Val Mengasca
Chiavenna e valli
Chiavenna e valli
foto: Alpe Casone
La Mengasca, più che una valle, è un’enorme forra: tributaria destra del Mera, raccoglie le acque che dal tranquillo bacino dell’Alpe Manco scivolano svelte nel solco principale della valle, una fonda gola dalle pareti dirupate e solcate da precipiti canali (caurghe).
Gli alpeggi (Santa Teresa, Sambusina, Borlasca) sorsero lungo le dorsali di displuvio, unici luoghi dove era possibile condurre il bestiame al pascolo, mentre nella stagione estiva si caricava l’ampia conca dell’Alpe Manco in favorevole posizione sulla testata della valle. Pochi gli alpi lungo fianchi della valle, costretti a sfruttare i rari e piccoli dossi erbosi e caricati perlopiù con greggi ovini e caprini.
In un ambiente così poco favorevole alla pastorizia furono i boscaioli a colonizzare gli erti pendii ricchi di conifere: con il faticoso lavoro della flottazione prima (pericolosamente eseguito col terreno gelato per contenere i danni agli argini), con fili a sbalzo e teleferiche dopo, la Mengasca fu ampiamente sfruttata come bacino per il legname d’opera perlopiù destinato a Milano, seguendo il destino comune a numerose foreste dell’arco alpino nord-occidentale. I sentieri lungo i ripidissimi pendii della valle, quindi, non bisognando di opere per facilitare il passaggio del bestiame furono realizzati col minimo dispendio di fatiche: niente passerelle, cenge artificiali o trincee, ma esili tracce, effimere cenge, rampe erbose erte e scivolose. Non è un caso che questa valle divenne, negli anni della Resistenza, rifugio di partigiani e disertori che sfruttarono le numerose grotte ben celate nei pericolosi anfratti di canaloni e pareti.
L’abbandono delle opere forestali, risalente alla metà del secolo scorso, ha fatto cadere nell’oblio gli antichi sentieri che solo in parte, oggi, vengono usati e mantenuti dai cacciatori e dai pochi pastori di capre rimasti. E’ quindi un territorio dove la riscoperta degli antichi percorsi riserva affascinanti sorprese ma richiede molta attenzione ed esperienza su questo tipo di terreni.
Accesso stradale
Presso il municipio di Era si acquista alla biglietteria automatica il permesso di transito per le strade silvopastorali.
Per il versante sinistro idrografico: da San Pietro quindi ci si alza a Ronscione, da dove si prende la strada che si alza alle spalle del paese. Ad un successivo bivio si lascia a destra la strada in costruzione di Borlasca per proseguire verso sinistra sino ad un comodo slargo nei pressi di una curva (510m ca), poco prima del termine della strada. Il fondo ha tratti fortemente sconnessi.
Per il versante destro idrografico: da San Pietro si segue la stretta strada asfaltata che in breve conduce a Monastero
Interessante ed affascinante percorso che segue quella che lungamente fu la strada maestra di questo versante della Mengasca: di non immediata individuazione nella parte iniziale, il sentiero diviene presto definito e conserva numerose opere artificiali (gradini, terrapieni e cenge) che conducono sino alla dolce e rilassante spianata dell'Alpe Casone. Il tratto più suggestivo è la lunga e vertiginosa cengia che taglia la Paré, una parete rocciosa che precipita nella Valle della Belòta: resa agevole con gradini e muretti di pietre (presenti ancora antichi fittoni in ferro),la cengia richiede comunque attenzione per la forte esposizione e per la presenza di alcuni tratti delicati.
Dal termine della strada (510m ca) si prende la traccia che sale nel bosco verso W. Ci si alza parallelamente ad una valletta con gabbioni di consolidamento sin verso quota 650m ca, dove la traccia torna diviene più evidente e piega a sinistra (S) e raggiunge le baite di Caurghetto (710m, Caürghiét); il sentiero prosegue in piano e raggiunge la Valle del Pozzolo (Val dal Puzöo), sconvolta da uno scoscendimento di blocchi: la si supera e si recupera la traccia che lungo una caratteristica cengia su di una placca (Val del Bul) permette di uscire dalla Valle del Pozzolo e conduce ad un successivo piccolo riale (Valle del Salto) che si supera sfruttando la roccia gradinata nel suo alveo; si raggiunge così un castagneto che si rimonta con alcuni risvolti, fin dove alcuni gradini portano verso sinistra a compiere un bel traverso (800m ca) raggiungendo l'isolato e grosso rudere del Dosso dei Roveri (Dòs di Ròar, 840m ca).
