Giovanni Papini

Storia di Cristo, IV edizione, 1923, pp. 480-484

LXXXV

LAMMA SABACTANI

Molti, intimoriti dal calare di quella tenebra misteriosa, fuggirono dal luogo del Teschio e tornarono a casa ammutoliti. Ma non tutti, l’aria era calma; ancora non pioveva e nell'ombra si vedevan sempre biancheggiare i tre pallidi corpi pendenti. Volevano satollarsi fin all'ultimo di quell'agonia: perché disertare il teatro prima che il dramma sia concluso coll'ultimo grido?

E i rimasti tendevano gli orecchi nel buio per udire se l'abbominato protagonista intramezzasse di qualche parola il rantolo gemente.

I patimenti del Crocifisso erano ad ogni minuto più grandi. D suo corpo, di tempra già delicata per natura, spossato dalla tensione degli ultimi tempi, sconvolto dalla battaglia dell'ultima notte, estenuato dagli spasimi dell'ultime ore, non reggeva più. E lo spirito soffriva anche più del corpo straziato che ancora per poco lo carcerava. Gli sembrava che l'avessero lasciato per sempre e la sua anima di fanciullo divino era invecchiata ad un tratto d'una vecchiezza senza memoria. Tutti eran lontani da lui: i compagni degli anni felici, i confidenti della sua tenerezza, i poveri che lo guardavano con amore, i bambini che porgevano la testa alle sue carezze, i guariti che, non riuscivano a staccarsi dai suoi passi i discepoli ai quali aveva rifatto un'anima nuova. Vicino a lui non c'era che una frotta di cannibali spiritati che aspettavano, subsannando, la sua morte.

Solamente le Donne non l'avevano abbandonato, in disparte, lontane dalla Croce, per paura degli uomini urlanti, Maria, sua madre, Maria Maddalena, Maria di Cleofa, Salomè madre di Giovanni e d'Jacopo — e forse anche Giovanna di Cusa e Marta — assistevano, atterrite, alla sua fine. Ebbe ancora la forza di affidare a Giovanni l'eredità più cara e sacra che lasciava sulla terra: la Vergine Dolorosa. Ma dopo, attraverso il velo del pianto, non vide più nessuno e sembrò solo nella morte, com'era stato solo nei momenti più solenni della sua vita. Dov'era quel Padre propenso e benevolo al quale egli parlava colla certezza della risposta e dell'aiuto? Perché non lo soccorreva porgendogli un segno della sua presenza, o facendogli almeno la grazia di chiamarlo a sé senza crudeli ritardi?

E allora s'udirono, nell'aria fosca, nel silenzio del buio, queste parole: — Elì, Elì, lammà sabactani? Signore, Signore, perché mi hai abbandonato?

Era il primo verso d'un salmo che aveva ripetuto a sé stesso infinite volte, perché ci ritrovava tanti presagi della sua vita e della sua morte. Non aveva più la forza di gridarlo tutto, come nel Deserto, ma nel suo spirito turbato tornavano ad ana ad una le invocazioni dolenti. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Perché stai lontano senz'aiutarmi, senza ascoltare il mio gemito ?.... In te confidavano i nostri padri; confidavano e tu li salvavi gridavano a te ed eran liberati.... Ma io sono un verme e non un uomo: il vituperio della gente, lo spregiato del popolo. Chi mi vede si fa beffe di me, storce la bocca, crolla il capo dicendo; si raccomandi all'Eterno! l'Eterno lo libererà, lo salverà, giacché l'ama! Sì, sei tu che m'hai tratto dal seno di mia madre, e m'hai fatto riposare in pace sul petto materno. Non t'allontanare da me che l'angoscia è vicina e non c'è chi m'aiuta! Molti tori m'attorniano, spalancano la bocca contro di me, come leone che sbrana, che rugge. Io son com'acqua che si diffonde; tutte le mie ossa si slogano; il mio cuore è come cera; si squaglia in mezzo alle mie viscere. La mia forza s' inaridisce come l'argilla, la lingua s'attacca al palato; tu mi distendi nella polvere della morte. Poiché de' cani mi accerchiano; una caterva di scellerati mi si serra addosso m' han traforato mani e piedi. Essi guardano, mi stanno osservando; spartiscon tra loro i miei panni e tiran la mia tunica a sorte. Ma tu, Eterno, non te ne stare lontano; tu, che sei la mia forza, vienmi presto in aiuto!

