La vita di chi resta (di Matteo B. Bianchi)

Proposto da Alessandro

Riferimenti: IBS, Wikipedia

Discussione di aprile 2024

Sì: Adriano, Alberto, Alessandro, Gianni, Marinella
Nì: Pierpaolo
No: Luisella, Oscar


Alessandro (sì, proponente): Alessandro racconta di aver letto il libro di cui è proponente dopo una recente presentazione svolta al Dipartimento di Sociologia dell'Università di Trento dove lavora. In quell'occasione l'autore si era rivolto ad una platea di studenti, assistenti sociali e sopravvissuti. Questa presentazione, molto coinvolgente, aveva indotto Alessandro a leggere il libro che lo ha toccato profondamente. Tra i temi trovati più interessanti: l'elaborazione di un difficile lutto che diventa romanzo acquistando così un senso, il tabù del suicidio, la presenza di una relazione gay che appare non centrale ma accessoria alla narrazione (come dovrebbe essere e come sempre più spesso avviene sia nei romanzi che nei film),  la decisione maturata nella notte di Londra di darsi la possibilità di una nuova ripartenza.


Gianni (sì): Ho dei dubbi su un certo sentimentalismo, è scritto bene ma come se non riuscisse a comporre la vicenda, tutti i pezzi, per questo è frammentata. Non è importante scrivere la verità perché il passato è sempre filtrato. Il concetto di realtà non esiste. La frammentazione è uno stratagemma per evitare una narrazione più compatta. Tante suggestioni, rimozioni. Sono perplesso sul finale. Ricordo un episodio vissuto nella mia adolescenza che mi ha lasciato un grande malessere.


Adriano (sì): L’ho letto prima che venisse scelto, l’ho letto in un giorno. Il tema mi interessava. Questo è uno dei temi che  mi cattura di più. Curiosità per il tema più che curiosità letteraria. Non è un romanzo, non so cosa sia. Mentre andavo avanti mi ha preso un senso di fastidio per la autocommiserazione, non mi interessa la psicologia del sopravvissuto ma quella del suicida. Cercavo quale sia il punto in cui si arriva per prendere questa decisione.


Marinella (sì): E' un libro che non desideravo leggere per il tema che tratta. Tema che mi fa male per esperienze vissute. Poi mi sono decisa a leggerlo e l’ho trovato scritto bene.


Luisella (no): Dico di No con un certo imbarazzo perché questo è un libro autobiografico che racchiude una dolorosa vicenda umana: è ovvio che se avessi Matteo B. Bianchi qui vicino a me, gli dimostrerei tutta l'empatia e la comprensione per un dolore che lo ha straziato così a lungo. Purtuttavia, siamo in un gruppo di lettura e io sono chiamata a dire qualcosa sul "prodotto libro" che egli ha consapevolmente deciso di pubblicare e di sottoporre ai lettori. 

La prima cosa a darmi fastidio è che, su questo "prodotto" (lo definisco così apposta, per come è stato trattato) sia stata fatta un'astuzia di tipo meramente commerciale: definirlo romanzo è del tutto fuorviante e oserei dire truffaldino. Non posso sapere chi sia il responsabile di quel che viene scritto in copertina, sotto al titolo: l'autore o l'editore? In ogni caso è un trucchetto che trovo disonesto, così come gonfiare le pagine di spazi bianchi per vendere il libro come rilegato a 18 euro... 

Non escludo che sarei stata più tollerante se mi fossi trovata tra le mani un libretto (ad esempio Einaudi) bianco e sottile, che non imbroglia e non teme di presentarsi per ciò che è. (L'antipatia per Mondadori mi influenza un po'...)

Non è, chiaramente, un romanzo, non ne ha lo sviluppo, non ne ha la profondità; è un memoir, se vogliamo, o peggio, una serie di appunti presi nel tempo e neanche tanto ben coordinati tra loro. 

Io non giudico moralmente lo scrittore che scrive tirando fuori ogni sua esperienza. Anzi, è normale che sia così. Per lo scrittore, la vita è come il maiale, non si butta via niente. Ogni cosa, anche dolorosissima, viene appuntata da qualche parte (taccuino, mente, o anche solo subconscio senza nemmeno esserne consapevoli) per poi erompere sulla pagina come un geiser in Islanda. 