Il sentiero prosegue in salita e conduce alla vasta e fonda gola della Valle della Belòta: ci si addentra nel fianco sinistro idrografico della forra sino ad alcuni gradini che danno accesso alla lunga e sorprendente cengia (950m ca) che taglia una precipite parete (Paré); al termine della cengia ci si alza di pochi metri e superata una piccola valletta (tratto delicato ed esposto) il sentiero torna facile e scavalcata un ultima dorsale boscosa (Belòta) raggiunge il pianoro dell'Alpe Casone (1068m, Casòom – 1.30h).
novembre 2016
Interessante percorso riservato ad esperti di ambienti difficili.
La Baita dal Frato (erroneamente Baita Fontana su Ctr) è in buone condizioni e dalle Alpi Cròsc è servita da un interessante sentiero, utilizzato e mantenuto, che risolve una balza rocciosa con un breve tratto ben attrezzato che richiede comunque attenzione (T4+).
Dalla Baita dal Frato il percorso diviene più impegnativo e, restando più alto del sentiero indicato sulla Igm 1914, traversa i dirupatissimi fianchi della Val del Crot di Milanées (ramo settentrionale della Val dal Caürgh), superando una paretina rocciosa verticale lungo un'effimera cengia: malamente attrezzata con vecchi tondini in ferro (non del tutto affidabili), porta a compiere un esposto traverso con passi di II°. L'orientamento non è semplice: occorre seguire scrupolosamente i vecchi tagli, che però scompaiono in corrispondenza dell'attraversamento del torrente della Val del Crot di Milanées
Da Monastero (414m) seguendo le indicazioni si raggiunge, su ampia mulattiera, il panoramico nucleo di Santa Teresa (965m – 1.15h). Si prosegue lungo la mulattiera ben indicata toccando Sambusina (1180m) da cui prende avvio il lungo traverso che entra nella destra idrografica della valle. Superata la Val Salina con una bella scalinata (Schiàla Granda) si giunge all’ampio pianoro dell’Alpe Cròsc (2h): i segnavia portano quindi a superare il ramo principale del Mengasca (Val Granda) presso un tratto pianeggiante (La Bòla, 1200m ca).
Subito dopo il guado si abbandona il sentiero segnato per seguire una traccia in piano che conduce verso N: in breve si raggiunge la sommità di una balza: dei cavi e dei pioli in ferro consentono di abbassarsi per una ventina di metri, dove una scala in legno permette infine di raggiungere il piede della balza. Si prosegue lambendo la base della fascia rocciosa, e superata una pietraia si entra nell’ampio vallone di Tendrüm (Valle dell’Inferno). Lo si guada senza difficoltà (1200m ca) e per traccia poco evidente ci si alza sul versante opposto, sempre verso N, traversando sino al torrente della Valle della Baita dal Frato che si attraversa a monte di una serie di cascate (1250m ca); la traccia prosegue dapprima in lieve discesa in una radura, quindi in quota traversa, sempre verso N, e giunge al rustico riattato della Baita dal Frato (1234m).
Si prosegue verso N, seguendo una traccia (roncolate) e, superata la Val dal Caürgh si giunge al torrente della Val del Crot di Milanées: senza più tracce lo si attraversa nell’unico punto possibile (1150m ca), a monte di una lunga placconata con cascata, portandosi sulla sinistra idrografica. In lieve discesa si traversa lungo una larga cengia di erba e piante, dove ricompaiono le roncolate: si prosegue senza perdere più quota, e raggiunti i resti di una balma (muro a secco) si scavalca una nervatura rocciosa con una breve cengia che conduce ad uno stretto canale di pietrame (1100m ca). Lo si risale di pochi metri, individuando sulla destra (sinistra orografica) alcuni tondini in ferro ed un gradino che proseguono nella parete: li si segue (II, molto esposto) e dopo alcuni metri di traverso ci si alza ripidamente di pochi passi per uscire verso destra (E) sul bordo di un pendio boscoso, per il quale, senza più difficoltà, si raggiunge l’Alpe Casone (1068m – 4h).
Marzo 2017
L'erto fianco boscoso che da Sambusina scende verso settentrione è inciso da ripide forre che scivolano decise nella gola del Mengasca descrivendo una serie di costole: i Dòs de Sambusina. Da tempo immemore sfruttati per il legname, i Dòs sono da decenni abbandonati ed oggi le conifere vi proliferano indisturbate. Un antico sentiero vi si addentrava da Santa Teresa e rimanendo in quota percorreva integralmente i Dòs, da cui scendeva all'Infern, punto di confluenza di vari torrenti nel Mengasca, e risaliva all'Alpe Casone (quest'ultimo tratto, estremamente ripido e scosceso, non è ancora stato verificato).
Oggi di quel sentiero rimane qualche rada traccia: è un percorso che oltre alle difficoltà di orientamento presenta alcuni punti delicati e fortemente esposti.
note: il tratto franato qui descritto (che rappresenta il punto più impegnativo e che richiede una corda da almeno 15m) dovrebbe essere evitabile mantenendosi in quota (rispettando quindi la traccia indicata su Igm e Siegfried) superando la Val de Sambusina verso i 1000m.
