Hanno detto Sì: Luisella, AleB, Marinella, Michele, AleA, Giovanna, Alessandro, Oscar, Pierpaolo
Hanno detto No: Gabriella, Tomas, Mirella
Hanno detto Nì: Massimo I., Marisa
LUISELLA (proponente)
Vi ho proposto questo libro insieme agli altri della terna perché desideravo rileggerlo. L'avevo letto tanti anni fa, verso i venti/venticinque anni. Ma non l'avevo capito, perché non avevo ancora provato gelosie e non mi ero umiliata nell'attesa e nello spasimo in questo tipo di amore disperato.
L'ho letto così, come potevo leggerlo allora. Credo di aver avuto anche difficoltà di immedesimazione in una persona tanto più grande, di 49 anni (uomo o donna non importa, non è quello a darmi difficoltà di immedesimazione).
Adesso invece mi ha conquistata completamente. Sono felicissima di averlo riletto, anche se forse non è neanche corretto parare di rilettura, perché ricordavo poco e perché sono diversa io. La Luisella 47enne è molto più vicina ad Antonio.
In una intervista Buzzati ha fatto questo famoso commento in cui dice "Io certe cose le ho capite tardi, quando non mi serviva più di capirle" e queste parole mi fanno venire il groppo in gola perché mi appartengono al cento per cento. Anche questo romanzo, fa parte delle cose comprese tardi.
Questa volta la lettura mi ha coinvolta tanto, con rabbia angoscia voglia di andar lì a prendere Antonio e dirgli "Basta, no?, vieni via, smettila, perché ti ami così poco?"
Però va bene così, questo è quello che voglio da un libro. Non devo essere d'accordo con le scelte del protagonista, che può essere (non è questo il caso) anche un assassino o un malvagio; mentre leggo sono dalla sua parte. Anche in questo caso, sono dalla parte di quest'uomo debole, irrispettoso di se stesso, con molta amarrezza e molta solitudine dentro.
Per quanto riguarda la scrittura, mi sono piaciute tanto le pagine in cui Buzzati va a briglia sciolta. Non è una novità, ben altri l'hanno fatto nel Novecento prima di lui, ma è comunque pregevole come flusso di coscienza. Pregevole proprio perché brutto, perché fastidioso, nell'uso bizzarro dei tempi verbali, nella ripetizione di certe parole. Quel che poteva sembrare una sequenza di errori da bozza non ancora controllata, è in realtà il modo (brillante, giusto) di mettere su carta i pensieri sconnessi contorti e ripetitivi di Antonio.
Esempi: "Entrò una folata di ballerine, saranno state dieci o dodici" ripetuto a breve distanza, "Il cha cha cha più bello che esista. Los Carinosos" ripetuto quattro volte, "Ha un vestito lilla", e poco dopo "aveva un vestito color lilla", il dettaglio del sesto piano ripetuto anche qui due o tre volte...
Bellissimi gli squarci che Antonio spalanca su se stesso, su Laide, su Milano, andando a rotta di collo col discorso indiretto libero, che "libera" davvero il suo sguardo.
Milano, terza protagonista del romanzo, contraddittoria, vecchia e moderna, pura e marcia, che in certi momenti coincide nettamente con Laide ("Laide è la città", viene detto chiaro).
Perché Antonio si innamori così perdutamente di una ragazzina bugiarda e senza alcun valore, non si sa, non si saprà mai, non c'è spiegazione (ma non ce n'è mai una, in amore).
Forse perché Laide è tutto quello che lui non è e forse vorrebbe essere: strafottente, spavaldo, sicuro di sé. Forse perché (come lucidamente lo stesso Antonio ammette) rappresenta la giovinezza che gli sta inesorabilmente sfuggendo. Forse perché troppo a lungo con le donne si era sentito brutto e inadeguato, morto e lontano, e aveva bisogno di un amore, un "grande amore" per quanto discutibile, ossessivo, inventato, che lo facesse sentire vivo e vicino all'universo femminile.
"Cosa è stata Laide se non la concentrazione in una persona sola dei desideri cresciuti e fermentati in tanti anni e soddisfatti mai?"
MARISA
Se non avessi letto Lolita di Nabokov, avrei apprezzato molto di più il libro di Buzzati. È comune nei due romanzi questa ossessione che coglie una persona adulta verso un'adolescente (nel caso di Lolita) e verso una giovanissima nel caso di Laide. Ma mentre Nabokov non descrive mai nel dettaglio i rapporti amorosi e lascia che il linguaggio sia sentimentale e quasi poetico (con il paesaggio e il viaggio che diventano metafora di vita), Buzzati usa toni espliciti o addirittura lascivi che non lasciano nulla all'immaginazione, rasentando secondo me la volgarità.
