N.d.P (nota di Pierpaolo): Purtroppo alla riunione non sono potuto venire ma ho ascoltato la discussione registrata e ho avuto da molti di voi i contributi scritti. Ho deciso in ogni caso di riportare alcune delle cose che avete detto nel corso della riunione, portati dal colloquio e confronto con gli altri, anche se non presenti nei contributi che mi sono stati mandati.
Presenti: Alessandro, Alessandra Cepar, Marinella, Oscar, Luisella, Gabriella, Tomas, Alessandra Covach, Marisa.
Hanno detto tutti Sì, tranne Alessandra Covach e Marisa che hanno detto Nì.
La motivazione della scelta viene letta dalla sempre ospitalissima padrona di casa Alessandra. L’avevo proposto perché mi era piaciuto tantissimo, pensando a quanto per l’italia sia importante la lingua, veicolo di unità nazionale, una delle lingue parlate più arcarica parlata, tanto che siamo in grado di leggere Dante senza troppendifficoltà: una lingua che non avrà tanti parlanti, ma ha però tantissimi appassionati.
Inoltre pensavo che fosse un libro che stimolasse una discussione sulla difficoltà della traduzione, sull’intimità del rapporto tra il parlante e la lingua, una vera storia d’amore, e magari sull’eccessiva rigidità della classificazione che si dà dei generi letterari.
Invece, spinta da un’osservazione di Alessandro, la discussione ruota sullo scoprire la motivazione della scelta, tra tante lingue, proprio dell’Italiano.Scelta fortunata quella di Lahiri, direi, visto che complessivamente il libro è piaciuto! Fortunata forse, ma non per tutti adeguatamente motivata.
Comincia Alessandro, subito con un piglio investigativo. Il positivo di un gruppo di lettura è che si viene “costretti” a leggere un libro anche quando all’inizio non è convincente, come per me questo. Ho proseguito dopo le prime pagine, turbato dal fatto che non fosse un Romanzo, e andando avanti mi ha quasi commosso ma non ho capito bene perché. Però mi mancava la storia (intreccio).
Alla fine ho apprezzato la brevità, l’argomento, l’attenzione per diversi mondi, l’uso di uno stile e di metafore che colpiscono.
Ma una cosa resta ancora da scoprire! Perché l’autrice tra tante lingue ha scelto proprio l’Italiano? Spero che dal Gruppo emerga una spiegazione. Io non ho trovato nessuna motivazione razionale e soprattutto specifica della scelta proprio di questa lingua. Cosa mai l’avrà colpita tanto? Perché non tornare al bengalese, sua lingua madre, piuttosto?
Sembra quasi che sia rimasta affascinata dalla lingua italiana e non da qualche aspetto del Paese e poi quindi dalla lingua per conoscerlo.
Ho fatto delle considerazioni personali su quanto sarebbe bello poter condividere la lingua, e il mondo, con la persona cui si vuole bene e con cui si parla in una lingua terza, neutrale.
Luisella racconta di aver sfogliato il libro durante un viaggio: l’ho trovato subito interessante, perché conoscevo e stimavo già la scrittrice. Bengalese, naturalizzata americana, dappertutto si sente straniera. Anche questo libro parla della barriera, del pregiudizio. Mi è sembrato che l’amore di lei per la nostra lingua sia un insegnamento per noi italiani, che non la apprezziamo più.
Il lettore leggendo questo libro può cogliere il lavoro di scrittura, e magari anche altre volte leggendo potremo apprezzare di più la fatica che lo scrittore ha fatto per scegliere quella parola e non un’altra. Ma anche chi scrive può imparare qualcosa sulla serietà di scrivere, e sulla discrezione di venir fuori solo con quel che si scrive, senza mettere la propria figura al centro dell’attenzione. Iniziando da capo con l’Italiano Lahiri ha potuto far diventare di nuovo protagonista la sua scrittura. Al centro dell’attenzione non è più lei, l’affermata scrittrice americana premio Pulitzer, come avveniva nel mondo angolamericano. Una scrittrice, e non una giornalista, così di successo che da un suo libro è stato tratto un film: Il destino nel nome. Film, e libro, che parlano dell’integrazione di un ragazzo di origine bengalese negli USA.
Luisella ha scritto di questo libro nel suo blog, per chi interessa, qui.
