I Viceré (di Federico De Roberto)

Proposto da Franca

Riferimenti: IBS, Wikipedia

Discussione di ottobre 2012

Sì: Franca, Giovanna, Massimo I., Massimo M., Marisa, Gabriella, Marinella, Giuseppe

Nì: Mirella.

Franca: (proponente): Sì

Ho letto tutte le opere di De Roberto e lo ritengo un grande autore come grande è anche questo libro che per me è un capolavoro. Anche ora che l’ho riletto, ho trovato che non accusa i segni del tempo.

Nonostante ciò non è tanto conosciuto e non ha avuto così tanta fortuna come il Gattopardo di T. Di Lampedusa. Se avesse avuto una maggior diffusione sarebbe stato dirompente: ma forse era sconveniente mostrare le dinamiche di come è nato il primo Parlamento Italiano e gli ambienti del tempo non avrebbero saputo interpretare questa denuncia.

Per queste due ragioni vorrei quindi chiedervi come mai è ancora così attuale e per quali motivi, secondo voi, non ha avuto grande successo.

Marinella: Sì

Lo lessi 40 anni fa e mi piacque moltissimo: ora ho riletto solo le pagine finali. E’ un bel romanzo storico del verismo italiano e in cui i personaggi sono delineati in maniera egregia (contrariamente a quello che succede nel cinema italiano dove un personaggio compare ma sparisce del tutto senza lasciarti niente).

Mentre non saprei dire del perché del mancato successo, riguardo alla sua attualità, nelle pagine finali che ho letto ho trovato il discorso elettorale di Consavlo: è un susseguirsi di cose ancora vere oggi e soprattutto mi è sembrato di sentire i discorsi dei nostri politici: “Evviva il principino che paga a tutti il vino, evviva Francalanza che a tutti empie la panza”. E come giustamente dice lui, la storia è una monotona ripetizione e gli uomini sono e saranno sempre gli stessi.

Marisa: Sì

E’ un romanzo complesso e articolato che si snoda dal 1855 al 1882, abbracciando le gesta di Garibaldi e l’Unità d’Italia. Parla di questi vicerè che hanno mantenuto il prestigio acquisito durante la dominazione spagnola: una folla di personaggi che inizialmente mi aveva disorientata ma con i quali ho poi imparato a fare conoscenza perché sono caratterizzati in maniera molto viva e credibile. I rapporti conflittuali, violenti e pieni di ipocrisia sono tutti dovuti alla loro sete di ricchezza mentre mai li attraversa un sentimenti di amore e di pietà. Le poche persone che sanno amare soccombono.

Altrettanto sorprendenti sono i giochi politici che, come oggi, compiono in nome della democrazia ma che in realtà sono un tradire le promesse fatte. E così le idee risorgimentali falliscono traducendosi, in sostanza, in un decadimento morale delle caste aristocratiche per far spazio alla borghesia nascente. Per il popolo siciliano mancherà ancora la speranza in una maggior giustizia.

Queste dinamiche sono ancora attuali, travalicano il contesto storico del romanzo: per questo direi che De Roberto è stato profetico.

Riguardo allo scarso successo del romanzo, posso ipotizzare sia dovuto agli spiccati toni anticlericali che forse lo hanno reso scomodo.

Giovanna: Sì

Mi è piaciuto moltissimo, molto più de Il Gattopardo. Unico piccolo difetto, il carattere poco descrittivo dei luoghi. Mentre i personaggi sembrano vivi, gli ambienti, i paesaggi, le città non sono quasi neppure tratteggiate: se invece di Catania fosse Palermo non farebbe alcuna differenza. Lo stesso dicasi per i vestiti e gli ambienti della casa (a parte dire Sala Rossa e sala Gialla).

La gente di cui parla è spaventosa: l’unico che si salva è forse Michele. Eppure all’inizio, alla lettura del testamento, la principessa sembrava aver compiuto scelte sagge. Basta aspettare poco per capire che erano anche quelle con secondi fini. Il peggiore di tutti per me è Don Blasco e l’autore si è sicuramente ispirato a qualcuno di vero, incredibile come conciliasse la religione e i suoi comportamenti (e lo stesso facevano gli altri).