Lo sfondo dei romanzi è ovviamente diverso. L'ambientazione di Buzzati è molto bella, con questa Milano degli anni '60 in pieno boom economico, la società borghese e perbenista che cavalca l'onda del consumismo. Laide è l'emblema corrotto di questa società nonché della menzogna della strafottenza e della furbizia; dell'inverencondia, se ancora si usa questa parola.
Dorigo, preso dal suo delirio per Laide, pur consapevole di quello che lei è, la insegue con l'ostinazione di chi si autoinganna per mantenere in vita un amore che è bastato solo su umiliazioni e respingimenti.
Mi è venuto in mente anche il monologo di Molly Bloom. Così come Joyce, Buzzati fa uso del "flusso di coscienza" ma con dei limiti; lo trovo ripetitivo, ridondante.
Le pagine che mi sono piaciute molto sono quelle del viaggio in autostrada con i filari di pioppi che, quasi fossero vivi, dall'alto della loro saggezza condividono le ansie e i dubbi di Dorigo che va verso un amore tanto vagheggiato quanto irraggiungibile.
Tornando al raffronto con Lolita, ritengo che Buzzati abbia voluto forse involontariamente emularlo, un tentativo però non del tutto riuscito.
ALESSANDRO
Io l'ho letto vari anni fa, anzi, notavo che l'edizione che possiedo è proprio del 1963, l'anno in cui il romanzo è uscito. Non l'ho riletto ma devo dire che questo libro appartiene alla categoria dei libri che lasciano una impronta. Io distinguo due tipi di libri: quelli che si leggono facilmente e sono godibili, ma che poi non lasciano alcuna traccia, e quelli che magari si leggono con fatica ma lasciano un ricordo indelebile. Un amore è uno di questi. Ricordo nello stesso modo anche Il Deserto dei tartari.
Quindi, mi sono rimaste alcune memorie importanti. Una riguarda senz'altro la città, le atmosfere. Milano, come il resto del paese, risorge dalla guerra, è vitale. Mi piacciono certe descrizioni liriche. Io che solitamente segno nell'ultima pagina ciò che mi ha colpito, vedo che all'epoca avevo segnato solo un paio di cose tra cui questa sensazione di gioia della vita sul finire.
(a queste parole serpeggia nel gruppo un mugugno... Gioia della vita?? Alessandro, ma che libro hai letto??)
Ovvero, ho un ricordo di un crescendo d'angoscia, di tensione, di tunnel da cui non si esce se non male, e poi di un finale che rappresenta il ritorno del sole, il sollievo.
(???)
Alcuni non la pensano così, ma secondo me il finale può essere percepito in modo diverso a seconda della diversa sensibilità.
L'ho vista come una conclusione positiva, ma non l'ho riletta.
(Pierpaolo suggerisce che Alessandro legga almeno l'ultima parte per verificare quale sensazione ne avrebbe oggi, ma Alessandro si propone di rileggerlo per intero)
MASSIMO
L'ho letto tanti anni fa e mi era piaciuto. L'ho riletto tre settimane fa in quattro ore. Mi stupisce che Alessandro abbia trovato il finale consolatorio, anzi, per me l'ultimo capitolo è devastante con Antonio che si rende conto della sua inutilità, degli anni che sono passati invano; nel finale non c'è un filo di speranza.
Lo stile mi piace, sa passare dal lirico all'ossessivo... Anzi, forse lo stile non l'avevo apprezzato tanto anni fa mentre ora lo apprezzo di più. Ma tutto il resto, il senso del libro, l'atmosfera da cui è permeato, non mi entusiasmano più di tanto.
Per rispondere a Marisa, non sarei neanche tanto sicuro che Buzzati avesse letto Nabokov. Le storie sono vagamente similari, ma Nabokov non ha mai detto che ci fosse qualcosa di autobiografico, qui invece c'è una vicenda autobiografica. Buzzati lo fa chiaramente capire parlando in prima persona in due o tre punti.
(Luisella, Pierpaolo ed altri sottolineano che questo succede in moltissimi punti, non solo due o tre, trattandosi di discorso indiretto libero di cui Buzzati fa ampio uso).
Mi stupisco che il libro sia tanto piaciuto a Luisella perché è un libro profondamente maschilista e/o maschile.
(Mirella interviene chiedendosi come un libro così – uno dei peggiori da questo punto di vista, secondo lei – possa esser piaciuto a tante di noi. Luisella ribatte che la vicenda è universale, quella tra Antonio e Laide è una questione di personalità deboli o dominanti, non c'entra con l'essere uomo o donna).
