L'odore del sangue (di Goffredo Parise)

Proposto da Silvano

Riferimenti: IBS, Wikipedia

Discussione di ottobre 2019

Sì: Silvano, Oscar, Alessandra Ce., Marinella

No: Pierpaolo, Katia

Nì: Luisella, Alessandro

Oscar (sì): Le ripetizioni incontrate nel racconto non mi hanno disturbato: le ho intepretate come successivi flashback che portavano di volta in volta nuovi dettagli. Le ossessioni del protagonista per il giovane amante della moglie potrebbero anche essere interpetate in chiave omosessuale: ho letto di questo in una recensione al libro, e mi pare plausibile. Il finale drammatico del libro ha certamente a che fare con i sentimenti di rabbia e rivalsa dell'autore verso sua moglie (considerando che si tratta di un romanzo autobiografico). Ma se prendessimo questo finale come quello di un romanzo giallo, si potrebbe anche ragionare sulla possibile identità dell'assassino (l'amante, un conoscente dell'amante, o addirittura il marito stesso).

Alessandra Ce. (sì): I protagonisti sono attanagliati dalla noia, non è amore, non è passione. E’ un’analisi dell’ossessione. Mi ha portato a conoscere questi aspetti della vita che non conoscevo.

Marinella (sì): Bella l’analisi di Garboli, a pochi passi dalla morte Parise avverte l’urgenza, la necessità di consegnare un testamento sanguinante in cui l’odore del sangue è l’odore della vita. E’ un romanzo mentale, la storia di un incubo, debitore della prosa lucida di Moravia e della capacità di denudare ogni più piccolo fatto di Kafka. E’ un romanzo autobiografico? Certamente Parise sa di cosa sta parlando, ma non importa, ‘c’è un inferno e un romanziere che lo racconta’. L’analisi è maschile, i pensieri, le fantasie sono maschili nel descrivere la fascinazione della donna per il ‘fascinum’ che la condiziona e la tiranneggia per tutta la vita. Diciamolo, è un romanzo maschilista. Parise descrive un amore che diventa passione, ossessione, i morsi della gelosia, la ricerca spasmodica di prove, nella constatazione che la felicità che nasce dall’esaltazione erotica, lo stato di grazia di un amore simile a una droga, è una felicità passeggera e irreale. Bellissima la descrizione del rapporto madre-figlio delle pagine 128-129. La madre ama il bambino, non ama il figlio adulto. Impossibilità di crescere dell’amore materno e dell’amore coniugale, ricerca della giovinezza per continuare a vivere in questo stato. Analisi sensibile del rapporto con le donne, che vengono presto a noia, Silvia la sola donna che ha sostituito la madre, quindi grande amore per Silvia, ma non passione. Grande dolore per l’abbandono della madre, è naturale che un figlio abbandoni la madre, non è naturale che la madre abbandoni un figlio. ‘La sola madre che avevo avuto nella mia vita era stata Silvia, dunque Silvia non poteva abbandonarmi’. Nell’ultima parte però il romanzo mi ha stufato perché parise ripete le stesse cose, Tenta di spiegare cose già capite prima. Bella l’appendice che si conclude con gli individui di altra specie.

Alessandro (nì): La lettura faticosa dell'inizio mi ha indotto a saltare numerose pagine per arrivare alla fine. Inquietante il finale drammatico, ma mi ha irritato la morte della donna quasi come a punire un modo di vivere il sesso alternativo (sadomasochistico). Non ho capito la metafora dell'odore del sangue, né la tipologia d'amore tra il protagonista e la moglie. Se è metafora della vita perché è nauseante? Interessante la contrapposizione tra natura animale e natura razionale e la ricerca di ritrovare la propria giovinezza nell'abbraccio con un amante giovane.

Pierpaolo (no): Voto No perché secondo me è un abbozzo di romanzo che probabilmente non si sarebbe dovuto pubblicare. Scrisse infatti Parise all’amico Nico Naldini: «Carissimo Nico, in caso di mia morte tu e Giosetta sarete gli unici a decidere sulla sorte dei miei libri. (...) Nell’archivio di via Vittoria c’è un abbozzo di romanzo: non deve essere pubblicato mai, ma distrutto: non ha forma, è delirante, ripetitivo, senza stile, insomma è un minestrone. Puoi leggere solo tu e decidere solo per qualche stralcio...» Era quindi consapevole che si trattava di una prima stesura su cui sarebbe dovuto ritornare, probabilmente tagliando molto, ma la malattia glielo impedì. Il contenuto è fortemente e dolorosamente autobiografico: disse Parise alla compagna, la pittrice Giosetta Fioroni (Silvia), prima di morire: «Se fossi stato un’altra persona sarei andato da uno psicoanalista per liberarmi dalle mie ossessioni. Ma siccome sono uno scrittore, me ne sono liberato scrivendo”. Non so se sia veramente riuscito a liberarsi di questa ossessione, ma so che la lettura è stata faticosissima e ossessionante per me: ci sono pochissimi fatti e tutto succede e torna a succedere nella testa del protagonista Filippo, in un interminabile monologo, in cui ricostruisce il suo rapporto sadomasochistico con la moglie Silvia, quello con l’amante Paloma e quello di Silvia con il giovane amante neofascista Ugo. Mi è piaciuto di più quando descrive qualcosa: la visita alla madre, il dialogo con il collega analista, i ricordi dei viaggi in Oriente, soprattutto le pagine su Roma invasa da giovani romani neofascisti, in pagine che sono anche un omaggio postumo, funebre e funereo a Pasolini e un rimpianto per l’Italia che sta cambiando, perdendo il contatto con la propria tradizione. Pagine che ho trovato anche drammaticamente attuali. Non mi sono piaciute le pagine sul sesso, che ho trovato malate, piccolo borghesi, inquinate da un cattolicesimo di fondo per cui la pratica sessuale è negativa in sé e il piacere va punito con la morte, specie se al femminile. Parecchi punti (l’ossessione per il pene di Ugo) mi hanno fatto venire anche dubbi sull’orientamento sessuale dell’autore. Certe espressioni di Silvia mi sono sembrate incredibili, del tutto fuori luogo, inadatte al personaggio, che mi sembra il meno riuscito.


Prossimo libro: "Il monte del cattivo consiglio" di Amos Oz (preferito a "La mia Africa" di Karen Blixen e a "Storia di una capinera" di Giovanni Verga)

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Prossimo incontro: 29 novembre