L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello (di Oliver Sacks)

Proposto da Alessandra

Riferimenti: IBS, Wikipedia

Discussione di gennaio 2013

Sì: Gabriella, Alessandra, Luisella, Oscar, Mirella, Franca, Alessandro

Nì: Giuseppe, Massimo I., Annamaria, Marisa

No: Marinella

Alessandra (proponente): Sì

Quando l'ho scoperto questo libro mi sono entusiasmata. Tratta argomenti che ho a cuore, le neuroscienze e la comprensione dell'uomo.

Mi piace osservare le diversità, comprendere e scoprire l'Altro e scoprire vissuti inimmaginabili. E da qui comprendere il "non senso

del giudizio". Giudicare è spesso atto dettato da osservazione superficiale e preclude una consapevolezza reale. Possiamo pensare di essere normali, ma sia l'Altro che il Diverso sono Universi in cui ritrovarsi.

Oscar: Sì

Il libro mi ha portato a conoscere cose con cui non mi sarei mai rapportato. La malattia è un tabù nei nostri discorsi perché ci spaventa e ci sconvolge: eppure è un’ipotesi per un nostro possibile futuro.

Alessandra mi disse una volta che esistono persone che anche con patologie limitanti riescono a seguire una vita serena. Mi chiedo allora cosa sia: eroismo? Sono persone da ammirare?

Aggiungo anche che Hollywood è rimasta affascinata da questi argomenti e ormai in ogni film o telefilm c’è sempre qualcuno con la sindrome di Tourette o altra.

Giuseppe: Nì

Ho detto Nì perché nonostante sia scritto bene e mi abbia colpito, nella parte centrale era diventato assai noioso e ripetitivo: avrei gradito un libro lungo la metà. Trovo poi singolare che tutte queste patologie siano concentrate negli USA e mi chiedo come mai, forse sono più attenti a identificarle? O è il loro stile di vita a renderle più frequenti?

L’idea che però questo libro mi ha lasciato, è che la sede della nostra personalità è la nostra mente: appena un lobo o area del cervello (non saprei dire quei nomi perché non sono esperto e forse anche l’autore poteva risparmiarseli) si guasta, ne escono cose che nel passato abbiamo sempre attribuito a un’anima "corrotta".

Annamaria: Nì

Per me non è un articolo scientifico né un saggio divulgativo per questa materia. Sono racconti ispirati a esperienze personali reali sui quali Sacks ha dato molta enfasi in modo da renderli accattivanti.

Alla fine diventano però un pretesto per chiedersi “Cosa siamo?” “Esiste un’essenza in noi”: il libro lascia queste domande senza risposta perché in fondo è una domanda filosofica e non scientifica.

Marinella: No

Dico no perché questi argomenti non mi interessano: non mi attirano i libri in cui si parla di malattie. Si fosse concentrato sul tumore sarebbe stato lo stesso. I casi che riporta non sono diverse personalità ma gente affetta da patologie e danni cerebrali.

Non è neppure un libri scientifico e divulgativo: lo vedo come un’operazione furba per raccontare alcune cose in modo che le leggano tutti, ma ogni pretesa scientifica è completamente disattesa.

Massimo I.: Nì

Come Marinella ho l’impressione che il fattore vendita sia abbastanza presente: dei cinque racconti che ho letto non ne ha curato nessuno, ad eccezione di quello quasi assurdo e poco credibile della signora che non aveva mai usato le braccia e ne aveva perso la capacità. E’ bastato spostarle il piatto per indurla ad usarle. Oltre a questo caso quasi inverosimile, mi sono chiesto che senso ha andare a trattare casi unici: forse vuole colpire l’immaginazione del lettore?

Ho trovato inoltre la trattazione leggera, spiritosa o scherzosa per cui poco rispettosi nei confronti dei malati.

Luisella: Sì

Sono contenta di averlo letto: il titolo è cos’ orrendo che da sola non l’avrei mai neppure considerato! Sacks è un bravo scrittore e la lettura è piacevole anche perché non è di certo un trattato scientifico (né ha la pretesa di esserlo). E’ una porta su altre cosa che se uno vuole può approfondire.

