Un anno di scuola (di Giani Stuparich)

Proposto da Marinella

Riferimenti: IBS, Wikipedia

Discussione di maggio 2018

Sì: Alessandro, Gabriella, Marinella, Marisa, Pierpaolo

Nì: Luisella, Oscar

Marinella (sì, proponente): È un libro che mi piace per la storia che racconta e le atmosfere che evoca. Inoltre è legato a un mio bellissimo anno di scuola. Era il 1977, più di quarant’anni fa, insegnavo al da Vinci e il mio alunno Paolo Morosi era stato scelto da Franco Giraldi per impersonare lo studente Neranz, uno degli studenti della classe di Stuparich. Io all’epoca ero fanatica di cinema e non volevo perdere questa occasione. La ritenevo anche assai utile per la mia classe. Al Preside dissi che con la classe avrei seguito le riprese. Il Preside rispose ‘non se ne parla’. Ci fu un braccio di ferro interminabile e alla fine la spuntai. Il film veniva girato all’Oberdan (ma ricordo male perché alcuni del gruppo dicono D’Aosta…) e noi, invitati da Giraldi, eravamo sempre presenti. Così come fummo presenti, sempre invitati dal regista, all’anteprima del film al teatro Rossetti. E’ stato bellissimo e indimenticabile. Amo quel film, quel libro e quell’anno di scuola…

Marisa (sì): La lettura di questo breve romanzo richiama alla memoria il tempo dell’adolescenza, dei beati e falsi ideali, delle trasgressioni, il tempo delle prime cocenti delusioni sentimentali, delle amicizie inseparabili e delle allegre compagnie. I periodi spensierati colmi di gioia si alternano ai momenti di incupimento, in cui affiorano la sensazione delle parentesi di vita che si chiudono per sempre, l’intima e ancor vaga percezione degli anni che scorrono e le improbabili aspettative del domani. Ed ecco, come avviene tra Edda e Antero, il pudore di sbilanciarsi rivelando troppo di sé o il timore di essere fraintesi e incapaci di condividere i propri sogni e le proprie emozioni, la paura di cedere al proprio orgoglio e insieme alle proprie insicurezze... Stuparich scrive questo romanzo dal timbro autobiografico e dal sapore nostalgico dando l’impressione di aver vissuto quegli anni con l’animo rivolto ad altre priorità rispetto agli eventi drammatici che avrebbero ben presto cambiato il corso della storia d’Italia. Infine, Trieste a inizio ‘900 traspare anche negli scorci di una periferia un po’ grigia che ne accentuano l’atmosfera malinconica. È un romanzo delicato di formazione che narra con semplicità di linguaggio le prime goffe esperienze amorose in cui è facile identificarsi.

Oscar (nì): Anche per questo libro, come per il precedente (Omicidio al Savoy), devo notare una strana coincidenza tra quello che leggo e quello che vedo in TV. Nelle settimane in cui ho letto questo libro stavo anche vedendo la serie "Tredici" su Netflix: anche in questa si parla delle dinamiche tra i giovani di un liceo, anche in questa si parla di suicidio. Ma i cento anni che sono passati dal contesto del libro a quello della serie TV si sentono tutti: nel libro si soffre e si pensa al togliersi la vita per delusioni amorose, in Tredici invece tutto nasce da opprimenti storie di bullismo che sfociano in violenza e stupri. Il libro mi è risultato da una parte godibile per l'aspetto corale della storia, ma dall'altra parte ho faticato a immedesimarmi per via del contesto troppo diverso dal mio (sia quello vissuto in prima persona, sia quello di cui leggo nei fatti di cronaca). Effettivamente devo essermi perso un ulteriore contatto con la storia per via del mio non essere triestino, ma udinese.

