Hesemann_la lotta contro la morte sulla croce

Michael Hesemann

TITVLVS CRUCIS - La scoperta dell'iscrizione posta sulla croce di Gesù

1999, pp. 129-133 della traduzione dal tedesco di O. Pastorelli



La lotta contro la morte sulla croce

Per quanto dolorosi fossero l’inchiodamento al patibulum e il sollevamento al palo della croce, la vera e propria lotta contro la morte iniziava solo più tardi. Di solito la morte in croce avveniva per soffocamento, un declino doloroso tra i tormenti della sete, un violento mal di testa e la febbre alta. Le ferite profonde e la copiosa perdita di sangue dovute alla flagellazione causavano stati di shock e collassi circolatori. Sotto il peso del corpo le membra minacciavano di squartarsi. La posizione del corpo appeso comportava difficoltà respiratorie che costringevano continuamente la persona crocifissa a sollevarsi verso l’alto tra indicibili dolori o, come nel caso di Gesù, a fare leva tra incredibili sofferenze con l’intero peso corporeo sul chiodo che trapassava i piedi. La lotta contro la morte consisteva in un alterno sollevarsi per poi lasciarsi andare, nell’atto di inspirare aria cui seguivano difficoltà respiratoria. Ma ben presto venivano meno le forze. A un’ora dalla crocifissione, i movimenti si facevano sempre più frequenti, ma contemporaneamente anche più deboli. Iniziava il processo di progressivo e definitivo soffocamento. La gabbia toracica si gonfiava fino all’estremo limite, l’epigastrio si infossava in profondità, le gambe si irrigidivano. La pelle si faceva violacea, il sudore erompeva in sovrabbondanza da tutto il corpo, si mischiava al sangue e colava fino a terra. Scrive Seneca a proposito di questa morte lenta e straziante sulla croce: «C’è forse un uomo che voglia perire membro dopo membro tra i dolori e perdere la vita goccia a goccia, invece di esalarla tutta in un soffio solo? C’è un uomo che voglia essere inchiodato a quell’infelice legno del martirio per poi, da tempo indebolito, già deformato, tumefatto a causa delle orribili strie sanguinanti sulle spalle e sul torace, tendersi, nonostante i tormenti che ciò comporta, per attingere l’alito della vita? Avrebbe molti motivi per morire prima di salire in croce» (Seneca, Ad Lucilium, Ep. 101, 13s). Dopo la morte il corpo mostrava una straordinaria rigidità.

Il capo era reclinato in avanti lungo l’asse del corpo. «Un uomo crocifisso, appeso per le braccia orribilmente divaricate, il capo insaccato tra le spalle, privo di coscienza, un’immagine terribile», così Seneca descriveva la vista del condannato ormai cadavere. (Cit. da M. G. Siliato, op. cit., p. 308). A seconda del tipo di crocifissione -con chiodi o con corde-, la morte subentrava dopo alcune ore oppure solo dopo un giorno. Il supplizio poteva essere ulteriormente prolungato collocando un picccolo sostegno sotto i piedi del condannato o sotto il bacino (rispettivamente il suppedaneum o il sedile) che lo sorreggesse. Il Padre della Chiesa Origene (185-254) descrive Crocifissi che, «tra le più atroci sofferenza vivono l’intera notte e poi ancora l’intero giorno successivo» (Cit. da E. Gruber-H. Kersten, Jesus starb nicht…, cit. p. 57). L’apostolo Andrea, crocifisso con corde, si dice abbia resistito sulla croce addirittura per due giorni. Quanto diversa potesse essere la resistenza individuale ai tormenti della crocifissione -che variava a seconda della costituzione fisica- lo veniamo a sapere dal resoconto di Giuseppe Flavio dell’anno 70. Di ritorno da un viaggio esplorativo per conto del condottiero romano Tito, «vidi molti prigionieri crocifissi e in tre di loro riconobbi dei miei ex compagni. Dentro di me ero molto triste e con le lacrime agli occhi mi recai da Tito e gli raccontai di loro. Questi diede dunque subito l’ordine di deporli dalla croce e di trattarli con la massima cura in modo che potessero ristabilirsi. Due di loro morirono comunque tra le mani del medico, mentre il terzo si riprese» (Giuseppe Flavio, Autobiografia, IV, 75). In ogni caso Pilato fu sorpreso di udire che, a tre ore dalla crocifissione, Gesù era già morto (Mc 15, 44). Gli altri due condannati, che erano sti solo legati alla croce, in quel momento erano ancora vivi. Poiché l’esecuzione doveva concludersi prima del tramonto, furono loro spezzate le gambe in modo che morissero soffocati tra i tormenti. La loro sofferenza ebbe così fine.

Diversi patologi hanno indagato con esperimenti medici gli effetti sul corpo umano della crocifissione. Così all’inizio del XX secolo il patologo francese Pierre Barbet inchiodò a una croce dei cadaveri nell’aula di anatomia e li osservò: il corpo appeso alla croce si allungava gradualmente e sprofondava di alcuni centimetri, la cassa toracica si espandeva, il capo reclinava in avanti, le braccia si tendevano, le ginocchia si piegavano sempre più, ma i chiodi trattenevano il peso e il cadavere rimaneva sulla croce.