Sì: Marisa, Mirella, Michele, Gabriella, Tomas, Oscar, Alessandra Ce.
Nì: Maddalena, Alessandra Co., Massimo I.
Gabriella (sì, proponente): Ho scelto questo libro perché il tema della morte viene trattato in modo originale ed ironico dallo scrittore, e c’è pure un lieto fine. Riallacciandosi al desiderio che consciamente o meno, nessuno di noi vorrebbe morire, Saramago ci rende edotti di quel che succederebbe nel caso tale eventualità si manifestasse: un vero disastro sotto tutti i punti di vista (sociali, economici, religiosi ecc.) La parte centrale del libro è un po’ stiracchiata, si potevano evitare diverse pagine. L’ultima parte è quella che ho apprezzato maggiormente: i vari protagonisti, cane compreso, con i suoi pensieri. Morte e amore s’incontrano e vince l’amore, come nelle fiabe.
Tomas (sì): Il libro mi è piaciuto, è interessante e sono contento di averlo letto. Mi ha ricordato una fiaba ceca in cui la morte è la stessa per tutti, e non settoriale, come nel caso del libro di Saramago. Pensavo morissero tutti, invece il fenomeno era limitato ad una sola regione e negli altri posti si moriva ugualmente. Mi aspettavo qualcosa di più dal libro, la prima e l’ultima parte (quella del violoncellista) sembravano due racconti scritti separatamente e poi congiunti.
Marisa (sì): La protagonista del romanzo è una delle morti, quella delegata a pianificare la fine dell'esistenza delle sue vittime umane. Ha anche la facoltà di scioperare e regalare l'immortalità agli abitanti di un intero Paese, salvo poi a pentirsene e riprendere la sua attività: questo, dopo aver constatato gli effetti disastrosi del suo esperimento nella vita umana sociale, istituzionale e religiosa, effetti - questi ultimi - che testimoniano l'incapacità della Chiesa a diffondere oltre il suo millenario messaggio escatologico di salvezza eterna. Ristabilitasi la normalità, gli uomini ritornano a morire con il preavviso di una lettera, ma una di queste ritorna ostinatamente indietro. Sconcertata, la morte assume le sembianze di una donna per avvicinare di persona colui che l'ha inconsapevolmente rifiutata ma che ben presto rimarrà catturato dal suo fascino misterioso. Così la vita sedurrà la morte, complice un violoncello che sulle note musicali di Bach sfiderà l'improrogabilità del destino. Tramite l'arte e l'amore la vita e la morte si congiungono, ma in realtà esse sono due facce della stessa medaglia, l'una non esiste senza l'altra. Sono la dilatazione e la contrazione del tempo che scandisce il ritmo dell'esistenza. Le intermittenze della morte sono anche quelle del cuore, laddove la morte fattasi donna diviene vulnerabile e prova per la prima volta sentimenti umani come l'amore, la commozione, la felicità, la compassione, che alla fine la distoglieranno dal suo compito omicida. Ma fino a quando? La lettura lascia turbati, ma l'ironia e l'umorismo che traspaiono dalla scrittura inconfondibile di Saramago mitigano la gravità dell'argomento trattato e nello stesso tempo fanno riflettere sul bisogno ancestrale dell'uomo di scongiurare per sempre la paura della morte.
Maddalena (nì): La storia mi è piaciuta. Ho detto nì perché, a mio parere, in questo caso Saramago avrebbe dovuto usare uno stile normale, utilizzando i punti e le virgole. In tal caso il romanzo sarebbe stato ancor più bello. E’ un’idea originale e gli spunti umoristici non mancano. La chiusura è perfetta, specie l’ultima frase del libro.
Alessandra Co. (nì): Ho detto nì perché nel leggere il libro ho provato un’alternanza di fastidio ed entusiasmo. Concordo con quanto detto da Maddalena in merito alla mancanza di interpunzioni. Mi sono piaciute l’ironia e le denunce sociali: geniale nel descrivere la Maphia e l’inefficienza dello Stato. Ho provato un certo fastidio a causa del suo “perdersi” in troppe minuzie: poteva essere più sintetico. La fine spiazza. Ci sarà un motivo? La conclusione è poetica: la morte viene vinta dall’amore.
Michele (sì): Dico sì con riserva. L’argomento è buono, il libro è interessante, ma sono stato infastidito dallo stile. Molto belle la prima e la seconda parte, in cui viene fatta un’analisi sociologica in cui si denunciano i molteplici affari che convergono intorno al mercato della morte. Ricordo quando lavorai a S. Anna, molti anni fa. Dovevo suonare campane diverse a seconda che si trattasse di funerali ricchi o poveri. Alla fine, su consiglio di mia madre, suonai per tutti le campane dei ricchi. L’ultima parte del libro mi ha annoiato, anche se la fine riscatta tutto. L’idea dell’amore che vince la morte, è comunque molto bella. Peccato che lo scrittore sia un po’ ripetitivo. A mio parere, il suo libro migliore è "La caverna".