Mentre in altri autori, apprezzo che un uomo sappia mettersi nei panni di una donna, qui si vede chiaramente che è scritto da un uomo
(Luisella ribatte: "E io sono un uomo mentre leggo!!... Pieno delirio flaubertiano: Je suis Dorigo! :-))
(Seguono commenti su altri autori bravi che sanno modificare la loro voce ed entrare in personaggi maschili, femminili, di bambino...)
ALESSANDRA CE.
Risponderò alla domanda di Mirella, sul perché questo libro possa esser piaciuto alle donne.
Trovo che la sua angoscia, i suoi pensieri morbosi e autoavviluppanti non siano tipici di un uomo ma siano anche di una donna. L'ho letto in pochissimi giorni. In particolare mi è piaciuto il ritmo, questa storia che è come una corsa a perdifiato fino ad arrivare alla fine.
Un libro che fa andare dentro se stessi in modo molto profondo e difficile. Mi è piaciuta l'analisi psicologica di questo incontro tra persone diversissime ma accomunate da terrificante solitudine: Laide non aveva amicizie, come nemmeno Antonio. Sono entrambi affamati d'amore ma incapaci d'amare. Lui, infantile, mai cresciuto, con autostima scarsissima, incapace di rapporti sereni e veri con le donne, schiavo di schemi borghesi, che non gli permettono di volere Laide fino in fondo.
La pagina più bella è quella del confronto con Piera: a quel punto, Antonio non può più scappare, vede in faccia la verità, quel dialogo è uno specchio.
Ho avuto orrore di quella parte in cui dice "A chi non piacciono le bambine?" Siamo ai limiti della pedofilia!
(Marinella, Luisella, Michele sostengono che Buzzati per bambina intende ragazza molto giovane)
MARINELLA
Ho letto questo libro davvero tantissimi anni fa, appena uscito, e non ero stata in grado di capirlo. Rileggendolo, ho capito per quali motivo non mi era piaciuto: per i termini che mi fanno accapponare la pelle ("la maschietta", "la galloppata", "le sue tettine", "la piccola teppista", "giovanottella", "una ragazza della scuderia", "... da tanto al colpo..."), termini per me insopportabili. La lettura di allora mi aveva lasciato un senso di sporco e di fastidio.
Rileggendolo adesso, ho capito perfettamente quello che ha detto anche Luisella, e cioè che Buzzati sapeva di usare termini sgradevoli e li ha usati apposta, non perché era un fascista maschilista ma perché era un bravo scrittore. E voleva essere sgradevole per raccontare una storia sgradevole, una storia che si riesce anche a capire a una certa età.
Pe quanto riguarda lo stile, ci sono tantissimi errori che lui usa volontariamente (poiché sappiamo che è uno scrittore che SA scrivere) per mostrare la confusione del protagonista fuori di testa.
(Scatta una vorticosa discussione su errori voluti o non voluti. Mirella riferisce di aver letto una prefazione in cui l'editore dice di aver corretto alcuni errori ma di aver lasciato intatto il resto.
In alcune parole inglesi pur usate in italiano, mette la 's'. Pierpaolo sottolinea che lo fa volutamente per aderire al linguaggio di un borghese della Milano anni '60 che vuol fare il figo)
PIERPAOLO
Questo è l'ultimo romanzo di Buzzati e quindi in un certo senso è un'esperienza estrema, è il suo addio alla letteratura. Quindi è normale, secondo me, che rispetto a quello che era il suo stile precedente, ci siano delle cose sperimentali, di rottura e in qualche modo disturbanti. Disturbante per il suo pubblico tipico, quello che comprava Barnabo e le montagne, i racconti quasi senza tempo e ambientati in una montagna fantasticata. Successivamente Buzzati si convinse che il suo mezzo naturale di espressione fosse la pittura e l'ultima opera compiuta è questo poema a fumetti che ho portato e che nelle tematiche assomiglia abbastanza a Un amore. È la prima prova italiana di quella che oggi chiamiamo graphic novel.
Perciò, è un Buzzati che cambia sempre pelle rispetto all'esperienza precedente anche se rivendica sempre coerenza e sincerità in queste sue scelte.
Anch'io come alcuni altri avevo iniziato il libro una trentina d'anni fa al liceo. Ero un appassionato lettore di Buzzati, avevo letto molti altri suoi libri ma questo assolutamente non ero riuscito a finirlo, perché non potevo immedesimarmi in questo personaggio. Cosa che invece oggi mi riesce meglio, anche se con delle distanze... Un conto è leggerlo con l'età di Laide, un conto è leggerlo con l'età di Antonio. Ma resta una lettura difficile, e mi meraviglio di come qualcuno di voi possa dire di averlo letto in due giorni o persino in poche ore. Qui dentro ci sono due anni di vita.
(Interviene Michele: "Non è detto che devi metterci due anni per leggerlo!" :-))
Per me è la storia di una dipendenza, potrebbe trattarsi benissimo anche di una dipendenza da sostanze.
