Al dio sconosciuto (di John Steinbeck)

Proposto da Marisa

Riferimenti: IBS, Wikipedia

Discussione di luglio 2019

Sì: Pierpaolo, Katia, Marisa

Nì: Gabriella, Luisella

No: Oscar

Marisa (sì, proponente): Questo romanzo ha come leitmotiv la terra, ossia la madre terra, colei da cui discende tutta la natura, la genitrice ancestrale cui l’uomo saggio si rivolge in segno di deferenza, qui di devozione. Ci troviamo di fronte a una visione panteistica, quasi pagana, che in questo contesto sta alla base del legame tra uomo e natura. Il protagonista Joseph, figura messianica, crede nell’immane forza della natura che sottende a un dio sconosciuto, ma quando la sua famiglia, il raccolto e le sue mandrie vengono travolti dalla catastrofe che li colpisce e li manda in rovina, si sente perduto e la fede incrollabile nel suo dio senza nome sembra vacillare. Dapprima si ritira in totale solitudine dove si illude di poter combattere l’ineluttabilità del destino, per poi arrendersi e infine sacrificare se stesso come ultimo ed estremo atto d’amore e insieme di ribellione verso la terra, unico vero senso della sua esistenza. E come in Furore, anche qui si delineano, con tutto il loro aspetto crudele e spietato, i segni tangibili del sacro e profano che uniscono l’uomo alla natura: nelle ultime pagine l’immagine ieratica del sangue che si fonde con la pioggia ne è un esempio emblematico. In una scrittura che tocca a tratti punte di intenso lirismo, Steinbeck, scrittore tra l’altro lontano da ogni fede religiosa, ci descrive un mondo rurale a lui caro che diventa fonte e teatro di gioia e di dolore, di vita e di morte.

Marinella: Non ho letto il libro perché non ho avuto tempo, ma anche perché ho letto tanto Steinbeck da giovane e ora non mi interessano più le sue ambientazioni, a me tante lontane, e i suoi personaggi.

Pierpaolo (sì): Un "sì", anche se dei romanzi che ho letto di Steinbeck (Pian della Tortilla, Vicolo Cannery e Uomini e topi) considero questo il meno riuscito, probabilmente perché lo scrittore ha inteso farne la Natura, e il suo profeta Joseph Wayne, i protagonisti assoluti, non facendo vivere pienamente gli altri personaggi. Nella descrizione della Natura, però, raggiunge vette poetiche che fanno a tratti pensare a Lucrezio. La Natura di cui parla nostalgicamente è quella che regnava sovrana assoluta fino a pochi anni prima nell’entroterra del suo paese, la California. Le descrizioni naturalistiche sono molto accurate anche perché Steinbeck era grande amico del filosofo naturalista Ed Ricketts, con cui ha lavorato a Monterey. Apprezzo nel romanzo la presenza di elementi come il mitico, il favoloso e il magico, che arrivano a Steinbeck, conoscitore di favole e leggende messicane, dalla sua cultura di californiano, e che sono tipici della letteratura sud-americana. Queste tradizioni animistiche e di Santeria si incontrano-scontrano nel romanzo con l’educazione protestante dei Wayne, plasmando il carattere di profeta di Joseph. Il mio Steinbeck preferito resta però quello picaresco, capace di vivacissime descrizioni dei quartieri popolari di Monterey in Pian della Tortilla e in Vicolo Cannery.

Gabriella (nì): Sebbene ricco di sfumature linguistiche e di descrizioni a dir poco cinematografiche, il libro non mi ha convinta, l'ho trovato criptico e un po' confuso, nonché deprimente. La morte è tema ricorrente e ne permea le pagine, il protagonista principale rappresenta una sorta di nuovo Cristo che si immola nella speranza che ciò possa portare l'agognata pioggia dopo un periodo di siccità estrema, cosa che alla fine avverrà. Riti pagani e religione cattolica si quasi combattono, come se uno volesse prevaricare l'altro, in una battaglia che non lascia né vinti né vincitori. Perché la pioggia verrà, con il sacrificio che Joseph farà di sé stesso alla madre terra, ma anche dopo la preghiera del prete. Non so nulla delle credenze religiose di Steinbeck, ma ho la sensazione che nel suo cuore albergasse una lotta interiore, una sofferenza che in qualche modo lo tormentava. Non mi spiego altrimenti, come sia stato in grado di scrivere un romanzo pregno di sentimenti e pensieri così grevi, all’alba dei suoi trent'anni.

