei pressi del ponte romano detto Latrone, ove è presente anche una cappella, databile alla fine del VIII sec. (Caiazza 1997, 102; Hodges e altri 1990, 273 e sg.). Appare interessante, quindi, il rapporto dell’edificio religioso con la viabilità che da Venafrum portava ad Allifae sia in epoca romana che medievale. L’edificio, a navata unica, misura m 11 ed è largo m 4,30. Le mura perimetrali hanno spessore variabile tra i 50 ed i 70 cm, mentre il catino absidale, che rivela solo piccole tracce di affresco, è largo m 2,30 e profondo m 1,15. Particolarmente interessane è il campanile di forma rettangolare (foto 5), addossato a muro dell’aula, che si conserva per un’altezza di circa 7 metri ed è realizzato con conci e bozze di calcare, disposti con una certa linearità in orizzontale, legati con malta contenente cocciopesto. Agli angoli sono presenti grossi conci rettangolari, sempre calcarei, provenienti con molta probabilità da edifici della sottostante pianura. Il materiale fittile è usato in modo decorativo, a caratterizzare l’intera costruzione. L’arco della porta di ingresso posteriore è realizzato con laterizi di cm. 20 di lato, spessi 4 cm, disposti radialmente e legati con malta grigia mista a cocciopesto e piccole scaglie calcaree. Al di sopra di questi laterizi è presente una fila di quadrelli in calcare (cm 13 x 12) su cui poi si ha la struttura muraria a linee orizzontali di bozze o conci. Un metro al di sopra dell’arco sono poste tre fila di laterizi, disposti orizzontalmente, della misura di cm 20 x 4. Più in alto, a circa m 1,55 dalle prime, altre quattro fila sempre di laterizi, formano un modulo decorativo particolare. La chiesa, conservata in alcuni tratti per 3 m di altezza, è costruita con bozze calcaree di misura variabile e di media grandezza, disposte a filari, tendenti all’orizzontale, con l’uso di qualche concio più sottile. Sono presenti, inoltre, i fori per le pontaie di cm 18 x 15, che attraversano l’intera parete.

Anche per questo edificio è difficile risalire ad una datazione precisa. Si conosce nelle decime del 1310 una chiesa di S. Thome, data in territorio della vicino Torcino, di cui non si hanno più notizie (Viti 1997, 155). Il materiale ceramico che si rinviene non è invetriato, ma acromo. Si tratta, in genere, di anforette con base piana ed attacco dell’ansa perpendicolare all’orlo appena estroflesso, che potrebbero essere datate al X-XII secolo per confronti con materiale di Capaccio (Maetzke 1984, 147) e di aree vicine come Casteldiruto (Di Cosmo 1995, 263 e sg.) o più lontane, ma caratterizzate da costruzioni simili come Faicchio (Cielo, Di Cosmo in c. s.).

A conclusione di queste prime note si può affermare che è presente anche in questa area, abbandonata nel XIII o XIV secolo, un tipo di tecnica costruttiva legata prevalentemente al materiale calcareo presente nella zona, e che utilizza un tipo di malta con caratteristiche particolari dovute sia ai crudi di dimensioni grosse che alla sabbia, proveniente dal Volturno, nonché agli additivi quali il cocciopesto, presente in alcuni tratti (cfr. Ricci, infra). Sul problema della datazione dell’edificio non ci aiuta molto la ceramica ritrovata né i confronti con tecniche murarie più o meno simili. I confronti del campanile di S. Tomeo con quello della cattedrale di Telese e con quello della chiesa di S. Oliva, a Cori, potrebbero far ipotizzare una datazione al primo XII secolo.

A Cori, nel campanile di S. Oliva, datata a questo periodo, sono tra l’altro presenti, murati, tre bacini ceramici, uno in monocromia verde e due invetriati policromi, che non chiariscono definitivamente la datazione (Mazzucato 1993, 170).

Caratteristica del campanile di Cori è la bicromia tra i filari di peperino e pietra bianca con l’inserimento di marcapiani in cotto. Ancora più complesso appare il discorso sulla particolare tecnica costruttiva del campanile di Telese, anch’esso dell’inizio del XII secolo (Cielo 1978, 90) con il quale si ritrovano in comune l’uso del cotto per realizzare gli archi, i quadrelli disposti sugli stessi e le fila di cotto, disposte orizzontalmente e che si ripetono periodicamente.

S. Angelo d’Alife – Chiesa del castello di Ravecanina.

L’edificio, di cui si conservano l’abside, inglobata in una torre cilindrica della cinta muraria del castello, e le fondamenta delle mura laterali, fu interessata negli anni 60 da una ristrutturazione che rese agibile la parte antistante l’altare. Lunga circa 12 metri, almeno a quanto visibile attualmente, e larga m 5,30, l’aula, unica, presenta un catino absidale largo m 2,40 e profondo m 1,50 circa. I lavori di ristrutturazione, realizzati dall’ing. Martone interessarono la parte antistante l’abside con la costruzione ex novo di una cappella di circa m 4 x 5,30, che attualmente è consacrata al culto di S. Lucia. Di notevole importanza sono gli affreschi che rivestono il catino absidale, conservati solo in parte. Il Martone riferisce che al centro dell’immagine era rappresentata Santa Lucia, mentre ai lati vi erano quattro santi, disposti due per lato, di cui si potevano identificare S. Giovanni Battista e Sant’Andrea (Martone 1981, 55). Allo stato attuale la decorazione centrale è completamente persa mentre si conservano le figure dei due santi laterali, parte del nimbo di altri due e parte della decorazione geometrica dell’area più alta e centrale del catino. In alto, infatti, è presente una fascia in rosso con racemi bianchi, che delimitava, proseguendo anche lateralmente, la scena e che inglobava una serie di elementi geometrici, realizzati con dentellatura a zig-zag, disposti radialmente tra semicirconferenze in rosso (foto 6). Una fascia gialla, campita con motivo vegetale stilizzato, trilobato, ripetentesi alternato a due trattini trasversali, delimitata da puntini bianchi, formava una cornice che riquadrava le immagini dei santi.

