La banalità del male (di Hanna Arendt)

Proposto da Marinella

Riferimenti: IBS, Wikipedia

Discussione di ottobre 2016

Sì: Alessandra Co., Pierpaolo, Marinella, Alessandro, Marisa.

Nì: Luisella

Marinella (sì, proponente): Lo ho proposto perché lo ritengo un libro molto citato ma non altrettanto letto. E’ un libro fondamentale dal punto di vista storico, politico e giuridico. Libro rigoroso, lucido, profondo su argomenti importantissimi.

Alessandro (sì): Letto parzialmente, la parte che ho letto mi è piaciuta molto, lucido nel mostrare le posizioni pro e contro di tutti, le ragioni politiche e psicologiche di un popolo. Equilibrato nel non indicare torti e ragioni di una parte. Mi è venuto in mente il film della von Trotta e quanto scalpore abbia destato nel mondo ebraico.

Marisa (sì): Il processo che si svolse a Gerusalemme nel 1961 riguardò Eichmann, una delle tante pedine responsabili del genocidio perpetrato sugli ebrei. Fu un processo emblematico e, a differenza di quello di Norimberga, alcuni capi d'imputazione non furono altro che dei pretesti per moltiplicare le testimonianze sulla barbarie nazista lasciando quasi in ombra il ruolo dell'imputato: ciò che importava - secondo la Arendt - era dimostrare al mondo l'atrocità dell'olocausto e ribadire la legittimità dello Stato d'Israele, trascurando di esecrare l'orrore di tutti gli stati totalitari. Il processo inoltre sorvolò sul tema del collaborazionismo dei Consigli Ebraici, che durante il conflitto intrattennero rapporti di informazioni e di commercio coi membri più importanti dei nazisti. Riguardo a Eichmann, egli si proclamò incolpevole, in quanto obbediente agli ordini, alla legge scaturita dai diktat del Führer, a volte nemmeno scritta, e pertanto non prese mai le distanze dai crimini da lui commessi. Il male nel III Reich - scrive la Arendt - aveva perduto la proprietà che permette ai più di riconoscerlo per quello che è, la proprietà della tentazione. Forse molti nazisti nel loro intimo non avrebbero ceduto alla tentazione del male, ma a quel punto si erano assuefatti a non contrastarla e ad autoingannarsi. Altri tedeschi, che occupavano alte cariche nelle file dell'esercito, non erano abbastanza organizzati né numerosi per porre in atto tentativi seri volti a rovesciare il regime e anche i pochi coraggiosi attentati alla vita di Hitler andarono tutti a vuoto. Eichmann non aveva problemi di coscienza: semmai la sua coscienza lo spingeva ad adottare atteggiamenti inflessibili, tanto da eludere gli ordini del suo superiore Himmler, che verso la fine della guerra, per bieco opportunismo, fece sospendere le operazioni di sterminio. Eichmann invece continuò a perseguire l'obiettivo della soluzione finale attenendosi al disegno hitleriano di una Germania Judenrein. La banalità del male consiste proprio nella mancanza, nella noncuranza di giudizio su ciò che è giusto e ingiusto, morale e immorale, umano e disumano, e l'efferatezza di uomini come Eichmann ne fu il risultato. Questo scritto suscitò molte polemiche nel mondo ebraico poiché sembrava quasi giustificare le azioni dell'imputato nel rimarcare la sua figura di grigio burocrate frustrato e incapace di pensiero autonomo: in tal modo lo scritto sembrava svilire il significato della fredda determinazione di Eichmann a uccidere. Rimane il fatto che quest'opera della Arendt è preziosa per la sua testimonianza vissuta in prima persona allo svolgimento del processo e per la sua visione lucida e obiettiva dei tragici eventi di quel periodo storico.

Alessandra Co. (sì): Mi è piaciuta l'angolatura da cui l'autrice ha osservato e raccontato i fatti. Poco ci interroghiamo e difficilmente proviamo a metterci nei panni degli altri. Ingiustizie, sancite per legge, continuano e si avvallano ancora oggi. E per quanto si celebrino memorie e se ne discuta, pochi pensano a come mutare lo stato delle cose. La gente accetta e si abitua al peggio, e la cosa più triste e terribile è che esegue quel che gli vien ordinato. Gli orrori della prevaricazione, della guerra e dell'ingiustizia sono ancora presenti e il nostro silenzio (nel pensiero, nel sentimento e nell'azione) li avvalla.