Luisella (nì): Ho detto "nì" perché dire di no mi mette in imbarazzo: Steinbek è pur sempre un Premio Nobel per la letteratura! Ma a dire il vero, questo romanzo mi sembra un'opera giovanile e disordinata in cui l'autore ancora non sapeva ben dominare gli strumenti. Confesso che è il primo romanzo di Steinbeck che leggo. Anni fa ho iniziato "Furore", che però non mi catturava e che ho lasciato dopo un centinaio di pagine. Quella di Steinbeck è un'ambientazione che non mi interessa. Da "piccola europea" quale sono, non riesco ad entrare in sintonia con ampi orizzonti, nuove terre, conquista, far west (non mi piacciono nemmeno i film western). Steinbeck scrive magnificamente, questo sì, ed è in particolare nella descrizione della Natura che emerge tutto il suo talento. Tuttavia quello che all'inizio mi ha affascinata, mi è presto diventato stucchevole. Ci sono capitoli dove il "peso" della natura è eccessivo rispetto a quello degli esseri umani che, secondo me, dovrebbero essere i cardini di una vicenda. I protagonisti viceversa mi sembrano poco delineati. Nel linguaggio, soprattutto. Ad esempio, all'inizio mi sembra di capire che Joseph sia un agricoltore al quale non attribuisco tantissima cultura né attitudine al filosofeggiare. Per raccontare i suoi tormenti, avrei preferito un narratore onniscente che me li descrivesse dall'esterno; ma nel discorso diretto, certe riflessioni le trovo poco aderenti al personaggio. Trovo anche altre incoerenze. Ad esempio, Elizabeth che, una sera, senza un perché, avverte un improvviso sentimento per Benji e poi decide repentinamente di sposare Joseph. Altrettanto sconclusionato il fatto che, da giovane maestra indipendente e orgogliosa, si trasformi in una moglie debole e remissiva. Insomma, personaggi pieni di contraddizioni, come in una bozza di romanzo che andava ripresa e rielaborata.

Oscar (no): Anch'io, come Luisella, provo imbarazzo nel farlo, ma non riesco che a propendere per un "no" a questo romanzo, che non è riuscito a coinvolgermi, né a suscitare il mio interesse. Le lunghe descrizioni dei luoghi e della natura selvaggia erano interessanti all'inizio, ma poi mi sono sembrate piuttosto ridondanti, visto che diluivano una storia già di suo rarefatta. Per un attimo ho avuto speranza che la storia potesse diventare interessante, quando nel romanzo è comparso il personaggio di Elizabeth: una donna intelligente, colta, di carattere, in grado di tener testa a suo padre. Mi aspettavo ci sarebbero stati contrasti su diversi fronti tra lei e Joseph, e invece lei si trasforma inspiegabilmente in una moglie remissiva e obbediente, sempre pronta a rassegnarsi a tutte le stranezze di suo marito. In generale i personaggi seguivano percorsi poco plausibili o coerenti, a volte fino a essere involontariamente comici. Ad esempio, sono rimasto senza parole quando, a pochi minuti dalla morte di Elizabet, Joseph e sua cognata si uniscono in una passionale scena di sesso (lui non avrebbe dovuto essere sconvolto dall'accaduto? lei non avrebbe dovuto mettere in pratica la saggezza e il rispetto per gli altri che aveva esibito nel resto del romanzo?). Secondo Steinbeck, la natura ricopre il ruolo del dio crudele e vendicativo, ma la passività dei personaggi nei confronti di questo dio è stato un ulteriore elemento che mi ha reso pesante arrivare fino all'ultima pagina.

Prossimo libro: "1984", di George Orwell (preferito a "La ragazza delle arance" di Jostein Gaarder e a "Cacao" di Jorge Amado)

Prossima proponente: Luisella

Prossimo incontro: 31 agosto