Da Monastero (414m) seguendo le indicazioni si raggiunge, su ampia mulattiera, il panoramico nucleo di Santa Teresa (965m – 1.15h). Dalla chiesetta di Santa Teresa ci si porta in piano verso N, dove una traccia conduce nel bosco e, dopo una pietraia, svolta per entrare nel fianco destro idrografico della Val Mengasca. Ci si abbassa diagonalmente superando verso 900m ca, su di una bella cengia, il piccolo solco della Valle della Miniera.
Si prosegue giungendo alla forra della Val de Sambusina: con una delicata discesa su di un tratto franato (necessaria una corda da almeno 15m) si raggiunge l'alveo di pietrame (900m ca) oltre cui si rimonta ripidamente il bosco di conifere: rimanendo nel fianco della Val de Sambusina si costeggia, in salita, la nervatura della sinistra idrografica, ben definita da una lunga placconata, sin verso quota 1000m ca dove una sottile ma facile cengia consente di percorrere la placconata e di uscire dalla Val de Sambusina. Ricompare una discreta traccia che conduce ad un successivo canale, che si risolve abbassandosi di alcuni metri per un facile gradino roccioso (vecchio fittone di ferro) raggiungendo il torrente (1000m ca), dove sulla sponda opposta si tocca una prima carbonera. Si prosegue nel traverso per labile traccia tra le conifere, giungendo ad una seconda carbonera (980m ca), da dove il traverso prosegue in lieve discesa sino ad una successiva grossa forra: per superarla occorre alzarsi a monte di una grande grotta, dalla cui sommità un ripido pendio consente di abbassarsi all'alveo di pietrame (970m ca). Dalla sinistra orografica della forra si prosegue in quota, superando una piccola, stretta ma profonda spaccatura da cui, in breve, si raggiunge la terza carbonera (970m ca).
Da qui si risale il ripido ma facile bosco per un centinaio di metri, giungendo sulla frequentata mulattiera che giunge da Sambusina (3.30h).
Marzo 2017
L’Alpe Borlasca (Burlàsc’chia) è oggi un bel nucleo di baite riattate da cui si gode un piacevole panorama. Facilmente raggiungibile dalla pista che transita dall’Alpe Monte Pozzolo, era anche raggiungibile da Casone da un sentiero che si inerpicava sui ripidi pendii sino ai Paiadisc, dorsali a balze che dal Monte Borlasca scendono verso SE: una volta ricchi di erba selvatica (mulégia), oggi sono perlopiù boscati. Il vecchio sentiero è del tutto svanito nel tratto sopra Casone ed occorre salire per l’erto bosco superando alcune ripide ma brevi e facili fasce rocciose; guadagnata la cresta la progressione diviene facile e compare anche una discreta traccia che senza più difficoltà conduce alle baite di Borlasca, passando da un maestoso abete rosso plurisecolare che si erge sulla testata della Valle di Pozzolo.
Da Casone (1068m) senza traccia ci si alza verso N per la ripida dorsale boscosa definita a W dalla Val Coldera (Val Culdéra); superate alcune facili roccette (I), verso quota 1210m ca si raggiunge un grosso faggio con incisioni, da cui si prosegue sempre in salita sin verso quota 1300m ca dove una traccia conduce a sinistra (NE) verso il fianco della Val Coldera: dove il terreno diviene troppo ripido ed esposto si piega a destra e ci si porta sul filo della ormai vicina cresta (1350m ca) dove compaiono alcuni bolli gialli ed una vaga traccia. Si segue la dorsale, priva di difficoltà, sino alla comoda sella sulla testata della Val Coldera (1430m ca); una buona traccia consente di cambiare versante e traversa in quota la testata della Valle di Pozzolo, al cui termine svalica una piccola spalle erbosa conducendo in breve all’Alpe Borlasca (1470m Igm, 1.15h).
Marzo 2019
E’ un desueto sentiero rinvenibile a tratti, e sebbene talora si confonda con le numerose tracce di animali la salita è abbastanza logica svolgendosi sulla dorsale sinistra idrografica della Valle di Pozzolo. Non ha particolare interesse ma può essere comunque un utile collegamento tra la Val Mengasca ed il bacino dell’Alpe Borlasca.
Si lascia il sentiero di Caurghetto (700m ca) poco prima di superare la piccola Valle del Sceng e ci si alza per vago sentiero dapprima per il fianco boscoso, quindi verso quota 850m ca ci si porta sulla dorsale che definisce la Valle di Pozzolo; sempre per tracce vaghe ma senza difficoltà ci si alza sino ad intercettare la pista che in breve conduce all’Alpe Monte Pozzolo (1021 Igm – 0.45h).
Marzo 2019
riferimenti:
Inventario dei Toponimi - Samolaco (Del Giorgio, Paggi - 1996)