Presenti: Alessandra Co., Alessandra Ce., Marco, Marinella, Oscar, Tomáš
Sì: Alessandra Co., Marco, Marinella, Oscar, Tomáš
Astenuti: Alessandra Ce. (ha letto solo le prime pagine)
Marco (sì, proponente): La prima volta che ho partecipato casualmente al gruppo di lettura, ho pensato che se mi fossi trovato a poter proporre una terna di libri, uno di questi sarebbe stato “Perché essere felice quando puoi essere normale?” di Jeanette Winterson. Un libro letto anni orsono che ho molto amato e che, nel rileggerlo, ha confermato e anche reso ancor più profondo l’interesse per i temi che esprime in una scrittura diretta, semplice e colta – dall’etimo di coltivato dai pensieri di grandi scrittori. Una scrittura in cui l’attrice ti accompagna passo a passo nel suo mondo di fragilità, famiglia presente/assente, contraddizioni, identità, amore, letture. Ho proposto questo libro perché nel testo è presente un gruppo di lettura, e questa era già una ragione sufficiente, alla quale aggiungo la straordinaria “funzione” che i libri e la lettura hanno avuto e hanno a tutt’oggi nella vita dell’autrice. Lo considero una straordinaria condivisione, più che presentare o raccontare, J. Winterson condivide parti di sé, come se fossimo con un’amica intima davanti a una tazza di tè in un tardo pomeriggio di un giorno autunnale, e rimane l’amaro in bocca di non poter rispondere con reciprocità. Una condivisione schietta, sincera, che non teme di rendere visibili le proprie ferite – il marchio della differenza – che segnano il tratto che connota la differenza come segno tangibile dell’identità di ciascuno. Sono io anche con la mia ferita o meglio è la mia ferita che mi rende “io”: ciascuno ne ha una, a prescindere dalla tipologia e dalla portata, e ciascuno nasce da quel dolore – il parto – senza il quale non può trovare luce un’altra identità. E quando le ferite sono riconosciute, permettono di tornare al nostro io profondo. Un “sentiero segnato dal sangue”, il quale da sangue sparso, raffermo, segno di un delitto compiuto un tempo e con molta probabilità ancora indizio per la ricerca del colpevole da biasimare, grazie al tornare può farsi nuovo, pulsante, che diffonde vita al suo nuovo passaggio. Ecco che il “lieto fine” si fa perdono che redime il passato e sblocca il futuro, senza dar più spazio e tempo alla tragedia o la vendetta, che imprigionano in un eterno presente, precluso al passo progettuale. Si parla di ferite che possono anche riconoscersi, tra di loro, e dare spazio a relazioni profonde, che curano curandosi e si curano curando. Uno dei compiti della letteratura è proprio questo, no? Jeanette Winterson scrive per adempiere alla sua promessa di scrivere lei stessa i libri, così nessuno li può bruciare. E tra le sue righe mentre impara a leggersi e vedere oltre all’immagine, accompagna il lettore ad apprendere a leggersi e vedere dietro la propria immagine. Ci suggerisce di “leggere se stessi come opera di fantasia… lasciare aperta la narrazione” per non lasciare la propria storia sfuggirci di mano e scegliere un suo finale, che non vogliamo, ma per scriverlo da protagonisti (e lo dice bene nell’introduzione che ha scritto recentemente per la nuova edizione del suo primo romanzo “Non ci sono solo le arance”). E lei lo scrive con la penna, e col corpo, in un testo, il nostro di questo mese, che è un libro sul corpo che si esplora e si conosce, che si tocca e tocca gli altri, e su un corpo, quello della madre, che non sa toccarsi, toccare e lasciarsi toccare. Un corpo mostruoso… ma che è comunque suo/mio, e non se ne disfa/me ne disfo ma lo fa/faccio proprio, perché le/mi appartiene! In questa “nostra” storia, una ferita personale e forse collettiva, è stata inferta da un colpo partito senza intenzionalità. Alcuni la riconosco sul proprio. Altri sul corpo dell’altro. Di certo la si nota nel corpo di gruppo. Una ferita che racconta di una polarità fatta di pelo morbido di coniglio e di carne di bestia. Una ferita che ha portato alcuni a spiegare trame narrative di “tragedia” e “vendetta”. Siamo storie e tutto va bene per scrivere una pagina in più. Non posso non dirmi toccato dal riconoscere le altrui sensibilità e mi avvicino delicato alle ferite di chi ha espresso il proprio disappunto, perché nessuno ha diritto di spiegare la ferita dell’altro che va ascoltata. Comprendo anche alcuni piccoli, quasi impercettibili, colpi a me rivolti, dubitando attorno all’origine della mia proposta. Li ho incorporati pensando siano partiti dalle terminazioni nervose attorno alla ferita, in difesa di identità. E ho apprezzato l’interrogarmi, che ne è sorto, a proposito di “come scelgo ciò che leggo”, “che contatti mantengo con chi scrive”. Ringrazio chi, presente, mi ha concesso di volgere lo sguardo alle mie contraddizioni, a dirmi che ciò che “romanzo sono” prende vita anche dal “mio mostro”, che inevitabilmente mi abita. Più me lo faccio amico, più mi diventa alleato, più concede a me stesso di guardare la mia ferita grazie allo sguardo dell’altro che lascio farmi prossimo. E la vitalità con cui ciascuno ha condiviso i suoi pensieri è stata davvero avvolgente e nutritiva. Un ri-conoscimento. Ringrazio chi, volutamente astenuto dal contatto, mi ricorda che le vie sono molteplici e ciascuna valida, che talvolta è un vuoto a raccontare un pieno, che un’assenza pensata e voluta può essere un dono per comprendere quale pagina nuova mi aspetta, un per-dono per redimere un qualcosa, e aprire una narrazione che ancora non so come andrà avanti, ma chi mi viene voglia di scoprire.
