Sì: Alessandro, Luisella, Marinella, Pierpaolo
Nì: Gabriella, Katia, Oscar, Sonja
No: Adriano
Marinella (sì, proponente): È un libro che mi aveva affascinato molti anni fa già alla prima lettura per la sua atmosfera misteriosa, per i personaggi e i paesaggi triestini, per la figura sfuggente di Bobi Bazlen che poi ho rincorso leggendo molti altri libri che tentano di ‘spiegare’ questo strano uomo.
Gabriella (nì): Sebbene questo libro sia breve, ho incontrato una certa difficoltà a leggerlo, e a momenti ho provato noia e insofferenza. Ho apprezzato i dialoghi tra l'autore e i vari interlocutori. Si trattava di discorsi che vertevano essenzialmente sulla personalità di Bobi Balzen, ma che allo stesso tempo sembravano quasi una sessione di psicoanalisi. Ho percepito disorientamento e solitudine nei molteplici discorsi interiori del protagonista, che costellano le pagine del libro. Pensieri che descrivono una girandola di sensazioni che spaziano a ruota libera all'interno della sua mente. Ma è come se il tutto fosse ricoperto da una nebbia sottile, da cui non traspare mai la luce. Rivelatrice del mio sentire, l'ultima frase del libro. L'unica da cui si irradia un senso di tenerezza e di calore affettivo. Riferendosi al gilet appartenuto a Bobi Balzen, che gli era stato donato, scrive: «Tenevo il pullover, con la delicatezza con cui si tiene un bambino».
Oscar (nì): Opera assai complicata, quella di Del Giudice. Non aiuta che del personaggio principale non viene spiegato nulla, e nulla viene spiegato del motivo della sua ricerca. Ancor più spiazzante è stato "inciampare" nel capitolo sul mondo navale e in quello sugli aerei (autore con velleità di divulgazione scientifica?). Alla domanda "perché Bazlen non ha scritto libri" non viene data una vera risposta e di questo intellettuale triestino veniamo a sapere ben poco attraverso le interviste documentate nel libro.
Katia (nì): Il libro l’ho ascoltato, non letto, mi rendo conto di non avere capito nulla, atmosfere confuse, è scritto bene ma ho capito poco.
Alessandro (sì): Ho apprezzato molto Lo stadio di Wimbledon di Daniele Del Giudice per l’atmosfera rarefatta che lo attraversa, punteggiata da frasi che assumono quasi la forma di aforismi. È un percorso di ricerca che attraversa varie tappe senza avere come obiettivo l’arrivo a una meta definita.
Il titolo mi ha colpito, anche se non ne ho compreso fino in fondo il significato. Molto significativa mi è sembrata anche la postfazione di Calvino, che esprime un giudizio fortemente positivo sull’autore.
Tra le frasi che mi hanno colpito di più cito:
«…come se il silenzio non permettesse la falsità, o almeno la probabilità, cioè la vita», che sembra porre un’equivalenza tra vita e probabilità.
«Meglio rappresentare la vita delle persone o agire su di essa? Raccontare o esistere?», che esprime il dilemma centrale del libro: scrivere o vivere.
«Divertirsi a vivere non è lo stesso che essere felici di vivere», che suggerisce la differenza sottile tra vivere senza scopo e vivere con pienezza.
In sintesi, ciò che più mi ha colpito è la dialettica costante tra scrittura e vita, e l’idea che la vera opera sia la vita stessa o l’aiuto dato agli altri.
Adriano (no): Del Giudice sa scrivere. Il libro è breve. La lista degli aspetti positivi termina prematuramente qui. No sono mai stato irrimediabilmente sedotto dalla dimensione meta (in campo artistico-letterario): la piece teatrale sul teatro, il film sul cinema, il lavoro narrativo -come in questo caso- sullo scrivere. In questo romanzo una piroetta in più: un racconto sulla non scrittura, tecnicamente si lavora nello spazio complementare della meta scrittura. Una blandizie per la cerebralità (con la certificazione del maestro Italo Calvino) che molce poco le mie corde emotive. Il pretesto è dato dall’intellettuale X con una vita al bivio tra il contagio delle vite altrui tramite la scrittura o il riverbero della propria ingombrante personalità su altre personalità altrettanto strutturate e forse ingombranti. Dell’intellettuale X nulla sapevo prima e nulla so dopo la lettura. Mutuando dal vernacolo “son andà dentro baùl e son vignù fora casòn”.
È chiaro che all’autore interessa punto raccontarci fatti e fatterelli dell’intellettuale X carpendoli dai superstiti di sodalizi intellettuali passati e fecondi. Gli incontri hanno quasi carattere rituale, le risposte alle non-domande sono indifferenti al protagonista. Forse alla ricerca di un processo osmotico? Della contaminazione di un fondo radioattivo superstite dell’intellettuale X tramite il contatto di chi ne è stato esposto direttamente? Arriva invece diretto l’interesse del protagonista per l’auto riflessione sensoriale: la fotografia cosciente nell’andare, nell’avvicinarsi, nell’allontanarsi, nel compiere l’azione. Sequenze di fotogrammi visivi e sensoriali dove ogni fotogramma è descritto con preteso (e pretenzioso) rigore formale, dai simboli della forma fino quasi a immersioni sub-simboliche (se fosse possibile esprimerle letterariamente). E pretesa di dare vita letteraria a descrizioni manualistiche: le rappresentazioni geodetiche, le procedure interattive di guida nella plancia dell’aeromobile. E anche nello schianto immaginato dell’aero sul monte quel che importa è l’ultima immagine registrata per sempre sulla retina (quindi ancora sub-simbolica). Imitando il don Abbondio cialtrone verrebbe da dire “sant’anima, ma che tormento”, che addomestica un più sub-simbolico e istintivo “Del Giù, c’ha zelliat ‘a ‘uallar” o una delle sue numerose varianti.
