Sì: Alessandra Co., Alessandra Ce., Pierpaolor, Marisa, Oscar, Maddalena, Tomas e Gabriella
Ni: Massimo I., Luisella e Sara
Alessandra Co. (sì, proponente): Ho proposto questo libro perché quest'estate sono andata a trovare mia figlia in Svezia e una sua amica leggeva delle poesie di questa autrice e anche questo libro. Mi intrigava, mi ha colpito e poi mi piaceva l'idea di approfondire le mie conoscenze su scrittori molto apprezzati all'estero e che qui non si conoscono. Il tema della Verità, poi, e del rispetto per l'altro e dei rapporti umani, veri profondi, ricchi di sensibilità, e di una società che possa sorgere e crescere e svilupparsi su queste basi è qualche cosa che mi ribolle dentro da quando son bambina. L'orrore per uno Stato e un potere che calpesta l'individuo, incapace di mantenersi umano mi risuona da quando leggevo l'Antigone di Sofocle. Mi è piaciuto. E' un romanzo distopico che mi ha fatto riguardare il film tratto dal romanzo di Huxley, "Il mondo nuovo". Sono felice di ascoltare cosa ne pensate.
Tomas (sì): Questo libro è stato una bellissima sorpresa. Leggendolo non potevo fare a meno di confrontarlo con Orwell, molto più famoso con 1984, conosciutissimo, mentre Kallokaina è un libro sconosciuto. La fine è meno elaborata, ma mi è piaciuto molto. Il protagonista di 1984 è contro il regime, in Kallokaina la crescita dell'opposizione al regime è lenta. Me è un libro che ricorderò ("Giorni in Birmania" me lo sono già dimenticato). Sembra scritto da un uomo. (Marisa si inserisce facendo notare la violenza subita dalla moglie del protagonista, il narrato, psicologicamente parlando, le risulta più affine al vissuto femminile.)
Alessandra Ce. (sì): La scrittrice delinea un mondo opaco, informe, privo di contorni dove manca del tutto il contatto con la Natura. Tutto si svolge dentro gli edifici e nei sotterranei. Un mondo apocalittico che l’autrice quasi quasi si aspetta si veder realizzato in seguito agli eventi che si stanno svolgendo in quegli anni di guerra e dominio della Germania Nazista e del comunismo staliniano. Affiora in tutta la sua forza il sogno millenaristico del nazifascismo (i rigidi tratti delle città corporative, lo stato permanente di allarme per una guerra da combattere per conquistare territori inutili, i terribili esperimenti sulle cavie umane, la paranoia diffusa che fa sospettare di tutto e di tutti, la "propaganda" attraverso la tecnica, il cinema, la stampa; l’inquadramento fin da bambini, l’idea dello STATO MONDIALE, l’idea che il singolo non era altro che una cellula senza scopo se non quello di servire la totalità dell’insieme). L’autrice a volte tende a "confondere" e coniugare le ideologie fasciste e comunista. Totalitarismo, appiattimento e distruzione dell’individuo in nome di un’onnipotente società-stato, un mostro a cui è dovuta ogni lealtà, sacrificata ogni aspirazione. Non c’è speranza nelle parole del romanzo. Ci sono persone che fanno una certa "resistenza", ma è una resistenza solo interiore e piuttosto blanda.
Ho trovato qualche similitudine con la situazione mondiale attuale:
- Una sensazione opprimente dello Stato Mondiale (gruppi di potere, Occidente, Daesh, che vogliono “esportare” i loro modelli di vita, imponendoli anche con le guerre
- Guerre e terrorismo dentro e fuori dall’Europa
- Ossessione del "controllo" che però non produce maggior sicurezza ma solo un aumento dell’ansia e accresce l’impulso di colpire indiscriminatamente intorno a noi.
Una grossa differenza che trovo tra quanto descritto nel libro e quanto viviamo nel mondo reale riguarda la cosiddetta "resistenza". Oggi il dissenso è più evidente; è molto più diffuso il risveglio della coscienza delle persone. Nel romanzo il protagonista si rende conto dell’errore commesso avendo denunciato un collega per i suoi pensieri e idee contrarie al "regime" i il protagonista scopre di condividere quegli stessi pensieri e ideali), ma questo suo risveglio, questo embrione di libertà che si afferma nella sua coscienza non corrisponde ad una libertà di fatto.
