La peonia del Carso (di Alojz Rebula)

Proposto da Sonja

Riferimenti: IBS, Wikipedia

Discussione di giugno 2023

Presenti: Adriano, Alessandro, Gabriella, Luisella, Oscar, Pierpaolo e Sonja
Hanno votato SÌ: Adriano, Alessandro, Gabriella, Katia e Sonja
Hanno votato NÌ: Oscar e Pierpaolo


Sonja (sì, proponente): Ho proposto questo libro per due ragioni principali: la prima, l’affettuoso ricordo per l’autore, mio vecchio professore di latino e greco, uomo di grande apertura culturale, perdutamente innamorato della Grecia; la seconda perché il romanzo, prendendo spunto da fatti cruenti del ventennio fascista come l’incendio del Narodni dom, i due processi del tribunale speciale (nel 1930, conclusosi con quattro condanne a morte – i fucilati di Basovizza – e nel 1941, conclusosi con cinque condanne a morte, tra le quali Pinko Tomažič), la chiusura delle scuole, dell’editoria e di tutte le attività culturali in lingua slovena, il divieto di usare lo sloveno durante la messa (prontamente disatteso da buona parte del clero), l’imposizione dell’uso dell’italiano e infine la forzata italianizzazione dei cognomi, per tacere dell’immediata collocazione in quiescenza senza diritto alla pensione degli insegnanti sloveni che rifiutavano di riqualificarsi e di farsi trasferire all’interno del paese in scuole italiane e via dicendo.

Enigmatica la figura di Stanko, elaborata sulla figura del poeta Srečko Kosovel, che racchiude in se anche Rebula con i suoi sogni e le sue visioni. Ed è proprio questo lasciarsi andare alla fantasia e alle visioni che porta l’autore a commettere dei madornali errori (fa fiorire il glicine a settembre, descrive il caffè San Marco come fatiscente, quando in realtà all’epoca in cui è ambientato il romanzo (1930) il caffè esisteva solo da 16 anni, fa girare per la città e sul Carso degli autobus che compariranno invece solamente qualche anno dopo e così via) che potrebbero dar fastidio a un lettore che non ha avuto la fortuna di conoscerlo e di apprezzare la sua enorme fantasia e la sua visione del mondo. In nome di questa fantasia Rebula si permette anche di manipolare i fatti storici mescolando il primo e il secondo processo del tribunale speciale facendoli diventare tutt’uno e altre licenze.

Per me rileggere il libro dopo tanti anni è stato motivo di emozione. E’ stato bello ad esempio riconoscere anche altri personaggi storici come ad esempio il pittore Avgust Černigoj che era stato pure lui mio insegnante alle scuole medie.

Bellissimo infine il personaggio del protagonista, l’enigmatico Amos Borsi, personaggio di fantasia che però racchiude in se tutto ciò che Rebula desidererebbe da un italiano: apertura e desiderio di conoscenza e arricchimento culturale reciproci. Tutto ciò insomma che per il concorso di motivi e cause diversi a Trieste mancò dopo la fine della guerra e per parecchi decenni.


Alessandro (sì): Alessandro ha molto apprezzato il romanzo "La peonia del Carso" e ne è rimasto particolarmente toccato. Articola il suo commento attorno a tre parole chiave (storia, luoghi e persone) e ad alcuni ricordi personali. Di seguito alcune delle stazioni richiamate:

A) storia. 1) "Nei nostri confronti si sta attuando, sì o no, uno sterminio culturale? Quattrocento scuole slovene e croate chiuse!"; 2) “L’Italia in fondo mica uccide gli sloveni,” dissi." “Tenta di assimilarli, il che equivale a uno sterminio culturale.” 3) "Io resto dell’opinione che gli italiani sono tutti uguali e se dipendesse da loro, noi sloveni faremmo una brutta fine.” “Nemmeno i serpenti sono tutti velenosi, Betka.”"

B) luoghi: Trieste e il Carso ("Il ciliegio canino era il Carso, il suo Carso, la sua parte superiore, quella già meno rocciosa e digradante verso la valle del Vipacco... Era il paese dei suoi nonni, dove poteva saziarsi di sloveno e di estate... ").

C) persone: Stanko e Amos (“Amos dovrebbe giacere accanto ai nostri, sotto il muretto, contemplare insieme a loro la landa, verso il mare...” “Un uomo innamorato del nostro Carso che finisce in mezzo a quella geometria di cemento... Dovrebbe stare vicino a Stanko, il suo Pilade, come lo chiamava negli ultimi tempi... ).


Gabriella (): Il libro mi è piaciuto moltissimo e l’ho trovato per certi versi attuale. Siamo nel ventennio fascista ed il regime sta cercando di cancellare l’identità degli sloveni e dei croati della Venezia Giulia, italianizzandone i cognomi, distruggendo la loro cultura, persino incendiandone gli asili.

All’ottusità di chi comanda, si contrappone l’animo nobile e poetico di Amos, dantista appassionato. Egli è un giovane fiorentino di origine ebrea, inviato a Trieste ad assumere il doppio ruolo di ingegnere e di delatore.