Oscar (sì): Ho un dubbio sul finale: si tratta di un montaggio temporale e la fine del racconto corrisponde all'inizio? Ma a guardar bene le due storie sembrano non avere congiunzione. Mi è piaciuta la parte della prima lettera viola che viene recapitata nello studio del direttore della televisione: c’è suspance. Ho apprezzato molto le pagine finali e altri particolari, come i pensieri del cane e la falce che non parla ma vibra (tranne quando vede la morte fatta donna).
Massimo I. (nì): Si ricollega alla teoria del percorso circolare. L’uomo tende sempre a ricercare la felicità, ha bisogno di certezze e di ripetere esperienze che lo hanno fatto star bene. Ho letto solo metà libro, le idee sono eccezionali e originali, ma lo stile è fastidioso. Arrivavo stremato alla fine del capitolo, seppur sorridendo all’idea di tenere questo libro vicino al letto. L’ho trovato farraginoso, c’è troppa pantomima intorno al discorso sulla Maphia. La trovata è originale, ma con sviluppi scontati. Trovo Saramago un po’ snob come modo di scrivere, potrebbe mettere le interpunzioni.
(Parte inviata successivamente via mail dopo aver finito il libro:)
Ho terminato il romanzo e devo dire di essere d'accordo con chi sosteneva che il libro sembra essere composto di due racconti, uniti insieme con un pretesto: tanto greve, quasi morboso nell'indulgere nei particolari più sgradevoli nella prima parte, tanto più lieve nella seconda con evidenti tentativi di Saramago di strizzare l'occhio al lettore. La mia impressione è che l'autore abbia scritto prima la seconda parte e poi, beatosi della trovata di terminare il libro con la stessa frase con cui finisce, abbia creato tutta l'architettura del romanzo. Mi viene solo da pensare che a Saramago “piace vincere facile”: se l'intento era sottolineare (ma ne dubito, visto il suo pessimismo cosmico) che Eros vince Thanatos, far innamorare di una sventola trentacinquenne uno sfigato cinquantenne mezzo calvo che vive solo come un cane, ops volevo dire CON un cane, però parlante, non mi sembra proprio un'impresa titanica. Che importa se appare completamente pazza, se telefona alle due di notte e discorre del più e del meno con una falce? E se il violoncellista fosse stato gay, o sposato e padre di dieci figli? Va beh, per fortuna che c'erano pochi dialoghi: avete sperimentato anche voi che a causa del suo stile insopportabile, già dopo il terzo scambio di battute non si capisce più chi parla.
Mirella (sì): Non volevo assolutamente leggere questo libro, memore di "Cecità", di cui lessi un quarto perché aborrivo l’argomento. Invece "Le intermittenze" l’ho iniziato e finito la stessa sera. Mi è piaciuta tantissimo la seconda parte, la terza no, tranne la fine. Il libro è scoppiettante, sarcastico. Mi aspettavo che la gente esterna volesse vivere nel posto dove nessuno moriva. Ad un certo punto, la morte si secca perché nessuno è felice di non morire. Mi sono piaciuti gli ossimori della falce: “tremò per mostrare la sua esistenza”. La bellezza dell’archivio dei morti e dei viventi che è tutt’uno. Il libro è pieno di spunti di riflessione, un continuo gioco tra esistenza e morte: tanto che alla fine, uno fa il tifo per la morte. Morte e vita sono un’unica cosa. Mi ha colpito molto la frase finale del libro: “e il giorno dopo non morì nessuno”.
Alessandra Ce. (sì, via SMS): Il libro mi è piaciuto molto. Mi piace come Saramago ha sviluppato questo tema del “sospendere dal morire”. Libro idealmente diviso in due parti. Nella prima parte, in modo talmente ironico da sembrare vero, emergono tutte le conseguenze socio-politiche-economiche-emotive-etiche-religiose derivanti dalla sospensione della morte. La paura della morte viene sostituita dalla paura delle conseguenze dell’immortalità. Fino a comprendere che questa società, come è ovvio, non è preparata assolutamente ad una simile evenienza. Poi la morte ritorna, ma con una modalità insolita, e anche a questo non siamo preparati. E poi il racconto si trasforma, si trasfigura, e piano piano, accanto all’ironia, nei dialoghi si apre la porta ad una sottile vena poetica e romantica. La seconda parte è quella che preferisco: una lettera viola rispedita tre volte al mittente, la decisione di partire per consegnare la lettera di “persona”, un incontro fatale che dovrebbe avere come unica conseguenza l’accettazione da parte del violoncellista di morire, ma che si trasforma invece in un ritorno alla vita della signora morte. Ma forse quel violoncellista era già “morto” e, grazie a quell’incontro, ritorna alla ”vita” pure lui. La vita: quella che pulsa, che ci emoziona, che ci fa arrabbiare, arrossire, meravigliare, piangere. Vorrei dire anche altro, ma per SMS è un po’ difficile.
Prossimo libro: "Le ore" di di Michael Cunningham (preferito a "Montedidio" di Erri De Luca e a "L'ombra di quel che eravamo" di Luis Sepúlveda).
Prossima proponente: Maddalena
Prossimo incontro: 18 dicembre