Oscar è molto incuriosito dal plurilinguismo: sentire da stranieri cosa ne pensano dell’Italiano è un po’ come sentire dagli altri cosa pensano di te. Così possiamo capire cosa pensano dell’Italia.
Le impressioni di chi impara una nuova lingua è un argomento che seguo, e quindi questo libro mi è stato subito familiare.
Perché uno straniero dovrebbe volerlo imparare? Innanzitutto per la grande notorietà dell’Italia all’estero. Prima o poi tutti quelli che se lo possono permettere vengono in Italia. Qualcuno rimarrà deluso, ma molti rimangono stregati. Cultura, cibo, arte, carattere delle persone…
Nel caso della scrittrice, c’è un punto in cui ricorda di essersi molto impegnato nel latino, che è il diretto precursore dell’Italiano.
Quindi il libro mi è piaciuto come argomento e perché mi piace quando una persona dice qualcosa di molto personale e lo argomenta in modo chiaro e appassionato.
Gabriella lo definisce un libro grazioso, carino, dolce, pur descrivendo anche dei momenti di ansia e preoccupazione. Mi sono anche ritrovata come in uno specchio, perché è da anni che sto cercando di imparare l’inglese, con tutte le difficoltà che a diverso livello anche Lahiri trova con l’Italiano. E mi son chiesta: ma perché mi piace tanto l’inglese? Una domanda cui non saprei rispondere. Mi attira, mi coinvolge, provo una sorta d’amore. Così mi sono sentita complice della scrittrice.
Mi ha dato un senso di freschezza, di dolcezza che conosco tipico delle donne indiane: ha conservato le sue radici. Un libro che è stato un po’ come guardarsi allo specchio.
“Il libro mi è piaciuto e sono riuscita ad immedesimarmi nella scrittrice, in quanto da alcuni anni sto cercando di approfondire la mia conoscenza della lingua inglese.
Mi sono ritrovata davanti ad alcune delle stesse difficoltà provate dalla Lahiri e il libro mi ha rimandato un’immagine speculare delle sensazioni che provo quando mi approccio alle difficoltà dell’inglese.
Ho percepito momenti di ansia presenti in più punti della narrazione.
Ho apprezzato lo stile semplice ma non privo di termini che presuppongono una buona conoscenza dell’italiano. Sembra quasi un diario, un monologo interiore.”
Marisa manda il suo contributo:
“Questo scritto autobiografico è una somma di impressioni dettate dall'entusiasmo e insieme dal timore dell'autrice che decide di adottare una nuova lingua a lei estranea, l'italiano, da cui viene misteriosamente sedotta: la sua è un'infatuazione vera e propria.
Interessante è la similitudine del triangolo, dove ogni lato rappresenta una lingua che si congiunge al vertice con le altre due, ciascuna importante, ma nessuna che l'autrice possa sentire veramente sua, nemmeno la madrelingua. L'apprendimento dell'Italiano è un qualcosa
in più, è un mezzo per sondare il proprio io più nascosto, sempre in bilico fra nuove incertezze.
Del resto, l'incertezza è la molla della creatività, dell'espressione artistica, della comunicazione in senso lato.
Nei due brevi racconti vediamo il sovrapporsi della fantasia e del sogno alla realtà: fantasia e sogno metafore di paure, ripulse, desideri; realtà intesa come consapevolezza dei propri limiti e come stimolo a proseguire in altri percorsi di ricerca e di conoscenza.
Nel primo racconto, Lo scambio, il golfino smarrito e ritrovato simboleggia il desiderio dell'autrice di sdoppiarsi in un'altra identità, quella che le permetterebbe di non riconoscere più le proprie imperfezioni e di vivere un'altra versione di se stessa, sganciata da ogni esperienza già vissuta.
In Penombra il sogno del protagonista infrange l'illusione dell'immutabilità dei sentimenti e attesta quella continua metamorfosi necessaria a dare un'ossatura fisica e spirituale alla nostra esistenza.
Tutto ciò scritto con estrema naturalezza e proprietà di linguaggio, anche se, al di là della lettura molto scorrevole, il diario di questo “viaggio interiore” risulta a volte piuttosto frammentario e ripetitivo nel susseguirsi dei capitoli, oltre che apparentemente avulso dai racconti inseriti.”
