Sì: Alessandro, Gabriella, Katia, Marinella, Pierpaolo, Sonja
No: Oscar
Marinella (sì): E’ un libro bellissimo, un po’ romanzo, un po’ saggio di antropologia. La scrittura è meravigliosa. Ho molto apprezzato la traduzione che non tenta di tradurre i termini usati dai machiguenga, penso sia non tanto una scelta del traduttore quanto una indicazione dell’Autore. Saùl-Mascarita è un bellissimo personaggio positivo. E’ ebreo, fa quindi parte di una comunità errante, come quella dei machiguenga, le storie che racconta sono le stesse del popolo ebraico. Ha un’orrenda voglia sul viso che lo sfigura e lo emargina, dai machiguenga è accettato. Con i machiguenga scopre il suo destino, ‘la sua imboscata spirituale’. Il ruolo di parlatore che si sceglie è molto importante, dai parlatori dipende l’esistenza di un popolo, raccontare la storia è fondamentale: ‘La memoria è un trabocchetto: corregge, sottilmente ricompone il passato in funzione del presente.’
Oscar (no): Ho faticato a entrare in sintonia con questo romanzo, forse proprio perché si tratta più di un saggio che di un romanzo. Oltretutto l'uso frequente di termini non tradotti (e non traducibili) in italiano rendeva poco scorrevole la lettura. Non sono riuscito ad appassionarmi all'argomento trattato, per cui ho abbandonato la lettura a metà libro.
Aessandro (sì): Alessandro ha apprezzato molto il libro che purtroppo non è riuscito a terminare. E' rimasto colpito dalla figura del protagonista Mascarita, mite e spontanei, e dalle riflessioni che gli sono state suscitate dalla descrizione della vita degli indigeni. Il rapporto con la natura è anche un bel tema.
Pierpaolo (sì): Conoscevo e apprezzavo già lo scrittore, avendone letto Pantaleón e le visitatrici e Storia di Mayta, satirico il primo, più politico il secondo: cominciata dunque molto volentieri la lettura di questo libro, mi sono accorto che si tratta forse del libro più ambizioso dello scrittore, che affronta di petto tematiche basilari e fondative: il rapporto con ciò che resta della cultura precolombiana, o addirittura pre-incaica, preservato dall’isolamento nella foresta vergine; il ruolo della narrazione in una civiltà orale, rispetto alla scrittura nella società moderna, in particolare latino-americana; il rapporto tra la letteratura e la costruzione dell’identità collettiva di un popolo.
Oltre al fatto che queste tematiche sono interessanti di per sé, e calate dentro una storia avvincente, che si muove verso una sorta di colpo di scena finale, condita da invenzioni narrative e linguistiche tipicamente sudamericane, ciò che mi è piaciuto di più è stato il tono mestamente malinconico che ho percepito nel libro, nel suo fare i conti con una serie di illusioni, arrivando a una consapevolezza sconsolata di una serie di fallimenti storici, sociali, culturali, antropologici e anche personali, forse inevitabili.
Come ne La conquista dell’America, di Todorov, infatti, si prende atto che l’etnologia e l’antropologia, anche e soprattutto nella loro accezione impegnata e tropicalista, non possono avvicinarsi all’oggetto del loro studio senza inquinarlo, senza contagiarlo con i semi della modernità.
Una domanda fondamentale che ho trovata nel libro è questa:, è più giusto lasciare che gli indigeni vivano preservando la loro cultura originale, condannandoli a un isolamento che è anche e soprattutto povertà, fame, miseria, malattie, o piuttosto migliorare e “salvare” le loro vite, meticciandoli, tagliando le loro radici e quindi condannando a morte la loro cultura?
Altro quesito fondamentale: la stampa, l’alfabetizzazione di massa, la diffusione capillare della scuola e della lettura, hanno reso più forte la capacità della letteratura di raccontare storie che, interpretando la cultura e la tradizione di un popolo, possano in qualche modo, costruendo l’identità di una nazione, o di un sub-continente, influire anche sul suo presente e sul suo futuro? O forse solo la tradizione orale aveva la forza di unire un popolo?
Tematiche ambiziose, forse irrisolte o irrisolvibili, ma credo tipiche di un paese, come il Perù, in cui negli anni ‘80 ancora coabitavano la cultura orale, come quella degli indigeni della foresta, che in Europa ha fine prima dell’età omerica. e la moderna cultura borghese, in cui il ruolo dello scrittore intellettuale è uguale a quello che riveste in Europa.
Prossimo libro: "La canzone di Achille" di Madeline Miller (preferito a "Cambiare l'acqua ai fiori" di Valérie Perrin e a "La regina degli scacchi" di Walter Tevis)
Prossima proponente: Sonja
Prossimo incontro: 2 gennaio