Il discorso indiretto libero che secondo me è abbastanza estremo rispetto ad altre cose che ho letto, soprattutto per la mancanza di interpunzione, i salti di prospettiva, le ripetizioni come ritornelli per mostrare una ciclicità di pensiero che ritorna su se stesso...
Ci sono delle apparizioni di Laide sempre diversa, con l'aggettivazione molto diversa, e a volte coincide con lo spirito della città di Milano.
Sicuramente avrete visto il film Quell'oscuro oggetto del desiderio sull'incapacità di capire il proprio oggetto d'amore. Ecco, come in quel film, Antonio preso dall'ossessione a volte non riconosce nemmeno Laide. Quando va alla Scala, la vede davvero o non la vede? È lei o non è lei? Ci lavora o no?
La lingua secondo me è voluta. Buzzati era appassionato d'arte, scriveva di arte sul Corriere, ha parlato del pop. E ha scritto un libro volutamente pop. Descrive oggetti d'uso popolare, descrive il cinema, le sale di provincia, parla di televisione, dei programmi che andavano in voga, parla di film insulsi che piacciono a Laide, cita modelli di automobili, mostra gli autogrill...
Riletto oggi, direi che questo libro mi è piaciuto veramente molto, mi ha quasi entusiasmato.
PIERPAOLO (secondo commento scritto da lui stesso e inviato)
Una lettura iniziata oltre 25 anni fa, quando ero coetaneo di Laide, e finita adesso, con la prospettiva anagrafica di Antonio.
Un amore è una tappa definitiva nella carriera letteraria di Buzzati, spiazzante e inatteso per i suoi lettori. Campo di discordanti tensioni e forze disgregatrici, è l’addio dell’autore alla forma romanzo. È seguito infatti nel 1969 da Poema a fumetti, la storia di Orfeo ed Euridice rivisti alla luce della Pop Art. Sarà la prima Graphic Novel italiana e un grande successo editoriale, come Un amore.
Sincero e doloroso, questo romanzo non è una lettura facile. Favola pop nerissima, composta con gli ingredienti dell’ossessione, dell’incubo, della dipendenza (che potrebbe anche essere da sostanze), del delirio e della paura, rappresenta per un autore tradizionale come Buzzati un’incursione in un terreno più sperimentale. Qui si scatena in una corsa a perdifiato nel discorso indiretto libero, unendo pagine febbrili sincopate come il cha cha cha, e allucinatorie, quasi prive di interpunzioni, se non per isolare le epifanie di Lei, una Laide sempre diversa e quasi irriconoscibile come la Conchita di Quell'oscuro oggetto del desiderio, ragazzina ballerina della scala piccola teppista puttana da strada raffinata call girl «fatalità mistero vizio segretezza chic malavita grande città amore», manifestazione dello spirito popolaresco più spontaneo di Milano e infine vero alter ego della città del miracolo (economico), promessa per Antonio di una seconda occasione, di una seconda gioventù e, infine, madre.
Per Laide il bellunese Buzzati inventa una lingua che è un insieme di lombardismi, termini gergali e della mala, anacoluti, una lingua che ricalca il parlato con vitalità POP.
Ecco, romanzo volutamente POP, in cui gli anni ‘60 e il miracolo economico italiano sono classificati in un repertorio descrittivo che colleziona le riviste di moda, le cartoline degli alberghi, il mobilio senza pretese delle case, le 600 e le Giulietta sprint che sfrecciano nelle autostrade, e gli autogrill dove si fermano italiani, che sono i miei genitori, protagonisti dell’euforia collettiva degli anni del baby boom. POP anche per il suo particolare rapporto con i mass media, la TV e soprattutto il cinema, protagonista del romanzo tramite la descrizione delle sale di periferia, le allusioni di Antonio all’Angelo azzurro ma soprattutto per il gioco di rimandi con Fellini, in cui i due maestri si influenzano l’un l’altro e creano due universi immaginari intercomunicanti.
Il cinema dentro Un amore, Un amore al cinema: uscirà nel 1965 il film «Un amore» (di Gianni Vernuccio con Rossano Brazzi - Antonio Dorigo e Agnès Spaak - Laide).
Il romanzo può contare anche su numerose pagine liriche, come quelle che, all’inizio e alla fine dell’opera racchiudono in una sola cornice eventi che durano due anni, descrivendo la caligine come prodotto del fiato di milioni di anime che popolano la metropoli, quasi come se fosse un unico organismo, lo smog il suo respiro e Laide il suo simbolo, che si libra sulla città.
Un epilogo che lascia un Antonio senza più gioventù, ripiombato in angosciosi pensieri di morte.