Ma giudico - questo sì - lo scrittore che pur definendosi tale, scriva di un'esperienza così dura in modo tanto superficiale. 

Bianchi, secondo me, come scrittore (e come compagno anche) avrebbe dovuto porsi più domande su S., sulla sua drammatica scelta. Invece si limita a parlare ossessivamente del proprio lutto e di come superarlo, in un modo che non voglio definire egoista ma egocentrico senz'altro sì. Il libro è un lungo istante di continui "io... io... io..."; è l'esatto contrario dell'amore. 

Ma semplicemente Bianchi non avrebbe avuto gli strumenti per andare in profondità, perché non sa scrivere veramente. La sua è la tipica scrittura "ombelicale" - semplice, sciatta, paratattica - di tanti autori italiani che sanno scrivere solo di se stessi. 

Ce l'ho messa tutta per avvicinarmi e per comprendere. Ho preso anche il suo primo romanzo "Generations of love" risalente al 1999, in cui S. (anzi Alessandro) compare alla fine come amore felice. Quando fu pubblicato Alessandro era già morto e Bianchi si trovò nel paradosso di dover fare un tour pubblicitario con la morte nel cuore. La dedica è "Ad Ale, ovunque tu sia, questo libro è per te". 

S. dunque sta per Sandro? Ulteriore fastidio, constatare che anche l'iniziale puntata è una sciocchezza, una riservatezza fasulla, visto che con estrema facilità, solo leggendo un altro libro, si può risalire al nome. 

Ma anche leggendo "Generations of love" (libro "giovane", di formazione, di scoperta dell'omosessualità) mi sono trovata dinnanzi al medesimo stile, povero e sempliciotto.

Fino a pochi giorni fa tuttavia ero indecisa tra Ni e No... Non volevo essere troppo cattiva :-) 

Poi ho preso li libri della nuova terna e ho iniziato a leggere Maria Grazia Calandrone. Ho avuto un colpo di fulmine, per l'abilità eccezionale e la sensibilità della sua penna. E mi sono detta: questa è LA scrittura, evocativa, poetica, sapiente, emozionante, viva. 

Mi sono perciò sentita libera di dire "NO" su Bianchi. Mi spiace per quel che gli è capitato, ma come scrittore lo boccio completamente.


Pierpaolo (ni): NI per un libro che ha un elevato valore “sociale” ma uno scarso pregio letterario, dal mio punto di vista.

In copertina una verità, la vita di chi resta - troviamo molto poco, troppo poco sulla personalità di S. che non c’è più e tutto ruota attorno a Matteo, il “sopravvissuto” - e una cosa assolutamente non vera, che questo che abbiamo letto sia un romanzo - al più un diario, o una raccolta di frammenti.

Penso che questo libro sia un contributo utile per pensare alla sofferenza di chi è colpito da un lutto per un suicidio, e tutti noi oggi abbiamo ricordato qualche parente o qualche amico o conoscente che ha fatto questa terribile scelta.

Quello che proprio non mi è piaciuto è lo stile, oggi troppo comune, di piccoli capitoli costruiti da brevi frasi e paragrafi, che tendono a un finale in climax, con una sentenza conclusiva in qualche modo memorabile. Si legge facilmente e velocemente, ma resta assai poco. Uno stile che forse è stato diffuso dalle scuole di scrittura creativa, o magari è proprio di un copy writer di formazione, come Matteo B. Bianchi.


Oscar (no): Prima di leggere questo libro pensavo che la forte emotività dell'argomento mi avrebbe coinvolto nella lettura e dato argomenti di riflessione. Se è vera quest'ultima affermazione, ho faticato invece a farmi coinvolgere: avrei voluto sapere di più del compagno suicida, avrei preferito una narrazione più lineare, meno frammentata. I dettagli della personalità dell'autore, che affioravano qua e là nelle pagine del libro, hanno spento la mia empatia per il dolore di chi è sopravvissuto, facendomi immedesimare invece in chi ha deciso di compiere il gesto estremo.


 

Prossimo libro: "Dove non mi hai portata" di Maria Grazia Calandrone (preferito a "L' estate che sciolse ogni cosa" di Tiffany McDaniel e a "I baffi" di Emmanuel Carrère)

Prossimo proponente: Sonja

Prossimo incontro: 31 maggio