Il santo di destra (foto 7), che si conserva sino al di sotto delle braccia ed ha un’aureola gialla, perlinata in bianco e contornata in rosso, presenta un volto allungato, tendente all’ovale, caratterizzato da una capigliatura non lunga, solcata al centro, e da occhi grandi e rossastri sotto sopracciglia marcate, che si prolungano in basso a delimitare il naso. Sulla fronte sono accennate due rughe caratteristiche a V e sulle gote si notano, all’attacco della barba, che è appena accennata, due pomelli rossi. Il vestito, disegnato marcatamente in rosso, scende lungo le spalle, accentuando la sensazione di allungamento della figura. Il drappeggio, inoltre, è ben evidente sul braccio sinistro, che, piegato, regge un libro su cui va a poggiarsi anche la mano destra, caratterizzata da dita molto lunghe.

Il santo di sinistra (foto 8), che si nota sullo sfondo blu della scena, contornato sempre dalla stessa cornice a fascia gialla, campita con motivo stilizzato vegetale, si conserva sino alle ginocchia. Il volto, incastonato nel nimbo giallo e contornato da una linea in rosso, perlinata in bianco, ha capelli solcati al centro ed aspetto leggermente allungato. Sugli occhi rossastri le sopracciglia sono realizzate con linea marcata in rosso, che si prolunga in basso a descrivere il naso. Sulle gote sono presenti due pomelli in rosso, che sovrastano baffi tondeggianti e al di sotto del mento è visibile, data sempre in rosso, un’ombra a mezzaluna posta poco sopra la veste gialla. Questa è ricoperta dal lato sinistro da un manto rosso, ben disegnato nel drappeggio con un ispessimento del colore. La mano sinistra sorregge un libro su cui si nota un rombo crociato, mentre la destra è in atteggiamento benedicente, con pollice, mignolo ed anulare chiusi.

Al di sotto dell’intonaco caduto, inoltre, è presente una decorazione più antica ormai non più leggibile.

Alcune considerazioni su questi affreschi portano a confronti con elementi decorativi presenti in area campano-laziale. La decorazione centrale, geometrica, posta nella parte alta del catino absidale, ricorda quella presente nell’abside di S. Maria di Pontepiano sul Clanio (Carotti 1974, 53, nota 35 e fig. 100) che è datata genericamente al XII secolo. Fasce a zig-zag sono visibili anche all’interno del cerchio presente nella scena dell’Ascensione della grotta delle Formelle a Calvi Vecchia (Carotti 1974, 65). Inoltre, nella grotta di S. Michele di Gualana, a Fasani di Sessa Aurunca, la decorazione geometrica della parte alta del catino, datata alla seconda metà del XII secolo (Villucci 1986, fig. 4), termina con lo stesso motivo. Anche il motivo vegetale stilizzato è attestato sia nella stessa grotta, ove si presenta nella fascia della cornice (Villucci 1986, 7) che nella grotta di Calvi (Carotti 1974, foto 80 e 26). I confronti per i racemi ricordano gli affreschi di S. Maria del Piano di Ausonia (Mathis 2000, 54) databili intorno al 1100, ed il decoro della veste del Cristo benedicente, presente nella chiesa di Sant’Angelo in Asprano, a Caprile di Roccasecca (Mathis 2000, 80) datato alla metà del XII secolo. Inoltre, per quanto riguarda i volti dei santi essi vanno inquadrati nella cultura bizantino-cassinese e possono essere confrontati anche per il cromatismo con quelli citati di S. Angelo in Asprano (Mathis 2000, 76). Gli stessi sono attribuibili alla cultura desideriana, presente, tra l’altro, anche negli affreschi della grotta delle Fornelle a Calvi Vecchia, che in alcune scene della prima metà del XII secolo ha stretti rapporti con quelli di S. Angelo in Formis (Carotti 1974, 69). Infine, è da notare che affreschi datati ai primissimi anni del XIII secolo, come quelli della Cappella di S. Anna della Chiesa del Crocefisso di Cassino, ancora presentano nella sommità della calotta il motivo geometrico, simboleggiante la volta celeste (Mathis 2000, 127 e sg.), e che in quelli della Chiesa di S. Antonio Abate in Castelnuovo Parano, sempre della stessa epoca, sono presenti vesti con drappeggio realizzato ancora con l’accentuazione del rosso (Mathis 2000, 91).

Dai confronti presentati ed in attesa di indagini archeologiche che chiariscano le fasi costruttive dell’edificio, sembra possibile inquadrare nell’ambito della seconda parte del XII secolo e non oltre i primissimi anni del XIII gli affreschi della chiesa di Rupecanina, ossia ad un periodo ricostruttivo dell’area, successivo alle probabili devastazioni del quarto decennio, dovute alle guerre contro Ruggero II (De Sisto 1988, 89), come evidenziato anche dalla presenza di tracce di intonaco sottostante, dipinto. Per la perdita di gran parte dell’affresco, comunque, ci sono evidenti difficoltà per capire se realmente vi era presente l’immagine di S. Lucia, come riferito dal Martone (Martone 1981, 55). Più probabile sembra che al centro potesse essere presente un’immagine della Vergine, anche in considerazione di quanto riportato in un manoscritto settecentesco in cui si afferma che all’interno del castello vi era la chiesa di S. Maria, iuspatronato del barone Grimaldi (Di Cosmo, in c.s.), eliminando anche i dubbi di localizzazione della stessa.

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