GABRIELLA
Non ce l'ho fatta a leggerlo, se devo definirlo dico "delirio paranoide"! Sono arrivata al 63% dell'ebook con tutta la più buona volontà. Mi è preso il nervoso, "lo gavessi copà!", non sopportavo il personaggio che mi stava sulle palle in modo tremendo! Antipatico, borghese, i modi di riferirsi a lei... Tipica crisi dell'uomo di mezza età, questo arrovellarsi di continuo... "Ma taghe un taio!"
Giuro, ci ho messo tutta la più buona volontà. Ci sono passata anch'io in questi innamoramenti di tipo sbagliato, che non è assolutamente amore!
(Segue un liberatorio "Ma va a cagar!" rivolto ad Antonio!)
MICHELE
L'ho letto presto, secondo me è un libro che si legge presto anche perché la parte del monologo interiore è molto ripetitiva, anche se la più interessante (sicuramente più interessante dei dialoghi). Non è che occorrano due anni per leggerlo. Non ritengo che sia un libro maschilista, anzi. Se fosse stato un libro maschilista, lui sarebbe stato un altro tipo di personaggio. Penso invece che sia un libro femminista, nel senso che è lei a condurre il gioco, a prendere le decisioni, i percorsi. Lui non è neanche una vittima, magari lo fosse. È uno scopettino, un poveretto che fa quello che dice lei. Quando sembra che voglia ribellarsi, arriva al limite e alla fine non lo fa...
Se vogliamo, è un libro maschilista solo per linguaggio ("maschietta", ecc...) ma penso anch'io che sia un linguaggio legato al periodo e non a una mentalità maschilista. Cos'altro dire? La scrittura è molto semplice, piana. È quasi un libro decadente. Ci fa vedere il cambiamento tra tradizione e innovazione. Ci fa vedere la gioventù... Ecco, forse questo è un po' retrogrado come pensiero: che i tempi passati siano migliori. Fondamentalmente mi è piaciuto. L'ho assaporato, diciamo.
OSCAR
Ho detto sì ma le mie riserve sono tante. Mentre parlavate dello stile, ecc... mi veniva in mente una cosa che avevano detto di Berlusconi tempo fa. Quando si esibiva in battutacce e in circostanze assolutamente fuori luogo, molti lo giustificavano dicendo "Beh, non dovreste pretendere altro, lui è nato in un'epoca in cui questo era l'approccio standard alla vita". Allo stesso modo, negli anni '60 era normalissimo avere questo concetto di donna come qualcosa da possedere, come un oggetto.
(Michele chiede "Lui la ama. Secondo te vuole solo possederla?")
Se tu paghi una persona e ti aspetti determinate cose in cambio, questo è un possesso. Che poi Antonio sia anche affezionato / innamorato (innamorato, ci credo poco), è possibile... Era un confluire di diverse componenti. Ma essenzialmente secondo me è una questione di possesso. Negli anni '60, una donna se non la comperavi come prostituta, la comperavi, in un certo senso, come moglie perché era casalinga e non era autonoma, e la possedevi comunque.
Il libro si è fatto leggere, mi è venuta la curiosità di vedere come andava a finire. Ogni tanto me ne allontanavo perché proprio non riuscivo a immedesimarmi in nessuno dei personaggi, ma comunque ci devo ritornare.
Come per Alessandra Cep., anche per me è stato un'esplosione quel capitolo in cui Piera vomita tutta la verità in faccia a lui e io mi aspettavo che questo gli facesse aprire gli occhi e schizzasse fuori da quell'appartamento finalmente guarito.
(Interviene Alessandra Cep. che, sul discorso del comperare una donna, rileva che Antonio aveva una così bassa stima di se stesso da pensare di poter avvicinare una donna solo pagando.
Interviene Luisella ricordando che Antonio si sente inadeguato e spesso ripete "gli altri uomini ci sanno fare e io no")
GIOVANNA
Non volevo nemmeno commentare, avevo chiesto solo di ascoltare voi perché ero molto curiosa. Circa quattro anni fa avevo chiesto con una lettera collettiva chi di voi avesse letto questo libro, chiedendo se ne valesse la pena. Massimo mi aveva detto di sì e l'ho letto allora. Non l'ho più ripreso, nemmeno per questa discussione, ma mi era rimasto molto impresso. Mi ha colpito molto, mi è piaciuto molto.
A differenza di alcuni di voi che l'hanno paragonato a Lolita, per me invece si impone il paragone con il libro che il gruppo avete nel novembre 2008, Il Minotauro.