Luisella (nì): Ho detto Nì perché per un verso ho trovato il racconto molto bello, con momenti di prosa davvero felice e scavo psicologico intenso; dall'altro, in certe parti sembrava abbozzato, come un appunto ancora da rivedere. In particolare nel finale, mi ha infastidita la velocità con cui il racconto è stato chiuso. Anche vicende molto importanti (Edda che quasi muore per un'emorragia, ad esempio) sono state maldestramente buttate via. Forse Stuparich voleva darci l'impressione di quel che accade nella realtà, ovvero che quando l'anno finisce non ci si rivede più, e tutto quello che sembrava tanto importante improvvisamente perde di spessore? Può darsi, lo comprendo; ma non apprezzo ugualmente. Personalmente non ho provato nemmeno quella nostalgia che altri hanno sperimentato nella lettura. Non ricordo gli anni di scuola come anni felici né coinvolgenti, perciò mi manca anche quest'aspetto emotivo. Mi ritrovo invece in ciò che dice Pasini, che si augura di dimenticare tutti al più presto. Infatti è quello che è successo a me: ho dimenticato quei giorni e i nomi di quasi tutti i miei compagni.

Gabriella (sì): Antero-Stuparich ha realmente vissuto questo amore. Lei è diventata un medico. Ho apprezzato molto la figura di Edda: ragazza in gamba, emancipata, altruista, buona. E’ la Trieste di un tempo che amo quando vedo vecchie cartoline. Il finale sta bene perché è un anno di scuola che finisce.

Alessandro (sì): Il finale può sembrare affrettato ma ci sta: è un anno di scuola che finisce. Mi ha lasciato un po’ di nostalgia per la scuola. Ho sottolineato leggendo più volte la parola VITA, e poi INFUOCATI e APPASSIONATI. Mi è piaciuta Trieste in scorci che non ci sono più e l’identità di Trieste, tedesca, slava e italiana. Mi ha ricordato ‘Ernesto’ perché ambientato negli stessi anni. Ho apprezzato di più l’atmosfera che ha evocato e di meno la distanza enorme che c’è con la scuola di oggi.

Pierpaolo (sì): Oggi sono lontanissimo dal mondo della scuola ma la mia scuola era così. Nel libro si parla di un rito di passaggio molto importante. Mi evoca nostalgia, tenerezza. E’ sicuramente autobiografico. E’ riuscito dal punto di vista letterario, è un libro triestino che entra nei canoni della letteratura triestina, allo stesso livello dei libri di Svevo. Consiglio di vedere il film che è bello.

Massimo I. (via mail): L'avevo da molto tempo in biblioteca ma non l'avevo mai letto. La sensazione principale che mi ha regalato è stata quella - non saprei definirla meglio - di nostalgia, anche se chiaramente è un'epoca che non ho mia vissuto. Faccio solo due esempi sull'atmosfera che al giorno d'oggi appare del tutto anacronistica: il fatto di fare scampagnate domenicali A PIEDI fino al laghetto di Percedol (sic!), o il fatto che gli alunni si dividessero nelle fazioni contrapposte di carducciani, pascoliani o dannunziani (doppio sic!), quando al giorno d'oggi ben che vada le fazioni potrebbero essere quelle di interisti o juventini... Non mi aspettavo che il linguaggio di Stuparich in certe parti potesse sfiorare la poesia (chissà perchè sottovalutavo senza conoscerlo le sue capacità di scrittore), anche se abbastanza spesso gli scappano (non so quanto volutamente) termini dialettali; alcuni vocaboli da lui usati sono talmente desueti che fanno sorridere; ne ricordo uno solo: qualcuno ha notato che usa la locuzione "spermatizzare il cervello"? Certo che il protagonista è veramente antipatico, tutto preso nel suo ripugnante solipsismo da non provare mai un sentimento nemmeno di pietà per l'amico aspirante suicida, mentre la ragazza interpreta perfettamente il suo ruolo di crocerossina. Gli altri partecipanti hanno scarsa valenza psicologica e sono abbastanza stereotipati (quello sempre muto ma profondo, il buffone ecc. ecc.), ma quello che conta - ripeto - è l'atmosfera, e penso che possa apprezzarla in pieno soltanto chi è del luogo. Ad un certo punto sembra che l'autore si sia stancato di quanto scritto e abbia raffazzonato sbrigativamente il finale (come ho fatto io adesso).


Prossimo libro: "Pastorale americana" di Philip Roth (preferito a "Tutta la luce che non vediamo" di Anthony Doerr e a "Il buio oltre la siepe" di Harper Lee)

Prossimo incontro: 29 giugno

Prossima proponente: Marisa