Tutti fanno i loro comodi e anche Consalvo che seppur possa essere ammirato per la sua capacità ad adattarsi alle nuove regole, alla fine era disonesto come tutti loro: il concetto che passa è un’ereditarietà di questi comportamenti e quindi la mancanza di speranza per un miglioramento.

Mirella: Nì

Più che “Nì” io direi “So”: il romanzo è scritto infatti bene e descrive benissimo i personaggi (quasi delle caricature) e l’inquadramento storico. De Roberto quale verista parla di quel periodo e di quegli ambienti.

Nelle prime 200 pagine mi sembrava di leggere della giunta del Lazio: Don Blasco è perfetto per Batman/Fiorito!

Ma lette quelle 200 pagine il resto è del tutto prevedibile: quando arriva un personaggio ci si aspetta già quello che dirà, che posizione avrà. E questa mancanza di evoluzione la si applica anche al messaggio che lascia l’intero romanzo. De Roberto descrive questo “porcile” e su quello si ferma non sfocia in una denuncia ma solo una rassegnazione, scaricando sull’ereditarietà tutte le colpe. Ognuno diventa quindi non responsabile di niente e questa deresponsabilizzazione è contagiosa: ogni persona anche di sani principi che si avvicina a questi “porci” ne rimane contagiata.

Così in nessun personaggio compare una minima scintilla di senso sociale; e infatti, contrariamente al naturalismo francese, non si arriva a nessun “j’accuse” ma solo a un’arrendevolezza e un completo menefreghismo verso chi è povero e in difficoltà. Questo rassegnazione mi è molto fastidiosa.

Giuseppe: Sì

Anche a me è piaciuto molto e l’ho trovato molto scorrevole contrariamente a quando provai a leggerlo 20 anni fa: lo abbandonai presto dicendo che era noioso perché dopo 30 pagine parlava ancora del testamento!

Condivido il giudizio sui personaggi, tutti odiosi, egoisti e ipocriti e anche quando qualcuno mi sembrava un po’ simpatico, bastava aspettare qualche pagina per scoprire che era uguale agli altri.

L’interpretazione di Mirella mi ha fatto riflettere un po’ e sono anch’io dell’idea che l’arrendevolezza è una brutta cosa. In effetti non trovo nel libro nessuna spinta verso il miglioramento: da un intellettuale mi aspetterei un’elaborazione dei problemi e un incentivo al cambiamento cosa che qui non ho trovato. Ammesso che il libro sia una denuncia verso quel mondo corrotto, non sveglia nel lettore nessuna voglia di reagire.

Gabriella: Sì

All’inizio ho fatto fatica a seguire il linguaggio ma poi è stato gradevole, in alcuni punti ironico e comunque incalzante e mai noioso. anche se non sono arrivata alla fine (sono “solamente” a pagina 430!).

E’ la prima volta in cui tutti i personaggi sono insopportabili: tutto quello che fanno o non fanno è un’esaltazione delle peggiori qualità umane. All’inizio pensavo che Matilde fosse una valida ma con il tempo ho iniziato a non sopportare la sua incapacità a reagire.

Ho trovato interessante vedere come ci fosse una scaletta molto ben pianificata tra i figli riguardo ai loro destini e quindi alla divisione del patrimonio famigliare.

Massimo M.

Riassumo i tanti interventi fatti. Premetto di aver letto solo 200 pagine. Non sono d’accordo con Mirella e Giuseppe riguardo la mancanza di una denuncia dei comportamenti disonesti dei personaggi: l’autore accusa seppur in maniera non esplicita.

Massimo I.

Lo lessi 25 anni fa e mi piacque molto. Non è stato famoso forse perché ai tempi della stesura la corrente letteraria a cui faceva riferimento era già nella fase discendente. Inoltre, nonostante la negatività e il sarcasmo che a volte compare, l’autore rimane completamente estraneo: il racconto è estremamente oggettivo e il giudizio di De Roberto non traspare mai.


Prossimo libro: “Lolita” di Vladimir Nabokov (preferito a “84, Charing Cross Road” di Helen Hanff e “L’amico ritrovato” di Fred Uhlman)

Prossimo proponente: Maddalena

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