Pierpaolo (sì): Libro affascinante in cui ho trovato tanti motivi di interesse ma che mi ha fatto anche molto riflettere su cosa vuol dire scrivere per un autore che ha l’ambizione di essere un artista.
All’inizio mi sono perso dietro al riconoscimento di luoghi e personaggi descritti così sommariamente, anche se in alcuni casi con pochi tratti che permettono immediatamente il riconoscimento (Voghera come Miller, ma con gli occhi all’insù)i: poi mi sono chiesto quale fosse la motivazione della scelta di non citare gli intervistati Giorgio Voghera, Livio Corsi, Gerti Frankl, Franca Malabotta, Aurelia Gruber Benco, Ljuba Blumenthal esplicitamente per nome e cognome. Anzi, nemmeno Bazlen è citato esplicitamente.
Dietro a questa domanda, una seconda che il romanzo fa al lettore: cosa distingue un romanzo da un saggio, o da un testo critico?
Del Giudice, allora affermato giornalista letterario di Paese Sera, scrive un libro di debutto in cui ogni capitolo contiene un’intervista letteraria rovesciata, in cui cioè è lo scrittore che fa domande (anche se un po’ recalcitrante) a persone che nella maggior parte non sono scrittori, dando pochissimi riferimenti su di loro, trasformando così i propri interlocutori in fantasmi, in emblemi che parlano del suo Virgilio, lo scrittore che non ha mai pubblicato un proprio libro, ricostruendone la personalità, aiutando l’autore a rispondere alla sua domanda inespressa: perché scrivere un libro di narrativa, correndo anche il rischio di non essere del tutto originale, se una persona così importante per la cultura italiana del ‘900 e così piena di talento come Bazlen ha deciso di non lasciare altro che note, lettere e pochi appunti?
Mi sembra che la risposta alla fine sia questa, che lo scrittore agisce soprattutto sulla forma letteraria, che questa forma (cioè non la descrizione di quello che vede, ma come sceglie di descrivere quello che vede) ci dice molto del suo sguardo e della sua personalità, molto di più che vedere, ad esempio, una sua foto.
Allo stesso tempo le riflessioni di Del Giudice sulla scrittura, e sulla lettura, ci fanno capire che leggere aiuta a formare la propria personalità e indirizza il modo in cui noi reagiamo agli eventi che la vita ci presenta - quel tipo di azione che Bazlen faceva invece direttamente nei confronti dei propri amici e che soprattutto Ljuba ci racconta, in termini positivi, nell’ultima intervista del libro.
Aggiungo che, da quel che ho trovato in rete, dal momento che esiste nell’archivio dell’autore, custodito dalla moglie a Vicenza, un faldone di appunti, bozze e almeno una prima redazione di Lo stadio di Wimbledon, molto diversa da quella finale (con nomi e cognomi, indirizzi e titoli dei capitoli, e anche un altro titolo, ad esempio), mi sembrerebbe molto interessante che venisse curata un’edizione critica del romanzo, corredata da note esplicative.
Per finire, qualche informazione in cui mi sono imbattuto e che offro al gruppo, se non le avete già trovate anche voi:
1) Ljuba, romena ebrea di lingua tedesca (nata nel 1907, morta dopo il 1983), sposata dapprima con un tedesco gestore di campo da tennis a Roma, quindi con un chimico inglese. Bazlen la conosce intervenendo per difenderla dall’aggressione del marito, malato di mente, in un albergo a Milano - la loro intima amicizia sarà interrotta solo dalla morte di Bazlen.
2) Lo scrittore biondo coi capelli tirati indietro di cui parla Del Giudice nei primi capitoli è Giani Stuparich e il libro che cita è “Trieste nei miei ricordi”.
3) Del Giudice, figlio naturale di un uomo sposato, ha conosciuto il padre soprattutto attraverso le parole di sua moglie (non della propria madre).
4) La dedica che poi è stata tolta nell’ultima redazione del libro era: “Dedico questo libro a Luigi Ronzi, mio padre. Quando da ragazzino conobbi sua moglie, mi fece vedere molte fotografie. Mi sembrò che non sarebbe stato mai più possibile stabilire che tipo di uomo fosse stato.”
5) Voghera abitava alla Pia Casa Gentilomo già negli anni ‘80 credo, o almeno nei paraggi e i caffè in cui incontra l’autore sono il San Marco e il Tommaseo.
6) La signora dei sestanti, Franca Malabotta, abitava in via Franca 2 e il suo appartamento, di 270 mq, è stato venduto per circa 600.000 euro da Tirabora Immobiliare, qualche anno fa. Ancora visibili le foto su Internet, questa è la parete dei sestanti, con le finestre grandi da cui si vede la città attraverso il mare:
7) Gerti Frankl Tolazzi abitava in una villetta in via Belpoggio, detta villa Gerti, poco distante da via Franca, ma non so a quale civico.
8) Del ristorante di pesce su palafitte in cui va a mangiare con uno degli intervistati non ho memoria, secondo me è una licenza poetica, intende forse il bagno Ausonia.
9) Nemmeno riesco a immaginare quale possa essere il posto dove si mangia pollo allo spiedo scegliendo con quale legno cucinarlo, proprio non so, forse siamo nei pressi di Longera.
Prossimo libro: "L'ora di tutti" di Maria Corti (preferito a "Lezioni di tenebra" di Helena Janeczek e a "Verde acqua" di Marisa Madieri)
Prossima proponente: Katia
Prossimo incontro: 26 settembre