Alessandra Co. (sì): Mi ha colpito molto il lavoro attorno alla ferita. Nell’elenco e nelle definizioni con cui caratterizza i momenti della sua vita mi ha ricordato Robert Graves e il suo studio sui miti. L'autrice unisce conoscenze letterarie piene d’amore per libri e cultura. Non c'è sfoggio, si leggono affetto e gratitudine per la ricchezza e la vita che lei ha potuto cogliere e ha respirato dentro le immagini delle pagine lette: fiabe, letture bibliche, mitologia e poi tutto il resto … in ordine alfabetico. Quelle pagine hanno donato tanto senso e gioia anche a me. Penso alla resilienza che viene veicolata dai miti, la catarsi e il lavoro sulla ferita. Lei cita Gulliver, Sofocle, il ciclo del Graal e tanti altri. Percepisco la lucida capacità di vedere e cogliere per immagini, immagini che parlano più delle parole. “La ferita è il marchio della differenza.” Nell’infanzia che l’autrice narra, rivivo la mia infanzia, quella dei miei figli, dei bambini che seguo. Le emozioni evocate mi hanno portata al punto che, al termine del libro, avevo i brividi e piangevo. Sottolineo tutto l’amore che c’è nell’incontro con la madre, il desiderio di verità, l’amore per se stessa, la capacità di sopportare le contraddizioni. Sono tutti temi che nell’affido, ma anche nell'attenzione all'altro aiutano a un grande lavoro interiore. Alla domanda di Tomas che chiede “quando eri piccola ti piacevano le favole perché finiscono bene…? E poi quando sei cresciuta che vedevi i film… avevi paura della fine?” rispondo che oggi mi pongo dei problemi nel raccontare le fiabe perché penso che credo in troppi ideali. Sono amareggiata per come questi ideali sono poi calpestati, la gente non ha il coraggio di lottare per la lealtà e la giustizia. Non ho paura della fine, ma continuo a lottare per cambiarla. Ricordo le lotte per i diritti combattute con entusiasmo da adolescente. Mi chiedo se con le storie offro strumenti validi visto che poi nessuno discute, tutti vanno di pregiudizio e l’Altro e la Verità vengono calpestati. Mi chiedo se faccio bene a educare figli a questo modo. Cerco di offrire il meglio. Non sono capace di farlo diversamente.
Marinella (sì): Ho già detto che mi è piaciuto moltissimo. Mi è piaciuta la sincerità e la spietatezza con cui lei racconta la sua tragica vita, il dolore dell’adozione, il dolore e l’amore che lei ha per questa madre adottiva: “era un mostro, ma era il mio mostro”. Ho apprezzato la profonda sincerità di parlare di se stessa in questo modo. Sono d’accordo con Marco che farebbe piacere essere con questa persona e parlare con lei. Senti che è vera e racconta la verità. Poi le sue citazioni e l’amore per i libri e aggiungo che uno dei luoghi che più amo al mondo è “Shakespeare and Co” a Parigi, che conosco molto bene. Sono cose anche mie, parti della mia vita e che sento qui citate come luoghi che amo. La scrittura è semplice e colloquiale, parla in maniera spietata della sua malattia che probabilmente è la schizofrenia. La sua sincerità è l’aspetto che mi è piaciuto di più. La prosa semplice ma è quella giusta per un romanzo di questo tipo: con una prosa semplice l’autrice ha detto tantissimo. La scelta che l’autrice fece degli scrittori A-Z è tenerissima, un vero amore per la lettura che salva la vita. Bel libro e bravo a Marco che ha proposto un testo che non avrei mai letto, come mi era successo con la "Schiuma dei giorni". Mi colpisce che ricordo tutti i dettagli.
