Chirù (di Michela Murgia)

Proposto da Gabriella

Riferimenti: IBS, Wikipedia

Discussione di giugno 2021

Per il no: Marinella, Luisella, Pierpaolo, Sonja

Per il nì: Alessandro, Oscar, Gabriella

Gabriella (proponente, nì): Ho proposto il libro perché mi piace lo stile con cui scrive la Murgia ed ho avuto modo di apprezzare più volte alcune sue considerazioni, durante la trasmissione 8 e ½ della Gruber, seppure non mi sia sempre trovata d’accordo con lei. Il libro risulta fluido nella lettura e rappresenta, a mio parere, un percorso di guarigione interiore, che la protagonista fa rispetto alla figura maschile di un padre violento. Cosa che di conseguenza la porta ad avere rapporti conflittuali con il genere maschile che non gli permettono di vivere un’unione serena e il desiderio di mettere al mondo un figlio. Con Chirù si crea una sorta di legame di tipo edipico che ad un certo punto la protagonista tronca, perché non è più in grado di gestire. Lieto fine come nelle favole: trova l’uomo giusto e resta incinta.

Alessandro (nì): Ho trovato il libro abbastanza fluido, quasi piacevole. Ma mi ha infastidito la trama poco realistica e le dinamiche manipolatorie che s’instaurano tra i due protagonisti, creando un gioco di specchi. La storia mi ha inquietato, con particolare riferimento ai condizionamenti e alle mistificazioni che intercorrono tra la donna e il giovane.

Marinella (no): Ero contenta di leggere un libro della Murgia perché mi erano piaciuti Accabadora e Ave Mary, e in fondo perché apprezzo abbastanza i suoi interventi alla TV, anche se negli ultimi tempi sono sempre un po’ troppo aggressivi. Invece il libro mi ha deluso moltissimo. La storia è improbabile, chi vorrebbe una maestra come quella?, i personaggi sono inconsistenti e la prosa è retorica. Insomma un brutto libro.

Sonja (no): Ringrazio Gabriella per aver proposto questo libro, in quanto mi ha fatto realizzare che non leggerò mai più la Murgia. I valori che lei propone, non sono quelli che un insegnante dovrebbe avere. Non ho potuto finire il libro. Mi hanno infastidito particolarmente le prese di posizione ed i giudizi . Non ammetto le certezze universali che vengono propinate. Sputa sentenze e regole di vita sbagliate. Non mi è piaciuto. Alla fine è lui ad insegnare a lei.

Oscar (ni): Ho trovato il libro scorrevole, anche troppo. Il ritmo è di tipo televisivo con finali di capitolo sospesi (cliffhanger). Il primo capitolo mi ha coinvolto molto: mi sono rivisto da piccolo alla fiera del paese. Per quanto riguarda la parte negativa, mi trovo d’accordo con quanto detto dagli altri. Il libro è disseminato da fuochi d’artificio letterari, una marea di Haiku. Alla millesima frase di questo tipo temevo mi venisse il diabete. Ad ogni modo riesco a comprendere chi possa avere il desiderio di trasmettere il proprio talento e le proprie conoscenze ad altre persone.

Pierpaolo (no): Le mie impressioni per punti: siccome sono tanti quelli negativi, complessivamente la valutazione personale è no.

Positivo:

  • la rievocazione del luna park visitato da bambina dalla protagonista, mi ci sono ritrovato, anche se difficilmente i miei genitori mi negavano qualcosa, se non pericoloso.

Negativo:

  • manca l’ispirazione e io non ho trovato un perché alla domanda di fondo sul motivo per cui l’autrice ha scritto questo libro e su cosa la protagonista crede di dover insegnare al ragazzo Chirù,

  • eccessiva ricercatezza stilistica e anche delle situazioni descritte (la festa romana, il sarto di Cagliari, il lusso ricercato ed esibito in molti punti - cachemire, radica, sandalo...) fanno pensare a D’Annunzio e Liala,

  • eccessiva contraddittorietà della protagonista, che in breve si trasforma da femminista sfegatata a brava mogliettina e mammina,

  • i toni da romanzo rosa sono fuori luogo e connotano il romanzo come lettura da ombrellone,

  • eccessiva leggerenza nell’affrontarte un argomento pesantissimo come il suicidio di un adolescente,

  • non spiega il conflitto della protagonista con il padre, se non per rapidi cenni,

  • l’amo per il lettore, la frase ad effetto con cui si chiude ogni capitolo è stucchevole ed irritante.

