Dalena_Da via Latina a via Francigena

Da via Latina a via Francigena

(Tratto da Pietro Dalena,Vie di pellegrinaggio nel Sud Italia verso Gerusalemme nel medioevo, 2008, pp. 5-7)

La via Latina, chiamata comunemente Casilina dal IX secolo, partiva dall’omonima porta delle mura aureliane, per proseguire verso i colli Albani da dove si diramava in percorsi minori che raggiungevano i centri latini, il basso Lazio e la Campania.

In particolare la via Prenestina, che nel tardo medioevo sarà denominata “Francigena”, e la Labicana furono i prevalenti percorsi di adduzione alla Latina.

Secondo l’Itinerarium Provinciarum la via Latina incontrava la via Labicana a circa 25 miglia da Roma, presso la mansio ad Pictas (bivio di Grotta Mamosa), mentre la Tabula Peutingeriana sposta tale snodo leggermente più a sud, presso Valmontone (mansio ad Birum). Di qui, attraversati i territori di Anagni, Ferentino, Frosinone, Aquino, Cassino, Rufrae, Teano e attraversato il ponte di Casilino la via Latina giungeva a Capua. In età tardoantica il quadro viario del basso Lazio si arricchì di nuove strade come la via voluta da Massenzio lungo il Liri, da Sora a Fregellano, e quelle per Segni, Alatri e Arce, ricordate dall’Anonimo di Ravenna e da Guidone tra le strade che si allacciavano alla Latina formando un andamento a spina di pesce.

Dalla via Latina/Casilina, pertanto, si diramava una serie di itinerari trasversali che la collegavano ad alcuni abitati interni e alla via Appia.

Nell’alto medioevo, anche a causa della guerra greco-gotica, subì numerosi danneggiamenti che in alcuni tratti le fecero perdere la funzionalità, come da Roma ad Anagni, sostituita dalla via Labicana; tuttavia rimase l’arteria preferita dagli eserciti che dal Sannio raggiungevano rapidamente Roma per la scorrevolezza del fondo stradale e per la linearità del tracciato che evitava le paludi Pontine.

La ricostruzione del santuario cassinese da parte dell’abate Petronace alimentava lungo questa via un consistente movimento di pellegrini, che, tra l’altro, vi potevano trovare ospitalità, assistenza e sicurezza, garantita, quest’ultima, dalle autorità longobarde come ricorda l’epitaffio della regina Ansa, moglie di Desiderio, che poteva vantarla tra le sue benemerenze.

La direttrice Latina dall’VIII secolo fu preferita all’Appia proprio per la presenza lungh’essa del ricostruito santuario cassinese e di un maggior numero di luoghi attrezzati per l’assistenza e il ricovero dei pellegrini. Nel 717 per incarico di Gregorio, il pellegrino di Brescia Petronace, con l’aiuto dei monaci di San Vincenzo al Volturno e con il contributo dei beneventani Paldone, Tasone e Tatone “potentes et divites”, vi ricostruì il monastero cassinese “unicum egenorum solatium, peregrinorum et necessitatem habentium portum” che per tutto l’alto medioevo fu l’unico ospizio monastico del pellegrinaggio in itinere lungo la Latina. L’importanza del santuario per la via Latina non sfuggirà a Guidone che, intorno al 1119, ne esalta la funzione legata ai miracoli del santo: “Cassinum, in quo est monasterium sancti Benedicti, in quo idem vir sanctus omnibus miraculis effulsit”.

Nei secoli successivi si continuò ad utilizzare questo percorso, entrato via via nella tradizione come “Francigeno”. Lo dimostra anche l’itinerario in Terrasanta del nobile Dauferio nell’817 e, in particolare, quello del monaco Bernardo, ricco di dettagli topografici, compiuto tra l’867 e l’870, con due confratelli, Teodemondo del monastero di San Vincenzo al Volturno e Stefano, spagnolo, attraverso il Mezzogiorno longobardo e arabo in cui il passaggio dei pellegrini era tutelato da un dispositivo della divisio ducatus Beneventani dell’849.

Si tratta della comoda via alternativa per raggiungere Benevento rappresentata dall’itinerario VenafroAlife-Telese-Benevento.

Il percorso di questa strada è ben noto sin dal XVIII secolo quando il Trutta ne indicò il tracciato sulla scorta dell’osservazione di tratti basolati, ponti romani e edifici funerari.