Marisa (sì): Come 1984 di Orwell, questo romanzo distopico e pessimista descrive un mondo ipotetico basato su una società collettiva dove tutto, persino i pensieri più reconditi, viene controllato da uno Stato di Polizia spietato e totalitario in perenne stato d'allarme contro un fantomatico Nemico. Qui la perdita delle emozioni, dei desideri, di tutto ciò che fa parte della sfera intima di ogni essere umano, si traduce nell'appiattimento e nell'uniformità di pensiero, nella diffidenza di tutti verso tutti, e l'uomo è solo un piccolo ingranaggio nel macchinario mostruosamente potente e tentacolare dello Stato Mondiale: la coscienza del singolo individuo, ad opera di un ossessivo indottrinamento, è forzata a convincersi che l'unico bene supremo e indiscusso sia quello di servire lo Stato. Ciononostante, talora riaffiorano la percezione d'ingiustizia subìta, la disperazione, l'impulso seppur vago di ribellione: riaffiora cioè il lato umano, ciò che la kallocaina si propone di sopprimere. Ma sarà proprio il protagonista - l'inventore di questo micidiale siero della verità - a prendere atto che la verità non coincide con la giustizia imposta dallo Stato Mondiale e che non si può reprimere il bisogno di amore, fiducia, speranza, solidarietà. Soprattutto prenderà coscienza che il bene più prezioso - la libertà - è perduto per sempre. È uno scritto lucido, intenso, dall'atmosfera cupa e claustrofobica, che senza riferirsi esplicitamente né al nazismo né allo stalinismo ne rievoca gli aspetti più insidiosi, quelli della degenerazione di un sistema di governo socialista divenuto paranoico, ormai svuotato di quei principi cui originariamente s'ispirava. Il disagio (al di là dell'attrattiva) suscitato da questa lettura nasce anche dall'attualità del romanzo che, pur collocandosi sul piano della fantapolitica, ieri come oggi raffigura lo stravolgimento dei concetti di democrazia e di umanità.
Massimo I. (nì): Mmi ha fatto ricordare Kafka: clima plumbeo, senza caratterizzazione dei personaggi e il malessere che sperimento nel leggerlo è analogo. I brani pseudo-filosofici andrebbero riletti con attenzione. "1984" è stato scritto poco dopo. La guerra perenne e altri temi sono anticipati. L'idea di partenza è buona ma poi in certe parti diventa noioso, a volte infantile... La fine è tronca.
Pierpaolo (sì): Mi è piaciuto molto, però ha alcuni aspetti che potrebbero sembrare dei punti deboli. E' un diario, scritto dopo 20 anni, che racconta un vissuto interiore di pochi giorni di vita. A differenza di altre distopie fa emergere molto il vissuto interiore. La consapevolezza del protagonista è quasi anarchica e mette in luce uno Stato opprimente. A tratti emergono paradossi buffi che offrono il contrario di quel che sembrano promettere. La Kollocaina, ad esempio, inizialmente sembra essere l'arma vincente, ma la fine è proprio lei che si oppone allo stato delle cose. Tutto il libro si svolge in una interiorità chiusa, oscura, polverosa e caotica, opprimente, ma alla fine si esce a rivedere le stelle e si sente il vento sulla pelle e l'ampiezza e il respiro della libertà. Forse autobiografica anche la parte in cui, la donna, dopo la violenza, cerca un altro modo di espressione, come i poeti che cercano uno stile pulito, per esprimersi meglio.
Maddalena (sì): Questo libro mi ha ricordato Adolf Huxley: ho trovato la stessa apertura. Come Giovanna ora vi racconto alcuni dettagli che ho colto e che mi hanno colpito (particolari che valorizzano tutto il testo): il timbro della censura con cui si conclude, o l'uniforme del tempo libero, i bimbi portati via dalla famiglia per creare una sorta di lavaggio del cervello e togliere le emozioni. Particolari che dimostrano una grande apertura mentale, Huxley, Orwell, Boye, hanno questa caratteristica comune. Raccontano società evolute che in realtà sono degenerate.