Dal libro mi è nato spontaneo il discorso su cosa siamo e cosa resta di una persona quando le mancano le capacità d relazionarsi con gli altri.

Mirella: Sì

Ho trovato le prime 130 pagine molto pesanti: l’abolizione dell’io, la cancellazione della memoria e quindi della persona erano temi troppo pesanti che quasi mi faceva avere gli incubi.

Allora poi ho iniziato a leggere a caso e quando sono capitata nella sezione degli “eccessi” ho trovato tutto più interessante. Lo stile da serio e doloroso nella prima parte è diventato ironico per diventare addirittura affettuoso quando arriva ai casi dei “semplici” in cui ho assorbito vari racconti come fossero cioccolatini.

Ho quindi visto la malattia come solo un preteso per parlare dell’uomo: in fondo lui parla di “scienza romantica” e fa spesso dei bei riferimenti a letterati e filosofi: l’ultima parte è soprattutto così, non scientifica bensì filosofica e quasi religiosa.

Gabriella: Sì

Il libro mi è piaciuto moltissimo: l’ho bevuto e non l’ho trovato né ripetitivo né noioso come qualcuno ha detto. Mi ha ampliato gli orizzonti per capire le persone con una maturità nuova. Bello anche l’approccio umano che pervade tutto il libro, quella che lui chiama “scienza romantica”.

Ovviamente ci porta a pensare e a chiederci se “siamo tutta chimica senza nulla di più?”. Se basta un malfunzionamento per farci perdere una funzione e distruggere il nostro essere, è normale chiedersi “Ma cosa siamo?”.

Marisa: Nì

Ero disturbata leggendo questo libro: l’impronta medica è troppo esagerata e appesantisce la lettura.

Procedendo mi ha interessato e affascinato scoprire queste storie, leggere di storie, quelle dei semplici, in cui alla mente concettuale capace di astrazione si sostituisce il senso del concreto considerata più “primitiva”. Ho detto Nì perché pur essendo un libro piacevole è manchevole di spiegazioni per una comprensione maggiore, per capire il nesso tra neurologia e psicologia.

Sembra voler presentare la patologia come l’anello mancante tra anima e corpo.

Franca: Sì

Pur condividendo alcune perplessità, l’ho trovato bello. Vorrei innanzitutto precisare che in medicina quando non esistono teorie precise e affidabili per inquadrare, capire e curare certe patologie, si usa il metodo del riportare casi, presentare alla comunità scientifica le situazioni sperimentare per formare una sorta di banca dati condivisa.

E così il libro inizia con una descrizione clinica dei casi per evolvere a una discussione filosofica finale. Evidenzia in questo modo quello che spesso la medicina trascura, ossia l’aspetto umano del paziente e del rapporto che andrebbe instaurato.

Alessandro: Sì

Quando lo lessi tre anni fa, ricordo che mi lasciò molta inquietudine in cui l’unica via d’uscita sembrava la fuga e/o l’isolamento. I casi in cui le persone perdono la loro identità sono sconvolgenti. Eppure mi hanno spinto a chiedermi cosa sia la patologia e chi sono quelli che ne sono affetti: solo perché sono diversi? Mi fa pensare alle diciture che sono state cambiate nel tempo: da “handicappati“ a “disabili” e poi ancora in “diversamente abili”.

Ho visto anch’io una forte partecipazione umana dell’autore con il risultato di essere stato capace di lare un senso alla vita di quelle persone.

Se mi chiedo come catalogo questo libro, non sono sicuro di definirlo un saggio: come un diario di viaggio, le scoperte che uno fa e da cui nascono le più disparate riflessioni. In questo caso, come ha detto qualcuno, la domanda centrale è “Cosa siamo?” “Siamo solo chimica?” “e ci dispiacerebbe scoprirci così?”. Ciascuno avrà le sue risposte.


Prossimo saggio proposto da Luisella: “Discorsi sull’amore e l’amicizia” di Platone (preferito a “Laicità, grazie a dio” di L.Della Torre “Elogio della mitezza” di N. Bobbio)

Prossimo incontro: 12 aprile

Prossimo proponente: Gabriella.