(Giovanna è entrata il mese successivo, con Le relazioni pericolose, però ha letto anche il Minotauro per suo conto)
L'analogia tra i due libri la vedo per la relazione tra un uomo maturo (quarantadue anni) e una ragazzina giovanissima (diciassette). Ma l'uomo era intelligente e prudente, un agente del Mossad, e non voleva rendersi ridicolo, e si rendeva conto benissimo dell'abisso che c'era tra lui e la ragazza. Ha cominciato a scriverle delle lettere (è un romanzo epistolare), si sono scritti per dieci anni. Erano due persone elevate. Lei era una ragazza ben educata, protetta dalla famiglia, colta (mi pare che diventi insegnante). E dopo dieci anni lui si è convinto che la differenza d'età non c'entrasse niente e che poteva esserci qualcosa di autentico, di vero, tra di loro, e si è organizzato per incontrarla. Ah, però nei dieci anni, lui ha ucciso un paio di fidanzati che lei si era trovata, così, en passant!
(Interviene Marinella, incredula: "Ma io ho letto quel libro lì?!")
Insomma, lui è ossessionato da questa ragazza, e dopo dieci anni vuol incontrarla, la aspetta sotto casa, ma un nemico del Mossad lo uccide prima che possano incontrarsi.
(Interviene Mirella che ricorda solo il titolo ma nulla di più, Alessandro nemmeno; viceversa Massimo lo ricorda come "obbrobbrioso").
Per me nel Minotauro la relazione era credibile, potevo digerire la differenza d'età, perché passava del tempo, e c'era prudenza. Soprattutto non c'erano implicazioni di soldi. Qui invece ci sono implicazioni pesantissime di soldi, lei è povera lui benestante, e secondo me il rapporto è assolutamente criticabile sia per le che per lui. Però mentre voi facevate il parallelo tra questo e Lolita, io facevo il parallelo col Minotauro.
Mi è piaciuto moltissimo, benché io non mi sia identificata con nessuno. Non era possibile affezionarsi a nessuno dei personaggi. Era molto bella la storia di questa ossessione, come un crescendo, la figura dominante di questa ragazzina che non faceva niente, non aveva strategie, non aveva malizia; solo perché esisteva si imponeva nella vita di quest'uomo. Rimane bella l'immagine di lei che danza nella stanza vuota con le lame di sole.
Poi nell'ultimo capitolo quando vivono insieme e lei gli dice che aspetta un bambino, lui non la vuole più, aveva ormai raggiunto il suo scopo, era ormai libero.
È un libro bello e brutto insieme, secondo me molto realistico ed efficace.
(Interviene Pierpaolo: Antonio dice che per due anni non aveva più pensato alla morte, ma nel momento in cui riesce a stare con questa donna e quindi finisce l'ossessione, ricomincia a pensare alla morte. Perciò mi pare stranissimo che ad Alessandro sia sembrato un finale rasserenante.
Alessandro ribadisce che all'epoca della lettura aveva sentito alla fine questo senso di liberazione. Pierpaolo sottolinea che, tuttavia, Antonio stava bene quando era "malato". Luisella interviene dicendo che adesso Antonio si sente svuotato. Si discute insieme anche sul monologo di Piera che aveva detto ad Antonio molte verità.)
ALESSANDRA CO.
Mentre leggevo non mi piaceva. Scritto bene, sì, ma era odioso e inverosimile, avallava modi e situazioni per me assurdi. Altrettanto assurdo e quasi onirico il finale. Ma la vita è assurda, e quindi comincio a capire... Tutto il libro per me è stato un cercare di capire tante situazioni che pur esistono. Si vive di pancia e non di testa. Mi è piacuto molto l'intervento dell'amica Piera a fine libro. Per aiutarlo a guarire, gli ha vomitato addosso tutte le brutture che lui e lei si erano portati appresso. Sì, non solo le brutture di lei, ma anche di lui! Infatti emerge l'autocritica di Buzzati. Sottolineando che lui era più meschino ancora, col suo amore classista e giudicante. La puttana maggiore è proprio lui.
Se fosse stato amore, l'incantesimo si sarebbe spezzato. E poi... e poi... Ops, scusate, non capisco!
(Alessandra Co. a questo punto non comprende i suoi appunti, sospettiamo che stringa in mano una ricetta per gli gnocchi di zucca :-))
Comunque, che cavolo di rapporto può esserci se c'è uno scambio di denaro? O incontri l'altro o niente... La biografia di Buzzati è molto interessante per la comprensione di questo libro. Lui ha sposato una modella giovanissima, diciannove anni, minorenne...
(Seguono pettegolezzi sulla vita privata di Buzzati e sul fatto che si sia sottoposto a una prova del DNA per verificare che un figlio fosse o non fosse suo. Interviene Mirella che ricorda che nei primi anni '70 era stato appena scoperto e che un privato non poteva certamente farsi fare il test del DNA così facilmente. Intervengo altri dicendo che forse era una prova del sangue utile per escludere eventuale paternità.)