Sara (nì): Ho trovato insolito il formato del libro e la scelta grafica del titolo che non emerge in copertina. Il racconto mi ha impressionato. All'inizio lo pensavo ansiogeno. Ma essendo un testo di fantascienza, l'ansia si è presto ridimensionata. Alla fine l'angoscia ritorna. Questo controllo continuo mi ha fatto pensare ai nostri social dove possiamo essere controllati su tutto. Noioso nella parte centrale senza nuove iniziative e chiuso in modo affrettato, la parte finale era piccola (forse per la censura?) ma mi risultava carente. Ho pensato che noi stessi ci mettiamo a volte nei panni dello Stato e controlliamo.
Oscar (sì): Voglio ringraziare Alessandra per aver proposto questo libro: lo metto senz'altro nei miei tre libri preferiti letti con gli Assorbilibri (assieme a "La porta" di Magda Szabo e a "Cecità" di Jose Saramago). Evidentemente mi piacciono i libri introspettivi. In contrapposizione alla freddezza e inumanità dello Stato, il libro ci parla di sentimenti e di vita interiore. Più lo stato comprime e più tutte queste emozioni spingono per liberarsi. E nella liberazione non c'è il caos, ma la naturalezza della verità che riguadagna suoi spazi. Tanto nella confessione di Rissen, quanto in quella della moglie di Kal, c'è tutta la bellezza del donare se stessi agli altri. Ho letto la prefazione solo dopo aver finito di leggere il libro. È stato molto interessante leggere che, secondo alcuni critici, la storia raccontata ha un legame con l'orientamento sessuale della scrittrice: la difficolta di vivere apertamente da lesbica a quei tempi comportava segreti e verità nascoste (comprendo il vissuto di chi si domanda: se faccio affiorare questa parte della mia realtà, cosa accadrà? in che modo cambierà la mia vita?)
Luisella (nì): Anche io ringrazio Alessandra perché non conoscevo questa autrice e sono felice di averla conosciuta. Non ho ancora finito il libro. C'è molta intimità e molto sentimento: bello, cinico, triste. Mi vengono in mente alcune frasi del libro, come "Vorrei essere ancora una ragazza che vive un amore infelice.", oppure "Si ha un bel parlare dell'amore e temo che esista…" Incisi sull'amore su cui si potrebbe parlare e da consigliare alla Lorenzin per le prossime campagne. Perché ho detto "nì"? Quando lo ho iniziato mi pareva scorrevole, poi a tratti diventava piatto, per descrivere le situazione forse doveva adottare questo stile, ma un po' mi è pesato.
Gabriella (sì, via mail): Kallokaina è un romanzo claustrofobico sotto più aspetti: l’ambiente in cui si svolge la narrazione e la medesima sensazione indotta dal protagonista, in chi legge. Leo Kall cerca di sopraffare le pulsioni interne che lo fanno anelare alla libertà, perseguendo quasi fino alla fine del romanzo, con una convinzione che va via via scemando, nella logica dello Stato Mondiale, tesa a soffocare l’individualità e i sentimenti. (Reduce dalla lettura del libro "La banalità del male" della Arendt, mi ha ricordato la figura di Eichmann, esecutore inflessibile ed obbediente degli ordini superiori, anche quando la sconfitta del regime hitleriano era ormai evidente.) Il libro risente del periodo storico (fine degli anni ’30 dell’altro secolo), alla vigilia dell’instaurarsi in Europa di regimi totalitari che sarebbero sfociati nella violenza e nel genocidio. La narrazione è fluida, si legge senza intoppi. Il libro mi è piaciuto, ma non vedevo l’ora di finirlo per il senso di angoscia che emanava.
A fine discussione, Tomas racconta cosa ricorda del comunismo: grigio, disperazione. Derive possibili: Pierpaolo domanda a Tomas "La paura, come veniva usata?". Tomas parla della delazione e delle denunce allo stato. Le denunce contro le persone erano molto comuni. Libertà e schiavitù sono due aspetti della stessa cosa.
Prossimo libro: "In altre parole" di Jhumpa Lahiri (preferito a "Autobiografie altrui" di Antonio Tabucchi e a "Vite di uomini non illustri" di Giuseppe Pontiggia)
Prossima proponente: Marisa
Prossimo incontro: 28 ottobre