Luisella (nì): Il mio è un Nì. La ragione è questa. Volendo iniziare la lettuta del libro prescelto, ho preso a prestito in biblioteca il testo sbagliato :-) Ovvero "Eichmann o la banalità del male. Interviste, lettere, documenti", autori la stessa Arendt e Joachim Fest (l'autore della monumentale prima biografia di Hitler) nell'intenso scambio epistolare che ebbero. Un errore che però mi ha permesso di conoscere un libro quasi più interessante del saggio originale, che nella terza parte presenta anche le critiche più severe mosse all'opera della Arendt, come quelle del Council fo Jews from Germany e di Golo Mann. A chi è interessato a un approfondimento, è un libro che consiglio di cuore. Edizioni Giuntina. Insomma, quando poi ho preso il libro giusto, avevo ormai in testa queste critiche che mi sembravano profonde e circonstanziate, e non sono più riuscita a liberarmene, mantenendo così un atteggiamento diffidente verso Arendt. Da una parte apprezzo molto la lucidità, la freddezza con cui Arendt di orgini ebraiche riesca a valutare Eichmann e la palese ingiustizia del processo che gli viene intentato. Mi ha illuminata la parte in cui si porta l'esempio di cosa sarebbe accaduto se un paese africano avesse arrestato un politico statunitense per processarlo per i diritti umani negati di quegli anni in America. D'altra parte, non mi è piaciuta una certa arroganza e superbia, né il riferimento alla mediocrità culturale di Eichmann. Non vedo cosa c'entri, ecco... Cultura/ignoranza e propensione al bene/male non sono affatto legate. (Mengele era laureato in medicina e in filosofia, era elegante, raffinato, appassionato di musica classica... Ed era Mengele!) Comunque non ho fatto in tempo a finire il libro, e perciò non mi sento di dire nulla di più.

P.S. A proposito del primo libro, consiglio anche di approfondire la figura di Joachim Fest, appartenente a una famiglia "ariana" che però rifiutò coraggiosamente ogni compromesso col partito nazista pagando a caro prezzo questa scelta, con la perdita del lavoro per "attività antistatali", ristrettezze economiche via via più dure, e continue perquisizioni della Gestapo.

Pierpaolo (sì): Mi è piaciuto molto. Tradotto male ma in realtà questo è il livello dei giornali. Libro che fa molto pensare, approccio multidisciplinare. Arendt è filosofa ma ha conoscenze storiche, sociologiche nell’approfondire il personaggio. La banalità nasce per il conformismo, per la mancanza di autonomia, di libertà, per l’impossibilità di mettersi nei panni dell’altro, Lo sguardo della Arendt è obiettivo, lucido.

Massimo I. (via mail): L'edizione feltrinelli (l'ultima) è indecente: dev'essere una ristampa anastatica dei primi anni Sessanta, con i caratteri microscopici dell'epoca, faticosi da leggere al giorno d'oggi e con una traduzione datatissima. Non è tollerabile leggere "trattato di Versiglia". Se guardate bene poi il titolo originale del libro è indicato quale "le comte de monte - cristo": complimenti all'editor. Il libro è comunque interessante anche se risente evidentemente dell'approccio giornalistico, e diventa un po' noioso verso la fine (infatti non l'ho terminato). Non c'è paragone ad esempio con quel monumento che è "Le origini del totalitarismo" della stessa autrice. Non mi soffermo sulla personalità di Eichmann (penso ne parlerete in abbondanza). Mi ha colpito soprattutto il capitolo 10 relativo al comportamento della Danimarca e del popolo danese nel cercare di aiutare per quanto possibile gli ebrei. Se fossi un danese sarei fiero e orgoglioso di esserlo, e soffro un po' non poterlo essere da italiano. Per fare un paragone attuale, credo ancora oggi che sarebbe ben difficile trovare ad esempio un ministro dell'interno danese - o scandinavo in generale - che predica l'accoglienza avendo nel contempo interessi nel business... ma questo è un altro saggio...


Prossimo saggio: "Ballando nudi nel campo della mente" di Kary Mullis (preferito a "Il tempo senza età - La vecchiaia non esiste" di Marc Augé e a "Il libro nero del califfato" di Carlo Panella)

Prossimo proponente: Massimo I.

Prossimo incontro: da definirsi.