Giunti a Venafro dalla statio ad Flexum o seguendo la via Francisca nei pressi di Mignano, si arrivava a Torcino nei pressi del Ponte Reale fatto costruire nel XVIII secolo da Carlo III di Borbone. Qui i resti di un ponte romano, ancora ben visibili nel XVIII secolo, costituivano l’antico attraversamento del Volturno. Il tracciato proseguiva al di sotto del borgo medievale di Mastrati, oggi detto Torre Umberto; e, passando sotto la Rocca Vecchia di Pratella (CE), la strada giungeva nel territorio di Ailano (CE) nei pressi dell’abbazia cassinese di Santa Maria in Cingla. La strada, seguendo il corso del Volturno, continuava per Santo Stefano dove incrociava la già ricordata via proveniente da Teano. In quest’area si notano i resti di un complesso religioso altomedievale, forse un battistero, e iscrizioni pertinenti ad edifici funerari romani. Proseguendo verso Alife, resti della strada basolata romana sono ancora visibili in una via interpoderale che fiancheggia l’attuale strada statale. Di qui il tracciato della via romana è scandito nel suo percorso fino ad Alife da altre emergenze monumentali, quali un criptoportico nei pressi del bivio per Sant’Angelo e il monumentale mausoleo detto il Torrione.

Da questo punto fino alla Masseria Sansone il tracciato della via romana sembra coincidere con l’odierna statale per poi staccarsene, continuando lungo la via che passa sotto il santuario della Madonna delle Grazie, edificato in età medievale, sovrapponendosi alle strutture di un edificio funerario romano.

Sorpassata la Madonna delle Grazie, la via antica piegava verso sud e si dirigeva verso la porta occidentale di Alife. Attraversata la città e oltrepassata la porta orientale e il torrente Torano, la strada continuava fino al territorio di Telesia. Lacerti basolati di questa via erano ancora visibili nel XVIII secolo in località S. Simeone, oggi Masseria San Simeone, “quasi a riva del Volturno”. Pochi km ad est, nei pressi della confluenza del Titerno nel Volturno si scorgono pochi resti di un altro ponte romano, il cosiddetto Ponte Iaco, nel comune di Faicchio.

Superato il Titerno la strada costeggiava ancora il Volturno fino a Torre Vecchia Marafi e da qui raggiungeva Benevento seguendo il corso del fiume Calore.

Da Benevento, seguendo la direttrice Traiana, anche questa più tardi nota come strada “Francisca”, i pellegrini Bernardo, Teodemaro e Stefano pervennero prima alla grotta di San Michele sul Gargano, poi a Bari “civitas Sarracenorum” e, infine, attraverso la Via per compendium, a Taranto, dove s’imbarcarono alla volta di Alessandria per raggiungere la Terrasanta. Al ritorno da Gerusalemme, dopo sessanta giorni di navigazione difficile, i pellegrini, sbarcati sulle coste salernitane, raggiunsero il Mons Aureus, ad Olevano sul Tusciano, dove si trovava la grotta dell’Angelo. Il cammino sino a Roma venne effettuato lungo la direttrice Latina, che, man mano che si allontanava dai territori longobardi, difesi dai principi locali, diveniva sempre più pericolosa: “sunt ibi homines mali, fures et latrones et ideo non possunt homines, ad Sanctum Petrum ire volentes, per eam transire, nisi sunt plurimi et armati”.

Ma se nella consuetudine dei pellegrinaggi ormai si andava consolidando la preferenza per questo itinerario, nei documenti che ricordano questi pellegrinaggi altomedievali non ricorre mai la parola “Francigena”, “Francesca” o “Francisca”. Le prime citazioni si hanno solo a partire dalla seconda metà del X secolo in tre placiti vulturnensi, ricordati per la prima volta da Nicola Cilento, in un saggio del 1966 sull’origine della signoria capuana, il quale scrive che la “via francisca”, che dominava la contea capuana, era “l’unica via di accesso in Campania (…) e si apriva in due grandi strade verso Capua e verso Benevento”.

I pellegrini, diretti a Monte Sant’Angelo o ai porti pugliesi, dopo San Germano, ormai percorrevano una bretella ricordata in tre placiti vulturnensi del 936, del 954 e del 986 come Via Francisca e in un placito del 955 come Via Silice. Essa, staccatasi dalla via Latina in prossimità di Teano, attraverso il Pons Marmoreus per le terre di San Benedetto e di San Vincenzo al Volturno si collegava alla Traiana poco oltre Benevento. L’itinerario non doveva essere sconosciuto all’Anonimo che ne indica alcune tappe lungo un tracciato di sessanta miglia: “Theano, Alifas, Telesia, Benevento”. La direttrice Latina, che nel medioevo (dal VII sec.) riprese quella funzione di naturale collegamento che l’Appia non era più in grado di assicurare, divenne sempre più strata Francorum come si ricorda in una donazione del 1094 di Bernardo vescovo di Teano all’abate Guarino di Aversa in cui figura una “ecclesia S. Iohannis de strata Francorum de Minnano”.

E una via Francigena viene richiamata nel Privilegium Baiulorum Imperialium con cui, nel gennaio 1024, Basilio Bojoannes ampliò il territorio di Troia. In realtà il toponimo Via Francigena o Francesca sostituisce o si sovrappone, sicuramente dai primi anni dell’XI secolo, a quello della Traiana da Troia a Canosa, come dimostrano alcune chartae del monastero di Banzi della fine dell’XI secolo, per cui una “strata Francesca” conduceva alla “via Canusina”.