Ma nel corso della discussione anche Marisa si fa coinvolgere dalla spirito investigativo di Alessandro e si chiede perché Lahiri rifiuta la sua lingua madre? E’ un po strano. Più che strano, chiosa Alea, è “originale” (come per Svevo la vita stessa).
Alessandra Ce. ha lasciato subito perdere la sfida della classificazione (è romanzo? È narrativa?), seguendo il viaggio interiore della protagonista, che ha il coraggio di andare dietro se stessa scoprendosi nella propria fragilità.
Perché l’Italiano? Forse perché è un luogo dell’anima, ha sentito un’attrazione. Mi piace anche per questo, perché è qualcosa di irrazionale, come il colpo di fulmine.
Studiando altre lingue mi è capitato di trovarmi ad apprezzare ancora di più la nostra, per un qualcosa di assolutamente particolare che ha. Probabilmente una sua musicalità completamente diversa dalle altre. Un’armonia che attrae, ce l’hanno detto anche nel nostro recente viaggio in India.
Della scrittrice mi è piaciuto questo suo mettere a nudo senza paure la sua fragilità, e di fondo il suo sentirsi apolide. Come se si sentisse naufraga e cercasse nell’Italiano un approdo.
Marinella: “Tutti i capitoli, tranne l’ultimo, bellissimo, sono stati pubblicati, e si nota, come articoli su ‘Internazionale’. E’ la descrizione di un innamoramento e di una metamorfosi grazie a una lingua straniera. Mi è piaciuto anche se ogni tanto mi accorgevo di pensare ‘ma in fondo chissenefrega…”
L’amore per una lingua dipende dalla nostra cultura, dall’insieme delle cose cha amiamo.
Anche io amo tanto l’Inglese come Gabriella e so perché: perché Shakespeare ha scritto in Inglese. Ed è un autore che ha detto tutto quello che c’era da dire su qualunque argomento.
Il gruppo resta sbigottito da questa decisa affermazione, che rischia di trasformare gli Assorbilibri in un gruppo di letture shakespeariane!
Per aiutare a superare l’impasse Marinella racconta un aneddoto: c’è una signora di più di 70 anni, di cultura modestissima, che sta studiando l’Inglese da sola e non capisce perché non basti tradurre l’Italiano parola per parola. Spiegando a lei mi sono resa conto che studiare un’altra lingua vuol dire rendersi conto dell’esistenza di un modo diverso, anche radicalmente, di guardare e conoscere il mondo.
Traspare, dalla lingua che usiamo, il nostro mondo interiore: ricordo i tanti viaggi con Mirella, quando mi diceva, lasciando un albergo, «scendo le valigie»: questo è un calco dal Siciliano. Perché l’Italiano ha vari usi regionali, e contaminazioni che usano anche le persone colte. Pensiamo ai modi per indicare il pane, o il caffé.
Marisa porta un esempio sentito recentemente: «Un ristretto moderato…»
E questo, a Shakespeare, non era di sicuro venuto in mente. Anche perché la prima caffetteria in Inghilterra non comparve che verso il 1650. Ma se sa, Trieste xe unica.
Tomáš:
Il libro mi è piaciuto. Un mese fa l'ho votato perché anch'io sono uno straniero che ha deciso di trasferirsi in Italia ed imparre la lingua locale, che mi piace molto. E come per la scrittrice, anche per me è stata la prima lingua liberamente scelta e non impostami dai genitori, scuole ecc., quindi ero supermotivato ad imparla.
Per il libro devo però dire che mi aspettavo un testo un po' più elaborato, profondo, e l'ho invece trovato un po' troppo leggero, superficiale e ripetitivo. Ma comunque dopo le nostre ultime letture andava bene scegliere qualcosa di leggero. Grazie al fatto che anch'io sono un immigrato ho condiviso tante sensazioni con la scrittrice. Il capitolo che mi ha colpito di più era decisamente "Il muro", immaginavo chiaramente quelle situazioni spiacevoli che lei descriveva (il marito che non parla italiano è considerato italiano, lei invece, nonostante tutta la sua fatica, si sente rifiutata) e capivo perfettamente le sue sensazioni. A me per fortuna raramente succede così, o perché sono di origine europea e quindi non così apparentemente extraitaliano, o perché qui a Trieste nessuno è straniero.