Oscar (sì): Mi è decisamente piaciuto. Il metro di gradimento è la mia memoria. Non dico che potrei recitarlo a memoria, ma mi è rimasto dentro e alcune righe fanno ancora male per il modo con cui si sono piantate lì: per identificazione personale, e perché non puoi non farti venire i brividi o sciogliere in pianto di fronte a certe confessioni, che non sono esibizioni di virtù ma di una spassionata autocritica. Lei dice che da ragazzina non esitava a ricorrere a risoluzioni violente di conflitti… “so che non è il modo giusto ma ammetto di aver avuto questa violenza. So che ci sono persone che non ucciderebbero mai, ma io non sono una di queste” è un modo di prendere coscienza della propria violenza. Poi mi hanno colpito i dettagli su persone e luoghi anche dal punto di vista sociologico, come il paesino che fino agli anni ‘80 era rimasto ibernato nella tradizione dell’inglese dialettale e l’inglese antico sentito in chiesa, il battesimo togliendo la dentiera, la zia Nelly povera e con “amore incondizionato” nella zuppa per i bambini. Non ho fatto particolarmente caso allo stile di scrittura: è così tanta la portata personale che la forma è irrilevante. Mi ha entusiasmato il punto di svolta in cui la madre la sorprende a leggere i romanzi "proibiti" e li brucia, e lei esclama “ora i libri li scrivo io!”. Mi è piaciuto il suo modo ironico di unire i punti della sua storia “da bambina mia madre per punirmi mi chiudeva fuori di notte e poi la mattina arrivava il lattaio, mi scolavo il latte e andavo a scuola…. Ora sono cresciuta, sono una scrittrice… ma quando arrivo a casa la porta la lascio aperta, non voglio che nessuno mi lasci fuori”. Ricordo altri due momenti importanti della storia: quando la sua compagna le spiega “che lei sa amare, ma non sa lasciarsi amare”, e quando Jeanette dice che la sua analisi non ha funzionato perché ci è andata solo lei e non ha portato la sua voce interiore.
Tomáš (sì): Imparo i libri a memoria così non me li possono bruciare. Avete già detto quasi tutto. Mi ispirava il titolo, che colpisce, e ho votato questo. Non ho letto niente prima riguardo al coniglio. Rispetto alla copertina, quella foto ci sta proprio, e credo che nessuno riuscirà a fare una foto migliore per il libro (così emerge che la foto è una foto d’infanzia dell’autrice). Nel primo capitolo ero incazzato nero, ho pensato “questa tipa è odiosa e ce l’ha con tutti”, ma io ho sempre finito tutti i libri, dunque sono andato avanti. Invece poi è migliorato e, dal secondo capitolo, si poteva comprendere i motivi dell’odio che viene espresso nel primo capitolo. Mi è piaciuta molto la descrizione di Manchester: io ho un debole per l’Inghilterra, per quei mattoni inglesi, le case basse lungo le strade, i giardinetti fuori, le case 2-sopra-2-sotto. Andando avanti il libro mi è piaciuto sempre di più. Nell’incontro con la madre “vera” ero super emozionato, smettevo di leggere e camminavo nervosamente per casa, poi tornavo a leggere: mi è piaciuto molto, ero molto preso. Mi ha colpito il confronto tra la madre “vera” che ha subito comprato il romanzo della figlia e la madre adottiva che non lo ha comprato. Ho pensato che non era giusto verso la madre adottiva, magari 30 anni prima anche la madre biologica avrebbe pensato male di lei, ma già al terzo incontro la madre vera viene sgridata con un “dove eri tu?” che ha riequilibrato le due madri. Sono contento di averlo letto e orgoglioso di me stesso perché ho stimato dal titolo che poteva essere interessante. Devo aggiungere che vorrei leggere altri libri di questa autrice. Di solito i libri li dimentico, ma questo non lo dimentico. Mi sentivo incapace di emozionarmi con i libri e con questo mi sono detto “Cazzo! Sono ancora vivo!!!”. Mi ha colpito davvero molto e avrei perso molto a non finirlo. Aggiungo che su Wikipedia inglese non si parla del coniglio.
Prossimo libro: "Omaggio alla Catalogna" di George Orwell (preferito a "Uno, nessuno e centomila" di Luigi Pirandello e a "Cirano de Bergerac" di Rostand)
Prossima proponente: Marisa
Prossimo incontro: 27 ottobre