Il suo incontro con Stanko, appartenente ad una colta famiglia slovena del Carso, sarà un’unione tra anime sorelle che parlano la stessa lingua. Entrambi amanti della classicità ed estremamente sensibili, instaureranno una solida amicizia e condivideranno momenti di riflessioni profonde sul senso della vita.

Amos s’innamorerà di Natascia, la sorella di Stanko, che rappresenterà per lui l’immagine della donna ideale, la sua Sulamita.

I riferimenti a miti e ad eroi della classicità sono molteplici.  Ho constatato con gran piacere che l’autore si è premurato di descriverli e non soltanto di citarli; permettendo così anche a chi, come me, non ha fatto studi di questo tipo, di poter fruire della loro bellezza. Oltre alle citazioni di parti di alcuni canti tratti dalla Divina Commedia, che ho trovato sublimi.

Mi sono accorta di quanto poco fossi a conoscenza delle vessazioni e soprusi subìti dalla popolazione slovena durante quel periodo. Il libro è preziosa testimonianza di quanto accaduto.

E mi ha sorpreso, il fatto che Rebùla abbia descritto le figure principali maschili del libro, portatrici di una sensibilità e di una delicatezza quasi femminile. E’ una cosa che ho apprezzato molto, perché l’autore ha messo in risalto quella parte dell’animo maschile che spesso si cela dietro allo stereotipo dell’uomo forte.

Il Pantheon delle interpreti femminili invece è più variegato. La prima donna è vacua e superficiale, la seconda intrisa di retorica fascista, mascolina nel carattere e nel modo di comportarsi. E infine Natascia che incarna la perfezione: donna colta, sensibile, fiera e decisa.


Pierpaolo (nì): Il mio “ni” risulta dall'impressione molto positiva che mi ha fatto l’autore, per la sua capacità di raccontare senza astio fatti che hanno minato le basi del vivere civile nei nostri territori.

Pur indicando la responsabilità indiscutibile del regime fascista e del consenso che aveva in tanti italiani, l’autore mi sembra descrivere in maniera critica e a volte ironica tutti e due i nazionalismi, italiano e sloveno, senza alcun accanimento, che sarebbe stato comprensibilissimo e giustificato, nei confronti di quello italiano.

Descrivere il tentativo di snazionalizzazione, il tentativo di genocidio culturale degli sloveni mi sembra un obiettivo importante e necessario per un’opera che quindi reputo un a lettura molto importante e che sarebbe assolutamente da consigliare anche a livello scolastico, non fosse altro che per questi contenuti.

Meno riuscita mi pare invece la parte letteraria, che ho trovato a volte enfatica, con dialoghi che non scorrono, infarciti di troppa retorica e non naturali e con alcuni personaggi ridotti a pura macchietta, fin dal cognome parlante (il collerico superiore che si chiama Urlato, la maestrina succube della mistica fascista che si chiama Spasimo).

Non ho poi capito per quale esigenza lo scrittore abbia voluto nascondere dietro a toponimi di fantasia i paesi del Carso in cui si svolgono parti fondamentali del romanzo - forse per non far torto a nessun paese escluso?

Anche la topografia della città mi ha disorientato, perché alcune volte è molto precisa (per esempio la zona di San Vito, dove risiede il protagonista), a volte non si capisce proprio: dove sarebbe la Questura di Trieste, davanti a un fantomatico cimitero in costruzione negli anni ‘30?


Oscar (nì): Sono contento di avere approfondito un argomento di cui sapevo poco, attingendo ai pensieri e alle emozioni di chi ha in prima persona vissuto gli eventi. Il mio rispetto va a chi ha lottato, per come ha potuto, contro un orribile genocidio culturale. Detto questo, devo dire che lo stile poco scorrevole e la costruzione dei personaggi non mi ha aiutato a entrare in sintonia con il romanzo. In particolare, ho trovato il personaggio di Amos poco credibile e coerente. Anche la sua scelta finale, il suicidio, mi è parsa in bilico tra lo stoicismo e l'egoismo (la sua morte non è servita a evitare che i Križnič perdessero il loro cognome).


Adriano (sì): Sono rimasto molto colpito dal fatto che nel libro sono narrati avvenimenti dei quali nessuno mi aveva mai parlato e sono molto contento di averlo letto perché mi ha aperto nuovi orizzonti. La parte letteraria invece non la trovo fluida; il lirismo a volte riesce e a volte no. Sull’interruzione della lirica influisce la struttura del libro che si compone di quadri diversi che influiscono sulla sua scorrevolezza. I personaggi più vicini al fascismo sono probabilmente volutamente dipinti come macchiette che nel comportamento sembrano le caricature del loro cognome (Urlato, Spasimo, …). Il bello del libro è che da esso non traspare nessun rancore, la riconciliazione c’è, ma con l’Italia, non con i triestini. Personalmente lo trovo un giusto controcanto a "Il mio Carso" (Slataper descrive molto bene il Carso ma non gli sloveni).



Prossimo libro: "La morte a Venezia" di Thomas Mann (preferito a "Il giovane Holden" di Jerome David Salinger e a "Amleto" di William Shakespeare)

Prossima proponente: Luisella

Prossimo incontro: 28 luglio da Sonja