Forse proverò a leggere qualcosa di più riuscito dell’autrice, come potrebbe essere Accabadora.

Luisella (no): Ringrazio Gabriella per avermi dato l'occasione di leggere Michela Murgia di cui non avevo mai letto niente. Eppure la conosco, anche un po' mi incuriosisce, è colta, brillante, ha una grande capacità affabulatoria, che verifichiamo nelle interviste, dei dibattiti, nelle sue incursioni come opinionista televisiva... Ecco, credo sia stato proprio questo a tenermi lontana, anche dal romanzo di cui si era parlato di più, “Accabadora”.

Non riesco ad avvicinarmi a uno scrittore che mi sembra più un fenomeno mediatico che non la creatura ritrosa, invisibile e discreta che secondo me uno scrittore deve essere.

Ripeterò fino allo sfinimento la frase (tratta da “Ieri” di Agota Kristof) in cui, alla domanda rivolta al protagonista (“Perché sei solo un operaio, perché sei diventato un niente?”, il protagonista risponde: “Perché è solo diventando un niente che si può diventare uno scrittore”.

Questo per me è Vangelo.

Quindi diffido istintivamente dello scrittore molto presente in tv, molto preso da se stesso e dal gusto della propria voce.

Però, ripeto, Murgia ha una grandissima capacità di parola, io la ascolto volentieri, e anche la ammiro e la invidio per questa sua potenza verbale. Parla bene e scrive bene.

Ma quel voglio dire stasera si riassume in questa frase: PER SCRIVERE BENE, NON BASTA SAPER SCRIVERE BENE.

Sì, c'è un esercizio di stile pulito e inattaccabile; ci sono delle belle frasi che però mi sembrano involucri vuoti di senso e di anima.

Ci sono anche delle intuizioni psicologiche indovinate, ne ricordo due:

- il fatto che in una famiglia ci sia sempre chi decide l'andamento emotivo, chi muove l'ago della bilancia degli umori. Questo è verissimo. Non so se sia una questione di equilibri di forza, di personalità decise o deboli, o di manipolazione, non lo so, però è vero, e credo che questo davvero avvenga in ogni famiglia, più o meno intensamente.

- l'altro esempio è quando Chirù parlando della ragazza che l'ha lasciato, dice di avere una sensazione di “condanna senza accusa”. È verissimo anche questo: quando si viene lasciati, spesso, ti viene subdolamente instillata l'idea che tu abbia fatto qualcosa di sbagliato, di goffo, di inopportuno, ma non si sa bene cosa; la colpa è tua ma non si sa quale sia. “Condanna senza accusa” è proprio una descrizione azzeccata.

Riassumendo, insomma, non solo la Murgia scrive bene, ma ha anche sprazzi di grande profondità e acume psicologico.

Perciò mi fa ancora più rabbia che questo romanzo sia un totale fallimento. Ma come? Hai gli strumenti, hai i mattoni, e non sai costruire niente?

Questo romanzo non costruisce nulla. Non c'è una storia, non ci sono personaggi autentici, vivi, plausibili. Non c'è niente di credibile.

Fin dall'inizio. C'è una bella frase: “Chirù venne a me come vengono i legni alla spiaggia, levigato e ritorto, scarto superstite di una lunga deriva”, ma la concreta occasione in cui i due si incontrano e Chirù chiede a Eleonora di essere la sua mentore, non ha niente di verosimile.

Poteva essere proposta una situazione più normale: ad esempio, lui poteva essere uno studente di arte drammatica, aver apprezzato Eleonora durante una sua lezione in accademia. Perché volerlo violinista? Perché un violinista deve rivolgersi a un'attrice? Non c'è nulla che possa giustificare la richiesta di Chirù. Secondo me il rapporto maestra /allievo doveva nascere in modo più normale e con un corso a pagamento di cui si comprendono le dinamiche. Poi nel corso delle lezioni, si insinua una confidenza crescente, un affetto, una reciproca dipendenza, ecc ecc... Ma all'inizio, affinché io possa credere a quello che mi racconti, devi darmi un terreno su cui posso poggiare i piedi.