Le supplicazioni di questo salmo profetico, che rammentano così davvicino l'Uomo di Dolori d'Isaia, rimontano dal cuore ferito del Crocifisso come l'ultimo rigurgito della sua umanità agonizzante.

Ma certe bestie più prossime alla croce credettero che chiamasse Elia, il profeta sempre vivente, che nella immaginazione popolare era collegato coll'apparir del Cristo.

— Costui chiama Elia.

In quel momento un de' soldati prese una spugna, la inzuppò d'aceto, la infilò in cima a una canna e l'accostò ai labbri di Gesù.

Ma i Giudei dicevano : — Lascia stare, vediamo se Elia viene a tirarlo giù.

Il legionario, che non vuol noie, posa la canna. Ma dopo un po' di tempo — e il tempo sembra infinito e fermo, in quel buio, in quell'attesa, in quella sospensione penosa di tutu — si udì dall'alto la voce ormai lontana di Cnsto:

— Ho sete.

Il soldato riprese la spugna, la tuffò un'altra volta nella sua borraccia piena di posca — la mistura d'acqua e d'aceto dei soldati romani — e di nuovo la porse all'arida bocca che aveva pregato il perdono anche per lui. E Gesù, appena v'ebbe accostati i labbri, esclamò :

— Tutto è consumato.

L'eterno dissetatore che spense tante volte a sete altrui e lascia nel mondo una fonte di vita che non si asciugherà mai — dove gli affaticati trovan la forza, i putrefatti la giovinezza, gl'inquieti la pace — ha sofferto, sempre, d'una insoddisfatta sete d'amore. E anche ora, nell'arsura struggente della febbre, non ha sete d'acqua ma d'una parola di misericordia che rompa l'oppressione della sconsolata solitudine. Il Romano gli dà, invece dell'acqua pura dei torrenti galilei, invece del vino cordiale dell'ultima cena, un po' della sua agra bevanda ma l'atto pronto e benigno di quell'oscuro schiavo l'avverte, benché brancolante nell'abbuiamento della morte, che un cuore ha sentito pietà del suo cuore.

Se uno straniero che non ha mai visto prima di oggi ha fatto qualcosa, sia pure una tanto piccola cosa, per compassione di lui, è segno che il Padre non l'ha abbandonato. Il cahce è al fondo: tutta l'amarezza è consumata. Ricomincia, colla fine, l'eternità. E raccogliendo l'ultima forza grida con gran voce nel buio:

— Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio!

E Gesù, dopo aver di nuovo gridato con gran voce, chinato il capo, rese lo spirito. Quell'alto grido, cosi potente che riuscì a liberare l'anima della carne, nutrono nelle tenebre e si perse negli spazi della terra. A quel grido, racconta Matteo, «la cortina del Tempio si squarciò in due, da cima a fondo, e la terra tremò e le rocce si schiantarono e i sepolcri s'aprirono e i corpi di molti santi che dormivano nel sonno della morte risuscitarono e usciti dai sepolcri apparvero a molti». Ma i cuori degli spettatori furon più duri delle roccie: questi morti, che avevan l'apparenza di vita, non risuscitarono al supremo appello.

Quasi millenovecent'anni son passati dal giorno che tu gridato quel grido e gli uomini hanno centuplicato i fragori della loro vita per non sentirlo più. Ma nella bruma e nel fumo delle nostre città, nel buio sempre più profondo dove gli uomini accendono i fuochi della loro miseria, quel grido disperato di gioia e di liberazione, quel grido infinito che eternamente chiama ognuno di noi, rintrona ancora nell'anima di chi non ha saputo dimenticare.

Cristo è morto. È morto sulla croce come gli uomini hanno voluto, come il Figlio ha scelto e il Padre accettò. L'agonia è finita e i Giudei son contentati. Ha espiato fin all'ultimo ed è morto Ora comincia la nostra espiazione — e non è ancora finita.