Nonostante le luci e ombre di questo libro e l'antipatia dei personaggi, mi piace questa umanità che Buzzati riesce a tirar fuori
L'ho letto volentieri.
MIRELLA
Non so se riuscirò a dire tutto il male che penso di questo libro! Per aiutarmi nella lettura sono andata a leggermi anche la vita di Buzzati per cercare di capire perché lo odiavo tanto, e ho capito: fascista!
Comunque, a parte questo, il monologo interiore, lo stile, tutto è ripetitivo, noioso. Leggere quattro pagine senza un punto è oggettivamente noioso (quattro pagine in cui del resto non cambiava argomento, ripeteva sempre le stesse cose). A volte andavo a cercare il punto e poi ricominciavo dal punto.
Innanzitutto non era amore. Poi quest'uomo brutto, ho visto la foto... -
(intervengono altri che le chiedono "Ma allora parli di Buzzati?")
- aveva il problema di non sapere come approcciare una donna. Invidiava persino quelli che andavano con le escort, che se le scarrozzavano.
La sua ossessione non dipende dall'amore ma da questo: io, di classe superiore, architetto, mi degno di venire con te, ti pago, e tu non ti fai trovare??! Se lei si fosse fatta trovare, fosse stata sempre puntuale, a lui sarebbe andata bene. Ma lei si comporta giustamente come la ragazzina che è, non gliene frega niente di mantenere un rapporto e lo vive con incoscienza. Ho trovato tutto molto sgradevole.
Ho letto anche Nana di Zola, ma lì c'è una comprensione maggiore per la situazione della ragazza. Perché in realtà la povera Laide viene da una situazione familiare disastrosa, ma lui non la comprende e non ha nessun desiderio di redimere la ragazza né di renderla parte della sua vita o di presentarla alla famiglia o di portarla a cena con gli amici.
(Interviene Michele: non è vero, lui la ama veramente, e dice molte volte di volere una vita normale con lei.
Interviene Luisella: non fino al punto di sposarla, quando Piera gli chiede se vuole sposare Laide, lui risponde "beh no, con la vita che ha fatto".)
Lui non vuole sposarla, non la porta a pranzo in famiglia il giorno di Natale!
Poi diciamolo, lui la paga ma non fa come molti che procurano all'amante un appartamento, una macchina.
(Interviene Pierpaolo: insomma, era anche tirchio! :-) )
E poi questa era veramente una ragazzina! E infine non ho sopportato il linguaggio. Ok, erano i modi di dire dell'epoca, ma bisogna vedere come li usi. Certi uomini, come Berlusconi, hanno quel modo di parlare delle donne. E Buzzati non usa quel linguaggio in modo critico, per criticare la società, perché in quel caso avrebbe usato il linguaggio in un altro modo. Rispecchia esattamente il suo punto di vista.
(Interviene Michele: però non lo paragonerei a Berlusconi.
Interviene Luisella: assolutamente no, Berlusconi non ha problemi di autostima...
Inizia una discussione sulla prostituzione attuale.
Perché tanti uomini vanno a puttane? Perché in realtà l'uomo che ci va non si mette in gioco, paga e basta. Il protagonista non si rispettava, poteva solo pagare una donna, ed era indispettito dal fatto che nemmeno pagando riusciva ad averla puntuale per sé.
Concludendo, il contenuto non mi è piaciuto, il linguaggio non mi è piaciuto. Di Buzzati ricordavo Il deserto dei Tartari che mi era piaciuto ma adesso, non so..., non leggerò mai più niente di Buzzati!
(Interviene Pierpaolo: la prostituzione in quegli anni era un fatto sociologico di grande attualità, le case chiuse erano appena state "chiuse", anche Montanelli ne aveva scritto. Da questo punto di vista, questo è un instant book.
Interviene Alessandra Covach: però Buzzati dice che c'è una cultura della sessualità, che chiudendo i bordelli si perde qualcosa, una conoscenza "orale"...
Interviene Luisella che legge alcune righe in cui Antonio si fa degli scrupoli, si fa delle domande, si chiede se senza i bordelli sarebbe meglio o peggio per queste ragazze.
La parola "orale" nel frattempo ha scatenato ilarità e ironie maliziose! Ohi ohi, si degenera! )
TOMAS
Dopo l'intervento di Mirella sulla prostituzione, mi è venuta in mente una barzelletta ceca. Qual'è la differenza tra sesso a pagamento e quello gratis? Che quello gratis costa di più.
(Tutti ridono di gusto e sono d'accordo!)
Avete già detto praticamente tutto. Sono dopo Mirella e devo dire che, anche se succede raramente, sono pienamente d'accordo con lei!
Ma proverò a dire cose che non sono ancora state dette.