Questo rapporto da pigmalione/allievo invece è del tutto inconsistente. Cosa dovrebbe insegnare, Eleonora? A vivere? A distinguere i tessuti e vestirsi meglio? A conversare brillantemente?

Vaghissimi sono anche i riferimenti agli allievi precedenti, Teo, Alessandro e Nin.

Nin è morto suicida. Perché? Il suicidio di una persona giovanissima è una bomba dal punto di vista narrativo, l'autore non può buttarla lì e poi non curarsene più, se non con pochi e vaghi accenni.

In questo romanzo mi pare tutto finto. Fuffa!

Il rapporto con l'ex Fabrizio, le frequentazioni romane, la cena con i produttori, l'amicizia con Teresa... Tutto fuffa.

E l'amore con Martin è del tutto incongruente.

Per tutto il romanzo Murgia ha voluto farmi credere che Eleonora fosse una donna forte, indipendente, fiera nella sua solitudine, che non ha voluto figli, che non ci tiene a sposarsi (anzi, il matrimonio le sembra uno sgradito “incasellamento” in ruoli da cui vuole fuggire). E alla fine, la ritroviamo sposata (con un riccone) e incinta, nel più banale happy end da Cenerentola?!

Certo, nella vita si cambia, cambiano i sogni, le prospettive, il modo di amare. Ma allora questo cambiamento me lo devi far sentire, me lo devi mostrare piano piano.

Concludo dicendo che per me è importante che uno scrittore sappia descrivere gesti ed emozioni.

Qui i gesti sono banalissimi (“gli carezzò il bavero del cappotto”, “bevve l'ultimo sorso di whisky e posò il bicchiere sul tappeto davanti al divano”) quando non assurdi: Teresa col suo stupido esempio di sistema solare con i mandarini sistemati sullo strofinaccio.

“Alziamo il telo, reggendolo forte agli angoli, tenendolo teso”, dice. Quattro angoli, quattro mani impegnate. Ma subito dopo: “Prese un'arancia e la buttò sul telo”. Con quale mano ha preso l'arancia???

Lo so, sembra un'osservazione sciocca ma non lo è. Significa che Michela Murgia scrive a vanvera, che non riesce a mettersi fisicamente nei panni dei personaggi, e questo è gravissimo.

Veniamo alle emozioni... Non è facile descriverle, ma sei una scrittrice. Se non lo sai fare, cambia mestiere.

Per descrivere quello che Eleonora prova tra la tensione dello spettacolo e l'applauso, usa questa frase: “qualcosa di teso mi si sciolse dentro, ricominciò a scorrere nelle arterie, negli alveoli dei polmoni e nei gangli dei pericordi, rendendomi fluide anche le ossa”.

Io consiglierei alla protagonista di prendere qualche appuntamento al CUP!

Ultima cosa che trovo irritante... Dopo la pubblicazione del romanzo nel 2015, Michela Murgia ha aperto alcuni profili sociale a nome di Chirù (su Facebook e altre piattaforme che non conosco). Ovviamente era lei (o chi per lei) a scrivere i post in cui Chirù raccontava di essere stato al pub con un amico, e altre amenità, come un ragazzo qualsiasi.

Non si è servita del profilo di Chirù per anticipazioni e dibattiti, ma ha voluto (così diceva) sperimentare la contaminazione dei linguaggi, creare una nuova interazione tra personaggio e pubblico, all’interno di un ambiente virtuale dove fantasia e realtà si intrecciano continuamente... Mah, io sarò di vecchio stampo, ma a me questa trovata pare una sciocchezza!

Prossimo libro: "Il richiamo di Alma" di Stelio Mattioni (preferito a "Maria Zef" di Paola Drigo e a "Materada" di Fulvio Tomizza)

Prossimo proponente: Pierpaolo

Prossimo incontro: 30 luglio