Ma anche e soprattutto Tomáš non può sottrarsi all’incalzante interrogatorio dell’ispettore Sicora: perché imparare l’Italiano? Perché proprio l’Italiano, e non l’Inuit, la lingua degli eschimesi, che permette di usare decine di parole per indicare i vari tipi di neve con estrema precisione?
L’esperienza di Tomáš, messo alle strette da Alessandro, è che i cechi sono tutti pazzi per l’Italia, per 4 cose legate assieme:
per il mare - noi non l’abbiamo e sotto il Comunismo era impossibile viaggiare all’estero, e il mare caldo era un sogno irraggiungibile;
per il cibo;
per la lingua - durante il comunismo la cultura angloamericana non poteva arrivare, ma quella italo francese sì perché in quei paesi c’erano i comunisti, e così ci innamorammo della canzone italiana, così musicale, con tutte quelle vocali - per questa musicalità è una lingua naturale che si impara con meno sforzo “a orecchio”;
per i maschi, per la bellezza mascolina mitica degli anni ‘60, per i film con Mastroianni - il sogno di tutte le ragazze ceche era avere un fidanzato italiano.
Una cosa che aiuta chi impara l’Italiano è che c’è tanta ridondanza. Bye contro Ciao, saluta a casa, ci vediamo domani. Basta cogliere una parola sola e si capisce tutto!
Ovviamente anche nell’Italia, e nell’Italiano ci sono tante cose negative.
Tomáš chiude il suo contributo con una raccomandazione: smettetela di dire “non sono capace di impare quella lingua”, è questione di pigrizia non di mancanza di capacità, necessità e possibilità. Per imparare una lingua bisogna andare due anni in quel paese dove si parla. Non si deve invidiare chi parla un’altra lingua, dietro c’è tutta la fatica, e l’occasione impagabile, di andare a vivere in un altro paese. Io questa scelta l’ho fatta dopo il dottorato, più di dieci anni fa. Avrei potuto rimanere a Praga ma ho deciso di venire qui e sono felice di aver fatto questo passo quando potevo. Voglio restare finché mi piace, io qui sono a casa.
Anche se Tomáš è stato un ottimo testimone, ho l’impressione che il commissario (nel frattempo è stato promosso) Sicora non sia ancora pago delle spiegazioni ricevute.
Alessandra Covach:
Gli innamorati che parlano del loro amore, talvolta, nelle comunicazione del loro vissuto rischiano di risultare ripetitivi e poco interessanti. Il mio ni è dovuto a questo, forse, e all'idea che mi ha fatto sorgere di essere nato, come libro, a seguito di un corso di scrittura. Mi risultava dispersivo, ripetitivo, cucito assieme senza naturalezza. Anche se nel capitolo in cui dichiara l'attenzione febbrile per la traduzione mi ha quasi commosso e me ne ha fatto parlare a un'amica traduttrice. Mi ha fatto pensare a diversi aspetti della comunicazione. Mi ha ricordato la difficoltà che ho sempre anche io, e non solo io, a scegliere le preposizioni da usare quando vorrei parlare un'altra lingua; e la difficoltà che hanno i sordi che non potranno mai sentire parlare un'altra lingua, (e ben dice l'autrice quanto sia necessario sentire la lingua per viverla); mi ha fatto pensare a Goethe, che dichiarava: “se una persona non conosce altre lingue allora non può dire di conoscere nemmeno la sua” e a Sir Richard Francis Burton, che di lingue ne conosceva 27. (qualcuno dice fossero persino 40!! fra lingue e dialetti, beato lui).
Ascoltando la registrazione non ho potuto farmi un’idea precisa di chi sia il colpevole, né tantomeno di quale sia stato il movente del delitto, o il fomite della passione di Lahiri per l’Italiano, ma sono sicuro che quella commozione che un po’ tutti dicono di aver provato, leggendo questo o quel passo del libro, dimostra che nel’intimo siamo tutti consapevoli che nel rapporto che abbiamo con la nostra lingua c’è molto di più della funzionalità del semplice uso strumentale: c’è passione, sentimento, intima consuetudine. C’è la certezza della necessità e della bellezza della poesia.
Prossimo libro: "La dodicesima notte" di William Shakespeare (preferito a "Le anime morte" di Nikolaj Gogol' e a "La corriera stravagante" di John Steinbeck)
Prossimo proponente: Alessandro
Prossimo incontro: 25 novembre