Prima cosa: la copertina. Mi sarei vergognato a leggerlo sull'autobus. Sono stato tutta domenica scorsa a leggerlo a casa. Sembra un porno. Se io vedessi un uomo leggere un libro con una copertina così in un luogo pubblico...
(Interviene Michele: e che problema c'è?!
Giovanna racconta dell'Angelo (suo marito) che in treno leggeva Harmony e lei lo pregava di nasconderli dentro una copia di Panorama.)
Insomma, a me sembrava porno, mi sono impressionato già in libreria quando l'ho visto.
Seconda cosa: un mese fa abbiamo discusso di Bugiardi e innamorati. Questo si dovrebbe chiamare La bugiarda e l'innamorato.
Ho letto, sono arrivato a pagina 81 e ho avuto la prova che non si trattava di amore. Ad Antonio di Laide importava ben poco, persino del possesso fisico. Se in fondo una malattia l'avesse costretta a non fare mai più l'amore lui ne sarebbe stato felice. O immaginava che Laide andasse sotto un tram e perdesse una gamba. Questo è amore?! No, lui voleva solo possederla in un altro modo, forse per apparire davanti ai suoi coetanei come uno capace di possedere una donna, e sono d'accordo con Mirella che era proprio così, che non era amore per niente, quindi anche il titolo è sbagliato.
(Interviene Michele: secondo me sì, era amore.
Interviene Marinella: è un amore malato.
Interviene Alessandra Covach: è l'amore di una persona molto insicura.)
No, non è amore.
Poi altra considerazione che voglio fare è sui prezzi. Lei costava 20.000 lire che oggi corrisponde a 10 euro.
(Si alza un coro di stupore: Come? Soltanto???
Si discute a lungo sul fatto che Antonio dava a Laide 50.000 a settimana, e di quanto pagasse di affitto o dello stipendio del teatro.
Luisella sottolinea che Laide andava a fare lavoretti extra anche solo per 5.000 lire.
Michele conclude che Laide era un puttanone a buon prezzo, Pierpaolo invece dice che 200.000 al mese era un compenso più che buono.
Massimo propone il calcolo basandosi sulla pallina di gelato che costava 50 lire, oggi 1,30€. )
Mi hanno annoiato tutte quelle seghe mentali di lui che la immaginava, la aspettava, si chiedeva cosa facesse in quel momento, eccetera. Senza tutto questo, il libro avrebbe avuto cento pagine e sarebbe stato molto più leggibile. E secondo me verso la fine anche lo scrittore si è accorto che stava andando troppo per le lunghe e ha scritto l'ultimo capitolo per liberarsene e basta.
(Alessandra Covach dice che tutti i pensieri su di lei derivano dal fatto che era innamorato.
No, dice Tomas, se uno è innamorato vuole il bene della persona.
Michele: Non sempre.
Alessandra: È anche una cosa ormonale, hai un feedback dopaminico quando c'è l'incontro con l'altra persona.)
(Nel frattempo continuano i conti sui guadagni di Laide. Alessandro dice che corrisponde a seicento e passa euro a settimana, duemilaquattro al mese.
Michele esclama: cavolo! A me va benissimo, ora mando messaggi, chi mi vuole? Io son Laido! Anche per molto meno!
Il pensiero di Michele che si propone nei panni di giovane ninfetta scatena l'ilarità generale. Se non lo vediamo più sappiamo dov'è andato...)
Per concludere, non leggerò mai più niente di Buzzati.
(A questo punto, leggendo la lista di altre opere di Buzzati, Alessandro scopre che esiste il "Libro delle pipe" e, colpito da un'atroce ed inconsulta ridarella, perde completamente il controllo di sé!
A nulla vale che Pierpaolo faccia seriosamente notare che c'è una sola "p" e che trattasi dell'oggetto in radica.
Alessandro è alle lacrime!
Michele raccomanda che qualcuno proponga prossimamente il suddetto libro.)
(Luisella conclude dicendo che l'unica cosa che trova poco credibile è che Laide, una volta incinta, desideri una femmina, perché di solito una donna con una vita poco fortunata preferisce un maschio che forse potrà cavarsela meglio.
Mirella invece la pensa in modo opposto: una donna che vuole emanciparsi desidera una femmina proprio perché il maschio è una figura negativa, che le ripropone quello che lei ha subito. )
(Alessandro, che solo ora riprende fiato, dice "Suvvia, ricomponiamoci!" e propone la sua terna.
Vince La concessione del telefono di Andrea Camilleri.
Prossimo libro: "La concessione del telefono" di Andrea Camilleri (preferito a "The help" di Stockett Kathryn e a "I piatti più piccanti della cucina tatara" di Alina Bronsk)
Prossima proponente: Marinella
Prossimo incontro: 25 marzo